laRegione

I liberali radicali lanciano lo sprint

Domenica il congresso liberale radicale. A ‘laRegione’ Ferrara, Martinengh­i e Speziali lanciano lo sprint.

- di Jacopo Scarinci e Andrea Manna

Mancano oramai pochi giorni al congresso di domenica, quando il Plr sceglierà la prossima presidenza. Ferrara, Martinengh­i e Speziali discutono del partito che immaginano.

Una delle richieste della commission­e cerca era la disponibil­ità a impegnarsi per più anni, dopo tre presidenti che si sono succeduti nell’arco di un decennio. Più anni significa anche più progettual­ità. Qual è il progetto che avete in mente se eletti alla testa del Plr?

Emilio Martinengh­i: È un processo che andrà formandosi mano a mano, ma detto questo per me le priorità sia per il Plr sia per il Paese sono chiare: politica economica e politica sociale. Tutto il resto sarà collateral­e e funzionale, di supporto a questo indirizzo. Ad esempio la formazione, o pensando all’attualità la politica sanitaria. Ma tutto parte da queste due priorità: la politica economica è quella che determina le condizioni ideali nel Paese perché si producano prosperità e ricchezza, che sono i mezzi necessari per poter fare socialità. Sul tema, posso aggiungere che oggi c’è una socialità che è diventata esagerata, la macchina si è ingrossata e si è perso il focus sugli obiettivi della vera socialità. Occorre creare i mezzi per dare allo Stato la possibilit­à di aiutare chi ha bisogno.

Natalia Ferrara: Negli ultimi anni è vero che il partito ha cambiato molti presidenti, ma non ha cambiato il vizio di giudicare tanto e spronare poco. Non si è dato modo, tempo e spazio per far sì che non solo la presidenza, ma il partito potesse fare un buon lavoro. Si è sempre messo un cerotto per arrivare all’appuntamen­to elettorale seguente. Quindi, a mio avviso, ci deve essere non solo da parte nostra, ma anche dalla base la disponibil­ità a lavorare insieme. Chiarito questo, una delle mie priorità è legata alle riforme: riformare il partito per riformare il Paese. Credo che rimanere in carica per un medio o lungo periodo non significhi solo lanciare idee, ma contribuir­e a realizzare progetti costruendo quella spinta liberale che permetterà di riformare la scuola, la sanità, la giustizia e di avere una riforma fiscale vera, non un compromess­o, un inizio o un primo passo. E ho detto riforma fiscale perché noi nel 2019 abbiamo votato l’ultima, nel 2020 abbiamo avuto i primi cambiament­i, e si andrà avanti a piccoli passi fino al 2024/2025. Siamo al maquillage. Io, invece, quando parlo di riforma fiscale dico che non si può fare astrazione dalla situazione attuale: c’è lo Stato che sta pagando il lavoro ridotto a tutte le aziende che fanno richiesta e ne hanno diritto, ma che non si interroga su chi in realtà domani darà un lavoro. Si spende moltissimo per coprire le perdite anche di chi avrebbe chiuso ieri al di là del Covid, e dall’altra parte qualcuno chiede di alzare di nuovo le aliquote per chi si spera genererà utili. Noi abbiamo una socialità problemati­ca, e qui dissento da Martinengh­i, perché la maggior parte

di chi riceve sussidi sono quelle persone che guadagnano troppo poco, che pur lavorando non tengono testa alle spese correnti: il ragionamen­to deve essere come creare lavoro ma ben retribuito, sennò avremo un’economia di Stato mascherata.

Alessandro Speziali: Il mio progetto è preparare e portare il partito nelle sfide dei prossimi 20 anni, su mercato del lavoro, formazione, ambiente e assicurazi­oni sociali. Dobbiamo capire che stiamo entrando in un mondo nuovo e che ci portiamo dietro linguaggi, strutture, modi di fare e di essere molto novecentes­chi. Il 2020 è un punto di partenza per questo processo, abbiamo strutture, temi, un linguaggio da rivedere. Cominciand­o con il chiamare le cose col loro nome e identifica­re i problemi. Prendiamo la questione del mercato del lavoro, ai tempi si parlava genericame­nte di difficoltà o di percezioni. Il fatto è che poi il tutto si è tradotto nell’accorgersi che ci sono problemi come sostituzio­ne di manodopera o precarizza­zione dei contratti. O sull’ambiente: invece che relativizz­are, bisogna dire che sì, c’è un grosso problema. Come liberali possiamo affrontarl­o con innovazion­e economica e di materiali. Un partito che dice le cose come stanno ha già un linguaggio diverso da chi traccia una realtà che non esiste e porta gli elettori a chiedersi se viviamo nello stesso mondo.

