Caprara, un commiato ‘senza rimpianti’
Il presidente del Plr racconta quasi quattro anni ‘vissuti di corsa’ e l’uomo oltre il politico
«Quando guardo agli ultimi anni e al mio percorso, so che ho sempre svolto le mie diverse funzioni nell’unico modo che conosco: con il massimo impegno. E che non mi è mai stato regalato niente, neppure in politica». Doveva essere un’intervista di bilancio finale molto ‘domanda e risposta’, quella con il presidente uscente del Plr Bixio Caprara. È diventata una chiacchierata a cuore aperto, senza alibi, una summa non dei soli quasi quattro anni passati alla testa dei liberali radicali. Ma di un pezzo di vita. Una chiacchierata che inizia quando, sedutosi al tavolo, dalla borsa a tracolla tira fuori il progetto di rilancio del Plr e tre libri: “Per un nuovo liberalismo” del sociologo tedesco Ralf Dahrendorf, “Demokratie. Jetzt erst recht!” del già consigliere federale Kaspar Villiger, una biografia di Sergio Marchionne. «Qui ci sono le basi di ogni discorso che possiamo affrontare», comincia Caprara. Perché soprattutto ci sono le sue, di basi.
‘Non mi è mai stato regalato niente’
«Mi piace ricordare che ho cominciato a far politica dopo che ho messo su famiglia, e dopo che avevo ben avviato la mia carriera professionale. Non mi è mai stato regalato niente, e ho sempre guardato con profondo rispetto a una caratteristica molto svizzera che è quella del mettersi al servizio della società civile e delle istituzioni, senza cercare un tornaconto economico: anzi, a volte rimettendoci sia in termini finanziari, sia di tempo per gli affetti. Ho sempre cercato di rendere onore alla celebre citazione di John F. Kennedy nel suo discorso di insediamento, quando disse “non chiedete cosa può fare il vostro Paese per voi, chiedete cosa potete fare voi per il vostro Paese”». E c’è molto, molto Marchionne in questo effettivamente. Così Caprara ha iniziato a fare politica: «Tenendo conto del valore eccezionale del federalismo: autonomia massima, ma in un contesto di condivisione e coesione. Che si traduce in quello che per me è il succo del liberalismo, e lo insegna anche Dahrendorf: trovare la quintessenza tra l’autonomia e la libertà, che è certamente privata ma anche istituzionale, aziendale. In un contesto però, ripeto, di coesione, di equilibrio e quindi di responsabilità esprimendo attenzione a chi sta meno bene di noi».
In questo, e collegandosi alla pandemia da coronavirus, Caprara nota come «l’esempio sia stato l’operato del nostro consigliere di Stato, Christian Vitta, nei mesi in cui è stato anche presidente del governo. Il suo dialogo costante con Berna, la sua capacità di persuadere e di far comprendere la nostra realtà è stata importante per quanto siamo riusciti a ottenere». Oltre il singolo politico, però, per veicolare il messaggio liberale «il partito è una struttura fondamentale, è un ente intermedio irrinunciabile tra la popolazione, il singolo cittadino e le istituzioni. È bene che tutti abbiano questa consapevolezza, quando vedo il numero sempre più alto di persone che vota scheda non intestata mi preoccupo perché si nega la base stessa della nostra democrazia liberale».
E se si parla di partito, la memoria non solo va a domenica 5 febbraio 2017, quando i delegati lo hanno eletto a schiacciante maggioranza presidente del Plr – «un esito forse eccessivamente positivo che ha comportato responsabilità a cui, però, non mi sono mai sottratto» – ma anche più indietro. Già, «perché pure prima si era parlato della possibilità di una mia candidatura alla presidenza. Ma sinceramente a quel tempo la ritenevo prematura, essendo stato da poco eletto in Gran Consiglio». E poi semplicemente è successo, nella corsa con Matteo Quadranti e Nicola Brivio per succedere a Rocco Cattaneo arriva la vittoria con 496 voti su 752. Il primo giorno di «quasi quattro anni vissuti tutti di corsa». E «senza rimpianti».
