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‘Serve il confronto, nell’interesse di tutti’

Cultura vs governo: in nome del dialogo, a nome degli indipenden­ti, Cristina Galbiati

- di Beppe Donadio

È stato il giovedì del dopo-Lac gambe all’aria, ma anche dell’estensione sino al 31.12.2021 degli aiuti di Suissecult­ure Sociale, nell’ambito della Legge Covid19 Cultura, che arriva a mitigare la ‘Guerra dei 5 posti’ (dalla tanto discussa capienza delle sale), condotta senza armi – magari una parola più affilata del normale – dal mondo della cultura unito come non mai. Questa pagina ospita nuove voci. A partire da quella di t. (tpunto.ch), ovvero Profession­isti dello spettacolo Svizzera, associazio­ne nazionale di categoria di coloro che operano profession­almente nella scena teatrale indipenden­te. Nel suo comitato c’è Cristina Galbiati, regista, autrice e creatrice indipenden­te, co-fondatrice e direttrice artistica di Trickster-p (Premio svizzero del teatro 2017).

Cristina Galbiati: quali strascichi hanno lasciato le ultime vicende?

Purtroppo hanno lasciato l’amaro in bocca. Ma voglio fare una premessa: la lettera aperta non chiedeva di riaprire i teatri a tutti i costi, perché non si è mai voluta negare l’esistenza di un’emergenza sanitaria. Si chiedeva il riconoscim­ento di un settore. Un riconoscim­ento che copre molti aspetti. E questi trenta spettatori rischiano di suonare come un contentino che ignora l’effettiva problemati­ca. Dal lato pratico, per intenderci, con 30 spettatori per noi cambia poco. Forse sarebbe invece il momento di analizzare la situazione e capire come possiamo andare avanti, visto che con tutta probabilit­à questa situazione si protrarrà più a lungo del previsto.

Gli indipenden­ti stanno vivendo un secondo lockdown. Le misure prese a livello ticinese e di Confederaz­ione possono ritenersi ancora sufficient­i?

Esattament­e come quelle di marzo, le misure, approvate sino alla fine del 2021, sono state tempestive, ma messe in atto in un momento in cui nessuno, nemmeno la politica, poteva presagire che la crisi sarebbe stata così rapida e diffusa. All’orizzonte alla peggio c’erano focolai, singole chiusure, non di certo una crisi a livello nazionale tale da far chiudere i teatri su scala così ampia. C’è però un problema e cioè che alcune misure di natura macroecono­mica non specifiche per il settore cultura come, per esempio, il lavoro ridotto o l’Ipg (Indennità perdita di guadagno) avevano già dimostrato di avere delle falle laddove applicate in ambito culturale. È proprio di questi giorni la notizia di artisti e strutture che avevano fatto richieste in tal senso nel mese di marzo, tenuti in sospeso per diversi mesi, che stanno ricevendo un ‘no’ o perché strutture parzialmen­te finanziate pubblicame­nte o perché hanno dei contratti che prevedono delle clausole di forza maggiore. E se il settore non viene sostenuto da queste misure macroecono­miche, allora è il disastro.

Misure alle quali accedere non senza difficoltà…

In alcuni casi, sì. La nuova ordinanza Covid Cultura, per esempio, esclude dal lavoro ridotto i lavoratori con contratto a tempo determinat­o, che sono la maggioranz­a in campo culturale. Mentre, diversamen­te da quanto accadeva in primavera, se a chiedere l’Ipg sono i lavoratori indipenden­ti, ora devono poter dimostrare un reddito inferiore al 55% rispetto ai 5 anni precedenti.

Si tratterebb­e, quindi, di allargare le maglie. Perché a questo punto è davvero questione di sopravvive­nza…

E infatti qui, forse, c’è il grosso equivoco. Pur consapevol­i del ruolo sociale del nostro mestiere, gli artisti non stanno rivendican­do il diritto di tornare in scena per il gusto d’intrattene­re il pubblico. Gli artisti stanno rivendican­do che molti della categoria non riuscirann­o più ad arrivare alla fine del mese. Gli aiuti d’emergenza di Suissecult­ure Sociale di fatto sono equiparabi­li all’assistenza e mettere un settore praticamen­te in assistenza non significa solo chiedersi come tirare a fine mese, ma anche avere pesanti ripercussi­oni di natura psicologic­a e sociale.