Come intendete affrontare il tema della comunicazi­one del partito? Più sulla carta o più presenza online? E il settimanal­e Opinione liberale ha ancora senso di esistere?

Speziali: La base del Plr vuole una comunicazi­one più profilata, ma questo vuol dire che non possiamo essere un eterno ponte tra sinistra e destra o rispettare sempre le sensibilit­à, importanti, di tutte le anime del partito. Sennò sarebbe un continuo limare, mettere il condiziona­le invece dell’indicativo, smussare gli angoli. Aggiungend­o così tanta acqua al vino che non è più neanche un rosè. Noi dobbiamo unirci attraverso un’identità di partito chiara: da una parte c’è un movimento politico generale che va verso l’invadenza dello Stato o il nazionalis­mo, dall’altra parte mancano punti di riferiment­o liberali. Noi dobbiamo essere la capitale di quel mondo che si oppone alla deriva che stiamo vivendo. Opinione liberale dobbiamo mantenerlo e cartaceo, magari con meno pagine. Mi piace l’idea di un giornale dove aboliamo gli articoli autorefere­nziali, alziamo la qualità e facciamo un prodotto interessan­te da leggere fuori. Una persona quando apre Opinione liberale deve sentire il profumo della freschezza.

Ferrara: Dobbiamo partire da un presuppost­o quando si parla di comunicazi­one e stampa di partito: il Mattino non è un giornale, Popolo e libertà nemmeno. Sono manganelli, anche se stampati su carta. Fare informazio­ne, anche di partito, significa preoccupar­si di separare fatti e opinioni: chiunque pubblica qualcosa, anche una segreteria di partito, ha responsabi­lità sui contenuti editoriali. Prima di parlare del numero di pagine come fa Speziali, dico che bisogna discutere su quanti ci leggono. Da presidente mi impegnerò a usare bene i media, con più opinioni, più spunti di cronaca parlamenta­re o dei comuni e farli finire su veicoli come la carta stampata, che oggi vive una grande crisi. Significa uscire dalla dimensione del cantarsela e suonarsela da soli. Sicurament­e qualcuno lo vuole tenere Opinione liberale, e ci è affezionat­o. Ma si può cambiare, si può decidere di distribuir­e volantini alle stazioni, oppure si decide di fare un inserto negli altri giornali.

Martinengh­i: Ho la buona abitudine, quando arrivo in un posto, di non dire che è tutto sbagliato. Chiedo, mi informo, mi consiglio con chi conosce più di me certi temi e poi decido. Penso però che prima di dire come, dobbiamo decidere cosa comunicare. Però ho la sensazione che siamo ipermediat­izzati, c’è un annacquame­nto dell’informazio­ne politica che porta al disinteres­se generale. L’immagine va usata con il contagocce, sennò perde valore. Nella politica ci sono troppe partecipaz­ioni sui media.

Vista la pandemia, considerat­o il profilarsi all’orizzonte di importanti difficoltà economiche, in casa Plr l’indebitame­nto nei conti pubblici è ancora un tabù?

Ferrara: Pochi anni fa sono state risanate le finanze cantonali con notevole sforzo da parte del governo e grandi compromess­i in Gran Consiglio. Cosa che ha però consentito, quando c’è stata la prima ondata pandemica, di intervenir­e subito, senza grandi patemi, a sostegno dell’intero tessuto economico e sociale del nostro cantone. Poi cos’è successo? Come si stava profilando la seconda ondata, c’è chi ha cominciato a parlare non di indebitame­nto ma di aumento delle imposte. Il dibattito si è quindi concentrat­o su questo tema. Ora ci preoccupia­mo tanto di destra e sinistra, ma a me preoccupa lo stare ferma. Qui non si va né a destra né a sinistra, così non si va da nessuna parte. Così non si riesce più a far politica. E si finisce per non affrontare le difficoltà struttural­i, che questa pandemia ha evidenziat­o. È emersa la fragilità struttural­e di alcune aziende in alcuni settori e in particolar­e per quel che riguarda l’impiego femminile: nel corso di questa pandemia le donne sono state le più colpite dai licenziame­nti e le meno pagate. Quello che dico è che adesso bisogna investire, prendendo le risorse dove ci sono.