Dall’elezione di Cassis al mancato raddoppio Sono stati anni intensi e «di impegno massimo, dove gli eventi si sono succeduti e tutto è andato davvero molto veloce. Bisognava essere veloci quanto loro». Appena eletto, spiega Caprara, «abbiamo affrontato l’entusiasmante percorso che ha portato all’elezione in Consiglio federale di Ignazio Cassis». Il momento più alto della sua presidenza? «Senza dubbio sicuramente uno dei più gratificanti. L’Ufficio presidenziale ha dato il suo contributo, ma il merito è di Ignazio: nei suoi anni a Berna si è fatto conoscere e apprezzare, le sue doti politiche sono emerse e oggi, nel pieno di questa drammatica pandemia, la sua voce misurata e la sua azione concreta in Consiglio federale sono fondamentali e danno lustro al nostro Paese all’estero». Giusto il tempo di festeggiare e subito è iniziato il lavoro di organizzazione delle Cantonali. Un lavoro «lungo, faticoso» dove «il mio ruolo è stato quello anche, purtroppo, di dover dire dei no a persone che erano state sentite, cercate, valutate». In campagna elettorale è stato detto più volte che l’ambizione era “migliorare” le posizioni in Gran Consiglio e in Consiglio di Stato. Ma se il Plr ha un consigliere di Stato, migliorare significa farne due. Non esserci riusciti è considerabile come un fallimento? «No. Sapevamo che era difficile con cinque consiglieri di Stato uscenti, e Alex Farinelli arrivando secondo ha comunque fatto un’ottima votazione, superando nei voti alcuni degli eletti: un lancio per la sua brillante elezione al Nazionale alle Federali dello scorso anno». E per quanto riguarda il Gran Consiglio «ancora oggi ho molta soddisfazione per l’esito». Dove sì c’è stato l’arretramento di un seggio rispetto alla legislatura precedente, «ma abbiamo confermato il ruolo di primo partito con quasi il 25% dei voti e ringiovanito molto la deputazione, rinnovata con persone entusiaste e capaci. Guardo indietro con soddisfazione». Prima, durante e dopo le Cantonali il Plr ha parlato molto di formazione: «E cosa avremmo dovuto fare? Stare zitti per non disturbare Manuele Bertoli? L’istruzione è una delle poche materie di competenza dei Cantoni, e il Partito liberale radicale ha le proprie radici e la propria storia che affondano su questo tema che continuiamo a ritenere prioritario». Principalmente, «ci siamo battuti per dare più lustro e importanza alla formazione professionale, trascurata dalla attuale direzione del Decs. La formazione professionale ti permette di partire come infermiere e di diventare chirurgo, di iniziare come muratore e finire come architetto. Non va messa in secondo piano, in questi anni non è stata promossa con la sufficiente attenzione».
‘Congiunzione col Ppd? Ho fortemente represso le mie personali perplessità’
La formazione è stata al centro della campagna elettorale anche per le Federali, quella di “un Ticino più svizzero” e della ripartenza dopo il mancato raddoppio in Consiglio di Stato. Ma è stata anche la campagna elettorale della ‘congiunzione tecnica’ con il Ppd. Si passa al requiem? Non proprio. Da sopra la mascherina gli occhi di Caprara sono fermi, così come la sua voce: «La congiunzione è stata fatta per il Consiglio nazionale, dove il risultato è stato che il centro ha confermato i suoi quattro seggi e che la leghista Roberta Pantani è rimasta a casa, cominciamo da questo». E con la mancata elezione di Giovanni Merlini al Consiglio degli Stati, però, come la mettiamo? La botta è stata forte, inutile girarci attorno. «Ho il convincimento che purtroppo, congiunzione o no, Giovanni non ce l’avrebbe fatta comunque. Con grande rammarico, perché la statura dell’uomo e del politico non meritava questo esito». Esito però non del tutto imprevedibile, perché se a sinistra e a destra le congiunzioni avevano un collante ideologico e programmatico per quella di centro non era il caso. E di voti ne sono mancati tanti tra gli elettori liberali radicali. «La difficoltà è stata nel provare a far capire che a Berna c’erano meccanismi differenti. Le intese tra Plr e Ppd c’erano e ci sono, a livello di deputazione nel parlamento federale. In Ticino no: andava spiegato questo, e forse meglio». E se non la rinnega questa congiunzione, un tema è comunque sul campo e glielo poniamo. L’intesa è stata dapprima proposta dagli eletti a Berna, poi è stata approvata dai candidati, poi ha avuto i passaggi dalla direttiva del partito e infine, con il 65%, dal Comitato cantonale: ma spesso si è avuta l’impressione che l’indice fosse puntato solo su Caprara, che la colpa fosse solo sua. «Un saggio ricordava che le vittorie hanno molti padri mentre invece le sconfitte sono orfane» risponde con un sorriso, visibile dagli zigomi che si alzano sopra la mascherina, ma con negli occhi un mélange tra disincanto e voglia di andare oltre. Però non mancano due guizzi. Il primo: «Ho fortemente represso le mie personali perplessità su questa operazione a favore del processo democratico interno al partito». Il secondo: «Quella richiesta di dimissioni dell’Ufficio presidenziale, pronta già ben prima del ballottaggio, l’ho trovata poco elegante».
