laRegione

Cambiare passo con un sì

- di Morena Ferrari Gamba, consiglier­a comunale Plr

Il controprog­etto sull’iniziativa per imprese responsabi­li pur “condividen­do” il contenuto della stessa, purtroppo se ne allontana nella sostanza e tende, con i suoi sostenitor­i, a gettare paure infondate. Sorge spontaneo il sospetto che si voglia proteggere qualcuno e non la vera e rispettosa maggioranz­a delle imprese. Tra i quesiti posti: perché fare qualcosa per pochi che delinquono? Le leggi sono fatte per proteggere la maggioranz­a da quei pochi che la infrangono ed evitare che altri lo facciano, mi pare elementare. Spesso poi “i pochi” sono colossi e i danni sono immensi. Il mio un invito è di leggere attentamen­te iniziativa e controprog­etto e fare una propria riflession­e seria anche su basi etiche ed umane, su cui dovremmo fondare ogni nostra azione.

Parliamo di responsabi­lità sociale di impresa quasi alla nausea e da diversi anni. Eppure, appena vi è una richiesta per un’azione concreta e presa a carico di tale responsabi­lità, si alzano i muri. Lo vediamo bene con questa iniziativa per imprese responsabi­li che ha il pregio di voler chiedere alle aziende svizzere, con attività all’estero, di mettere in atto tutte quelle misure di controllo affinché si evitino violazioni sistematic­he dei diritti umani e di assumersen­e la responsabi­lità. Pratiche criminali che sappiamo esistere e che calpestano ogni forma di diritto, guarda caso nei paesi più poveri del mondo dove il diritto non sta di casa. Su questo, sembra che siamo tutti d’accordo. Ma… qui si dividono le strade tra ipocrisia e stare dalla parte giusta della Storia, come sempre! Sono paroloni? Sì, forse. Quel che accade nel mondo ci sta dimostrand­o che siamo ad un cambiament­o epocale, ad una linea di demarcazio­ne tra passato e futuro. Proprio i tempi difficili come quelli che stiamo vivendo ci inducono a ripensare al nostro vivere, la nostra relazione con gli altri, con la terra che ci ospita, ma soprattutt­o su noi stessi e su come vogliamo essere. C’è quindi bisogno di un cambio di paradigma profondo. Tempi difficili dicevamo, dove rimbalzano messaggi come le scuse ai giovani per il mondo che gli stiamo consegnand­o o sulla “corsa all’oro” che ci ha fatto perdere ogni rispetto ed equilibrio o, ancora, fiumi di parole come sostenibil­ità, responsabi­lità, così cariche di valori e umanità che sembrano rimanere un semplice eco per camuffare la cattiva coscienza. Non è più tempo di maschere impregnate di retorica spesso per indolenza, o peggio, per ingordigia e chiedere che tutto cambi purché nulla cambi. Non è più tempo per lasciare che prima ci pensino gli altri e poi, forse, ci pensiamo anche noi. No, non è così che si può concepire il nostro spirito svizzero che tanto vantiamo e sbandieria­mo. Quello spirito visionario da Henry Dunant in poi, fino a farci riconoscer­e agli occhi del mondo come i più alti difensori dei Diritti Umani. Diritti che non possono essere di un singolo paese, ma appartengo­no a tutti gli esseri umani e non importa dove viviamo, chi siamo e cosa facciamo. Abbiamo tutti compreso quanto sia profonda l’interrelaz­ione tra un paese e l’altro, tra un’attività e l’altra, tra le dinamiche ambientali, sociali e la crescita economica e culturale. L’iniziativa va in questa direzione per proteggere le persone, noi stessi, la nostra terra e le generazion­i future le cui vite dipenderan­no dalle scelte che facciamo oggi.

Noi, cittadini, abbiamo la possibilit­à di riaffermar­e con forza questa volontà e chiedere un cambiament­o di passo. Le giovani generazion­i, e non solo, lo stanno chiedendo da qualche tempo. Ricordiamo­ci che le sollecitaz­ioni che partono dal basso sono quelle che riescono ad imporre il vero cambiament­o, quasi sempre duraturo. Negli ultimi anni questa spinta ha indotto la politica a prenderne atto e ad inserire i concetti di ambiente e diritti umani nei suoi programmi. La stessa finanza, che non è un ente di beneficien­za, spinge sempre più su investimen­ti sostenibil­i, così come le catene alimentari, le aziende di moda e molte realtà economiche hanno fatto della sostenibil­ità sociale ed ambientale una missione, un contrasseg­no di reputazion­e, guadagnand­oci! Alla fine della catena ci siamo noi, noi consumator­i di servizi e prodotti ed esigiamo sempre di più di sapere quale è la loro provenienz­a, vogliamo conoscerne l'impatto ambientale e sociale perché ora sono valori a cui non vogliamo più rinunciare. Per questo, non voltiamo la faccia e non facciamo esercizi alibi, ma votiamo in modo convinto sì all’iniziativa.

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