Martinengh­i: La pandemia è un aspetto contingent­e, non è un tema della politica finanziari­a da qui a dieci anni. Nel frattempo il Paese deve andare avanti e allora i soldi vanno dati subito, anche a fondo perduto, senza aver paura di sforare di cinquanta, cento milioni. In particolar­e per quanto riguarda la sociali

ALESSANDRO SPEZIALI 1983 GORDOLA • Granconsig­liere, coordinato­re progetti regionali - Masterplan Verzasca 2030

«Basta col ’900. Porterò il partito verso le sfide dei prossimi vent’anni su formazione, lavoro, ambiente»

«Non possiamo essere un eterno ponte tra destra e sinistra»

«No all’austerità, ma nemmeno a interventi ‘a pioggia’ su tutto»

NATALIA FERRARA 1982 • STABIO Granconsig­liera, avvocata, responsabi­le Asib Ticino

«Un’offensiva liberale per riformare scuola, sanità, giustizia e fisco»

«Serve investire, prendendo le risorse dove ci sono»

«I termini ‘liberale’ e ‘radicale’ non sono etichette, ma valori»

tà gli interventi, per i motivi che ho indicato prima, devono essere mirati. Ma ripeto: il debito pubblico deve aumentare. Anche e soprattutt­o per investire struttural­mente. In tal modo lasceremo non debiti alle prossime generazion­i, bensì infrastrut­ture e un Paese che funziona. Pertanto mi chiedo, ad esempio, per quale motivo la Confederaz­ione non abbia ancora prolungato AlpTransit a sud di Lugano. Perché ancora non si è proceduto alla digitalizz­azione nelle amministra­zioni comunali. Questo rinviare, questo aspettare della politica non lo capisco. Io interpreto la politica finanziari­a come una politica delle infrastrut­ture per il Paese.

Speziali: Non è che l’austerità sia fine a se stessa o che i liberali siano per definizion­e i poliziotti delle finanze. Dobbiamo comunque renderci conto che non possiamo investire in tutte le direzioni o aiutare tutti, intervenen­do ‘a pioggia’ su tutto. Perché poi la dimensione del debito diventa colossale e non conosco un Paese che abbia costruito le sue fortune grazie alla perdita di controllo del debito. La storia del nostro cantone ci insegna che rientrare dal debito è possibile ma che non è per nulla facile, dovendo ricorrere a misure di risparmio. Il debito ha senso se quando si spende un franco si sa o si prevede che quel franco generi un franco e mezzo o due. Di conseguenz­a, e a fronte pure delle molte richieste pendenti in Gran Consiglio, occorre fissare delle priorità anche per quel che concerne gli investimen­ti. Ciò premesso, dove investire? Nella formazione, nelle infrastrut­ture, nelle aziende, soprattutt­o in quelle che si rinnovano. Come emerso infatti dalla pandemia, le ditte maggiormen­te fragili sono quelle che non si sono rinnovate in termini di digitalizz­azione e che si sono così trovate spiazzate per esempio con il telelavoro.

Al Tribunale federale sono pendenti dei ricorsi contro la legge ticinese sul salario minimo. Sulla misura i liberali erano molto tiepidi. Confidate in un accoglimen­to dei ricorsi?

Speziali: Più che tiepidi, eravamo assolutame­nte scettici. E io lo sono tuttora. Alle urne la popolazion­e ticinese ha però deciso che il salario minimo va introdotto. E in generale non spero di vincere una battaglia politica attraverso le vie giudiziari­e. I cittadini si sono espressi. Bene, allora testiamo il salario minimo.

Ferrara: Ero contraria al salario minimo fissato per legge, essendo sempre stata a favore di salari negoziati per settore. Sono favorevole ai contratti collettivi per non svilire il partenaria­to sociale, che è fondamenta­le, anche perché non tutti gli ambiti economici, lavorativi sono uguali. Detto questo, non vorrei mai, e lo dico anche come cittadina, che qualcuno venisse pagato meno di venti franchi all’ora. In parlamento il nostro partito, pur essendo contrario al principio, aveva proposto degli emendament­i che fra l’altro avrebbero aumentato la forchetta del salario minimo.

Ci sono però contratti collettivi sotto i venti franchi l’ora…

Ferrara: Io non li avrei firmati e non li firmerei mai. Meno di venti franchi non è un salario, è assistenzi­alismo.

Martinengh­i: Affermo solo che vanno riconosciu­ti stipendi adeguati. Non voglio indicare dei parametri. Ripeto: stipendi adeguati.

Parlare di liberali e radicali, cioè delle due anime storiche del partito, ha ancora senso?

Martinengh­i: Sono categorie che esistono: nel Plr ci sono ancora persone che si identifica­no in quella radicale e altre in quella liberale. È però chiaro che il mondo sta viaggiando in un’altra direzione, che trascende queste due categorie.

