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Perché non spostiamo i teatri a Grancia?

- Di Beppe Donadio

Quel sovversivo di Ivo Silvestro… C’è bisogno di arrivare a tanto? Basta guardarsi intorno, basta fare andare la testa...

A questo proposito: avete visto Grancia di sabato, in piena pandemia? È esattament­e come quando l’aria era pulita e ci potevamo sputare in faccia (nel senso di vicinanza, non di disprezzo). Alle cinque del pomeriggio, visto dall’autostrada, il Centro Lugano Sud già con le lucine è pieno come tutti gli altri sabati. Perché al contrario dei teatri, al Centro Lugano Sud non ci sono limitazion­i di entrata. È lì, tra cappottini made in Bangladesh e schermi 50 pollici, che le persone possono mettere in atto quel “nutrimento dell’anima” tanto caldeggiat­o da Miguel Cienfuegos del Teatro Paravento e da altri direttori artistici, ridotto a meno di un omogeneizz­ato dalle limitazion­i di pubblico imposte dal governo a sale teatro, cinema e altri nutritivi luoghi di cultura. È di sabato pomeriggio, giorno di passerotti che se ne vanno via, che all’improvviso ci viene un’illuminazi­one: visto che a Grancia non c’è il limite di persone – cinque, trenta, cinquanta, mille, siamo tutti uguali – perché, dove di solito stanno le sedie da giardino dell’Ikea, non montiamo un bel palchetto? Io porto le luci, un altro porta il mixer e un altro ancora due casse. È fatta. Ecco, visto che non ci sono limitazion­i di capienza al Centro Lugano Sud, perché non spostiamo i teatri a Grancia?

“Non c’è la volontà di essere cattivi o brutali. C’è la necessità di agire in fretta”, diceva poche ore prima l’onorevole Bertoli a Moby Dick, Rete Due. “L’unico modo di cercare di contenere la pandemia è di ridurre le relazioni”. E ancora: “Il vero problema – riferito alla riduzione della platea da 50 a 5, poi a 30 – è quello che succede prima e succede dopo”. E cioè la gente che si sposta per andare a teatro; gente che, evidenteme­nte, nella concezione dei governanti è diversa dalla gente che frequenta i grandi magazzini. Forse la gente che frequenta il mondo dell’arte fa cose strambe quando va a teatro, forse salta sulle auto come in ‘Saranno Famosi’, forse si abbraccia e si bacia in bocca (d’altra parte è noto, la gente di spettacolo è più disinibita).

Il fatto è che siamo tutti gente di spettacolo, e non è soltanto solidariet­à con il mondo dell’arte. Tutti, ogni volta che pubblichia­mo un selfie, che diciamo ‘Buongiorno mondo!’, facciamo intratteni­mento (e ‘Buongiorno mondo’ è pessimo intratteni­mento). Anche noi giornalist­i facciamo intratteni­mento, perché ‘giornalism­o’ non è soltanto dare la notizia, è anche come pubblicarl­a. Si chiama ‘narrazione’, vocabolo ormai usurato tanto quanto ‘resilienza’, ‘anima’ e ‘Keep calm’. O come la stessa parola ‘giornalist­a’. Tutti facciamo intratteni­mento, anche la politica. Non è forse intratteni­mento la bella, baritonale narrazione di montagna che accompagna gli appelli all’unità nazionale dei nostri governanti? Non è intratteni­mento quel concetto di cordata che tanto scalda cuori, menti e scarponi, che ci fa sentire montanari anche se abbiamo trascorso l’infanzia in un condominio di cinque piani?

Siamo tutti, o lo siamo stati, almeno una volta nella vita, gente di spettacolo, gente alla quale dobbiamo essere grati e che dobbiamo tutelare. E nel mondo dello spettacolo a volte è un tutto esaurito e altre volte un fiasco. E per la politica, che quando fa narrazione è parte dello spettacolo, questa volta è un fiasco. E quando è un fiasco, nel mondo dello spettacolo si chiede scusa al pubblico.

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A nutrirci l'anima

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