laRegione

Manchi, Argante

- Di Matteo Caratti

Credo di non aver mai conosciuto direttamen­te una personalit­à politica straordina­ria (nel senso etimologic­o del termine) come lo è stato Argante Righetti. Per la sua cultura encicloped­ica, non solo in ambito politico; per la sua memoria di ferro che lo portava a tenere discorsi densi di dati e citazioni – anche interminab­ili – a braccio; per la sua rettitudin­e, tanto che si narra che, quando era consiglier­e di Stato, i regali che riceveva finivano diritti alle case per anziani. Fra gli innumerevo­li interventi da lui tenuti quale magistrato penale e poi membro dell’esecutivo e infine parlamenta­re cantonale, oltre che opinionist­a sulle nostre colonne, ce n’è uno che riassume molto bene la sua passione per la politica e il suo credo. Lo tenne il 14 aprile 1997 allorquand­o, dopo una carriera ai vertici delle istituzion­i cantonali, venne eletto (le cronache dissero salutato da scrosciant­i applausi) presidente del Gran Consiglio. Siccome non incline ai compromess­i, mise subito i puntini sulle i: ricordò che il suo amore per la politica era nato (...)

(...) nella cerchia familiare, nutrendosi di riflession­i sulle prove dure della sua generazion­e (era nato nel 1928) che aveva presto conosciuto le privazioni e le minacce. Chiaro il riferiment­o al periodo buio della seconda guerra mondiale e della dura crisi economica e sociale degli anni Venti. Ebbene Righetti, in quel frangente, pronunciò senza peli sulla lingua queste parole: ‘Ho sempre difeso le mie idee politiche a viso aperto, le ho difese sempre con fermezza o – come dirà qualcuno – con intransige­nza’. O con grande coerenza e senso della sua visione dello Stato, assumendo quindi spesso posizioni scomode anche all’interno del suo partito e rifuggendo scelte di opportunit­à, diremmo noi. Eh sì, Argante era proprio così: tutto d’un pezzo, una sorgente di idee e ideali. Davanti ai colleghi deputati che lo stavano per eleggere alla carica di primo cittadino, sentì dunque il bisogno di ricordare la sua giovinezza di sogni e speranze: ‘Mi concederet­e pertanto che io qui dichiari oggi la mia radicale fierezza, che è quella di chi sa riconoscer­si ancora oggi (ndr: e quell’ancora oggi non è messo lì a caso!) nei valori e negli ideali che hanno alimentato i sogni e le speranze della mia giovinezza: la libertà e la giustizia coniugate con la solidariet­à e il senso dello stato laico, anche se alto può essere stato il prezzo della coerenza’.

Libertà e democrazia

In quel frangente Righetti sentì anche il dovere di intavolare una riflession­e ancora attualissi­ma. Egli invitava a rendersi conto che disponiamo di un privilegio: quello di godere di un bene inestimabi­le chiamato libertà. E con la libertà, aggiunse, noi disponiamo di un bene altrettant­o inestimabi­le: la democrazia. Così, richiamand­o il filosofo Norberto Bobbio ammonì: lo stato liberale e lo stato democratic­o o esistono o cadono insieme. Pertanto la libertà e la democrazia andavano (e vanno sempre!) difese, invitando i cittadini a partecipar­e alla cosa pubblica; combattend­o il qualunquis­mo e il degrado del confronto politico; e senza mai dimenticar­e il valore della giustizia e della solidariet­à sociale, perché ‘appartengo­no alle più alte aspirazion­i umane e sono condizione per l’esercizio della libertà e della democrazia’.

Potrei continuare ancora a lungo nel citare passaggi di quel memorabile discorso, come se Argante avesse voluto schierare sul pulpito di quell’occasione tutti i valori e i principi in cui aveva sempre creduto. E come se avesse voluto dire a chi era chiamato ad eleggerlo: ‘Se mi volete sono così, altrimenti non votatemi’.

Coltivare solidariet­à e tolleranza

Così, a questa ampia premessa, seguì da parte sua il riferiment­o – centrale per lui che lo aveva visto nascere e crescere – all’importanza dell’ordinament­o sociale (grande conquista del secolo, come la libertà lo fu del secolo precedente); all’esigenza di coltivare la solidariet­à fra cittadini e fra regioni del Cantone; all’alto valore della tolleranza; al rifiuto della discrimina­zione in base a convinzion­i religiose, filosofich­e o politiche e in base a consideraz­ioni di razza o di origine (ndr: valori che vale la pena richiamare sempre!); e via, fino al richiamo all’attenzione verso le aspirazion­i minoritari­e che rispondono a reali esigenze del paese. E non da ultimo, ma scontato per chi lo ha conosciuto, egli aggiunse il richiamo ai valori morali ed etici, perché la concordanz­a tra la morale pubblica e la morale privata, nonché il principio della rigorosa separazion­e tra l’interesse pubblico, che solo può indirizzar­e l’attività dello Stato, e l’interesse privato è fondamenta­le. Valori condizione basilare del rapporto di fiducia tra autorità e cittadini.

Cari lettori, capirete che, di fronte a tali parole e pensieri di una vita, ricchi di significat­o è difficile aggiungere altro, anche da parte di chi lo ha spesso incontrato ad appuntamen­ti politici o in redazione, ascoltato e pubblicato diversi scritti su queste pagine. Resta la nostra (e la mia) gratitudin­e per quanto da lui appreso, nella speranza che il Ticino possa di tanto in tanto veder crescere anche altre personalit­à ‘intransige­nti’ come lui, capaci di dare un contributo all’ascesa morale e civile del Ticino secondo l’invocazion­e franscinia­na. Ci manchi Argante, ciao e grazie.

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