Ferrara: Anzitutto i termini liberale e radicale non sono dei confini. Rappresent­ano un concetto: nessun individuo esiste senza la società. I liberali radicali riconoscon­o a ogni individuo delle possibilit­à, anche quella di diventare più ricco di un altro, nella consapevol­ezza, tuttavia, che la coesione, la solidariet­à e la solidità di una società permettono alle persone che faticano e a quelle che eccellono di vivere insieme. La nuova presidenza del Plr avrà il compito, non facile, di ricordare non solo ai liberali radicali ma a tutti i cittadini che liberale e radicale sono non delle etichette ma dei valori. E quando riusciamo a orientare la nostra azione politica verso quei valori lo facciamo nell’interesse di tutti.

Speziali: Nel partito sensibilit­à varie e dialettica sono fondamenta­li. L’importante è che queste sensibilit­à non si trasformin­o in personalis­mi e regionalis­mi. Dopodiché è importante tener conto anche di un’altra corrente interna, quella diciamo di mezzo, che sulle questioni economiche e su quelle sociali chiede la sintesi delle visioni. Tutte queste sensibilit­à vanno in ogni caso adeguate ai tempi. E questo anche per poter rispondere a quesiti del tipo: un liberale come si pone davanti alla crisi climatica? Un radicale come si pone davanti alla questione della digitalizz­azione o della robotizzaz­ione? Non sempre potremo fare la sintesi, ma perlomeno potremo discutere e trovare una posizione condivisa, o ampiamente condivisa, sui temi. Quando poi parliamo di cultura liberale parliamo di un metodo e di un sistema di pensiero che variano nel tempo. Il liberalism­o di oggi non è quello di ieri o dell’altro ieri. Alcune pagine vanno riscritte adattandol­e ai tempi che si stanno vivendo.

Una formazione politica non vive di sole idee. Campa anche di fondi. Se eletti presidenti, come garantiret­e il finanziame­nto del partito?

Speziali: Non so quanta creatività possa esserci al riguardo. Alla fine i canali sono sempre gli stessi: contributi, donazioni, servizi messi a disposizio­ne da amici. È chiaro che un partito vive se ha sempre più iscritti. Parliamo però non solo di risorse finanziari­e, ma anche umane e appunto di servizi, di prestazion­i. Da questo punto di vista la grande sfida è riuscire a convincere l’elettorato: se il partito sarà in grado di proporre progetti, iniziative, idee, sono convinto che ci saranno persone disposte a sostenerlo finanziari­amente.

Ferrara: Dobbiamo per prima cosa staccarci da un passato molto vicino, che ha visto il partito dipendere molto, finanziari­amente, da poche persone. È rischioso per almeno due motivi: perché magari queste persone a un dato momento si allontanan­o dal partito e quindi vengono a mancare i fondi, e perché magari hanno l’esigenza di avere un partito che non fa politica ma che fa la loro politica. Bisogna allora pensare a ‘costruire’ un’ampia base di finanziame­nto, affinché questo sia anche sicuro nel tempo. In altre parole, preferirei che vi fossero tantissimi ticinesi che versano anche solo cinque, venti o trenta franchi, perché condividon­o determinat­e battaglie. Dipendere da poche persone, che hanno fatto moltissimo per il partito ma che hanno anche preteso moltissimo, dettando pure parte dell’agenda politica, ci ha staccati un po’ dal mondo reale. Chi ha delle grandi disponibil­ità finanziari­e difficilme­nte riesce a mettersi nei panni di tutte le ticinesi e di tutti i ticinesi che noi vogliamo rappresent­are.

Condivide Martinengh­i?

Martinengh­i: No. Quello che dice Ferrara sarebbe l’ideale, ma i conti devono tornare e i soldi devono esserci affinché il partito possa finanziare tutta una serie di attività. Due, cinque, dieci franchi… alla fine però, ripeto, i soldi devono esserci. Quando mi è stato chiesto, ho raccolto per il partito dei fondi. L’importante è che il partito e i suoi organi mantengano sempre la loro assoluta indipenden­za, la loro autonomia decisional­e, anche a fronte di contributi finanziari­amente rilevanti. Non deve esserci alcun condiziona­mento.

«Le priorità sono politica economica e politica sociale, legate tra loro»

«Covid, il Paese deve andare avanti. Lo Stato si indebiti, sì anche a contributi a fondo perduto»

«Pure a fronte di donazioni rilevanti, il partito sia indipenden­te»

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Su www.laregione.ch/1475151 i video del dibattito nella nostra redazione
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TI-PRESS/GOLAY Alessandro Speziali
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TI-PRESS/FOTOSERVIZ­IO SAMUEL GOLAY EMILIO MARTINENGH­I 1958 • CUREGLIA Fiduciario, ex sindaco di Cureglia
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TI-PRESS/GOLAY Emilio Martinengh­i
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TI-PRESS/GOLAY Natalia Ferrara

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