Dalla sconfitta a un futuro...
Con un battito di ciglia e l’animo che è quel che è si arriva alla sera del 28 novembre 2019, undici giorni dalla batosta del ballottaggio per il Consiglio degli Stati. Sala sopracenerina Ses di Locarno, si riunisce il ‘parlamentino’ liberale radicale. Sul tavolo ancora la richiesta di dimissioni dell’Up formulata dal deputato Quadranti. Sul palco un Caprara che sembra aver dimenticato i toni da battaglia della campagna elettorale appena finita, quando i candidati di Ps e Verdi venivano definiti “i rossi”. Ammette tutto e non fa sconti. Nemmeno a se stesso. Ma offre una ripartenza, appena il mirino smette di essere puntato su di lui e la richiesta di dimissioni ritirata. Tirando fuori ancora l’eterno Winston Churchill. «Diceva che in politica, ma non solo aggiungo, la cosa più importante è passare da una sconfitta all’altra senza perdere l’entusiasmo. Così, abbiamo proposto il piano di rilancio che oggi, a un anno di distanza, possiamo dire aver preso pienamente forma: i gruppi di lavoro producono molto materiale anche a livello parlamentare, l’ascolto della base chiesto da più parti ha trovato compimento con il sondaggio commissionato a gfs.bern che ha dato indicazioni utilissime, l’‘Agenda 2030’ si arricchisce di nuovi spunti. Rimette al centro il partito come vera cinghia di trasmissione tra i cittadini e le istituzioni».
... senza di lui alla presidenza
È a Locarno che ha deciso di non sollecitare un secondo mandato alla presidenza? È davanti alle critiche o, chiediamo, all’essersi sentito il solo sotto attacco? «Assolutamente no», risponde secco. «Il Centro sportivo di Tenero che ho l’onore di dirigere ha davanti a sé sfide e investimenti che aumenteranno notevolmente il mio impegno. Dopo tanti anni di corsa a livello politico sono arrivato alla conclusione che non avrei potuto continuare a presiedere il partito con la stessa dedizione, lo stesso impegno, dando tutto me stesso – qualcuno mi rimprovera anche troppo –, per la causa. E allora ho deciso di dire basta, perché non avrei potuto lavorare diversamente». Smetterà anche con la politica attiva – «è chiaro da tempo che questo sarà il mio ultimo mandato in Gran Consiglio, non mi ricandiderò» –, forse chiudendo un capitolo della sua vita. Che ha avuto, come ogni percorso politico, scelte azzeccate ed errori, valutazioni corrette e inciampi: «Ma ho la consapevolezza di guardare indietro senza rimpianti. Anzi mi fa piacere aver potuto lavorare fino alla fine a favore dell’avvio del progetto di rilancio del Plr che mi auguro la futura presidenza possa sviluppare al meglio. Sono certo che soprattutto l’approccio liberale radicale potrà dare molto per la ripresa del Paese dopo la crisi pandemica permettendoci di guardare al futuro con fiducia».