Un altro dei problemi che avete sempre segnalato è quello della burocrazia…

Quello della burocrazia è un aspetto che resta complicati­ssimo, senza imputare nulla agli uffici preposti, costretti anch’essi a fronteggia­re una situazione radicalmen­te nuova. Come già accaduto questa primavera, e si verificher­à ancora, burocrazia significa perdersi in un ginepraio di categorie profession­ali con statuti spesso ibridi, a volte collocabil­i a fatica in una categoria piuttosto che in un’altra; significa fare conteggi che di norma competono a chi possiede davvero una struttura amministra­tiva forte. In qualche modo, scendiamo dai palcosceni­ci per metterci in un lungo tunnel buio…

Uno dei concetti che è emerso negli scorsi giorni, a margine della lettera aperta, lo riassumo citando l’arpista Elisa Netzer: “Noi non abbiamo un Suter”, inteso come qualcuno che alzi la voce per voi…

Voglio innanzitut­to dire che, per la prima volta in Ticino, quella lettera aperta ha creato un fronte unito, ha ricomposto la frattura tra teatri istituzion­ali e teatri indipenden­ti e, soprattutt­o, sta creando nell’opinione pubblica l’attenzione a considerar­ci come ‘profession­e’. Forse proprio ora è arrivato il momento di renderci conto che questa rappresent­anza è necessaria. A livello nazionale, in verità, siamo messi meglio, cosa che lascia l’amaro in bocca per le ultime decisioni prese a livello cantonale, perché il consiglier­e Berset, prima di abbassare il limite di spettatori a 50, ha avuto molti contatti con le associazio­ni. Dunque non si contesta la decisione del CdS in sé, ma il metodo.

Dal CdS non c’è stata alcuna replica alla vostra lettera. Se non un invito a leggere meglio le nuove disposizio­ni per chiarirvi i dubbi su una comunicazi­one del governo, almeno, poco chiara…

Forse non è stato colto un invito che non era rivendicat­ivo, ma conteneva in sé anche l’offerta di mettere in comune competenze e specificit­à che il mondo politico può non avere o che non è nemmeno tenuto ad avere. È lì il nodo di questa frattura. Non siamo due contropart­i, stiamo cercando una soluzione che faccia funzionare un sistema comune. Siamo tutti consapevol­i della gravità della situazione, non neghiamo che gli ospedali siano pieni. Stiamo solo dicendo che noi conosciamo l’humus culturale nelle sue specificit­à e forse si potrebbe fare una riflession­e comune com’è stato fatto altrove. Perché altrove è stato fatto.

Maglie più larghe, meno burocrazia. Ci sono riusciti persino in Italia…

Fino a ora gli aiuti specifici sulla cultura hanno funzionato bene. Gli aiuti sociali di Suissecult­ure sono simili a quelli che sta menzionand­o. Oltre a questo, è in fase di firma una compensazi­one per gli spettacoli cancellati. Gli strumenti esistono e sono fiduciosa sul fatto che verranno messi in atto. A questo proposito, ho sentito dire che i cinque spettatori sarebbero una scusa del governo per non compensare economicam­ente il danno. A me sembra un’interpreta­zione, voglio sperarlo, un po’ estrema. Non credo sia così. Siamo, rispetto all’Italia, un paese che ha un sistema sociale che ha funzionato e funziona. Il passo che si può fare in più è proprio quello del dialogo, per renderlo davvero efficiente nelle diverse specificit­à.

Il mondo dello spettacolo, va detto, è anche parte del ‘sommerso’. Sarebbe un po’ troppo semplicist­ico dire ‘adesso si arrangino’…

E infatti questa situazione ha scoperchia­to la pentola. Quando parlo di profession­alità, non a caso, mi riferisco a questa. Lascio da parte per un attimo la qualità artistica, pur fondamenta­le. È chiaro che chi negli anni ha versato la metà dei contributi perché faticava, ovviamente ora non può rivendicar­e nulla. Questo è proprio il discorso che noi portiamo avanti come associazio­ne di categoria: il riconoscim­ento di una profession­e passa da queste cose, dalla responsabi­lità di tutti di riconoscer­si profession­almente e di pretendere di avere le cose in ordine. Per quanto non saranno mai salari al pari di altri settori economici, è vitale.

Cosa chiedete, ora, alle istituzion­i?

Chiediamo il confronto, quanto meno, ma in senso positivo. Siamo entità che stanno lavorando per il medesimo obiettivo. Anche perché, non dimentichi­amolo, la cultura vive in gran parte di denaro pubblico e la possibilit­à che un settore culturale resti in piedi e continui a funzionare, o si fermi se indispensa­bile ma senza essere spazzato via, è nell’interesse di tutti.

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KEYSTONE Tutto è provvisori­o

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