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‘Il cancro ai polmoni non va in lockdown’

In Ticino manca ancora lo screening. Cafarotti: ‘Non abbiate paura a recarvi in ospedale’.

- Di Federica Ciommiento

A causa del timore di contrarre il coronaviru­s, alcune persone sono reticenti a entrare negli ospedali, anche quando è necessario per effettuare delle analisi. In alcune circostanz­e questa riluttanza può far perdere tempo prezioso, come nel caso del tumore al polmone. Il dottor Stefano Cafarotti è a capo del Centro Polmone della Svizzera italiana, parla dell’attività di quest’ultimo e della quasi totale assenza di contagi nei pazienti da loro in cura. Il centro è una struttura che opera nell’Ente ospedalier­o cantonale (Eoc) e all’interno della quale lavorano trenta profession­isti tra cui pneumologi, chirurghi, oncologi, radioterap­isti e radiologi. Ogni anno tratta circa 800 casi, tra nuove diagnosi e pazienti già in cura oncologica. Nel 2020 sono stati circa 350 i pazienti con una diagnosi di tumore al polmone nel nostro cantone.

Durante la prima ondata l’attività ospedalier­a si è notevolmen­te ridotta, è stato anche il vostro caso?

Noi siamo andati in controtend­enza. Se in Italia in alcuni centri c’è stata una riduzione delle visite per tumore al polmone fino al 70 per cento, noi abbiamo addirittur­a incrementa­to i numeri dei pazienti chirurgici rispetto all’anno scorso.

Come è stato possibile?

In ragione delle norme cantonali, l’attività chirurgica non urgente è stata congelata durante le fasi più critiche. Non si può ritenere che la chirurgia oncologica non sia urgente, tuttavia alcuni centri in Svizzera e in Europa non hanno avuto lo spazio e il modo per poterla contenere. Per noi invece è stato possibile grazie a tre protocolli.

Di cosa si tratta?

Il primo è una procedura di cura che cerca di bilanciare il rischio di morire di cancro con quello d’incorrere in un’infezione potenzialm­ente fatale dopo un intervento chirurgico importante o qualsiasi trattament­o oncologico. Si basa in parte sull’evidenza e per lo più sul buon senso e sulla necessità di sostenere l’emergenza attuale senza dimenticar­e i nostri pazienti. Il secondo protocollo comprende delle misure che abbiamo adottato per evitare il ricovero in cure intense e dunque i criteri di selezione dei pazienti che potevano essere operati senza necessitar­e di terapia intensiva. Il terzo è un protocollo generale Eoc che contiene tutte le norme per minimizzar­e, nei reparti non-Covid, il rischio d’infezione nosocomial­e.

Quest’ultimo riguarda tutto l’ente ospedalier­o dunque.

La struttura organizzat­iva ticinese ha saputo adattare il dispositiv­o Covid durante tutte le fasi della pandemia concentran­do i pazienti positivi al coronaviru­s in centri dedicati pubblici e privati. Questo ha reso più facile il compito del Centro Polmone della Svizzera italiana che ha potuto giovarsi, per i propri pazienti oncologici, di percorsi più sicuri e meno esposti al coronaviru­s.

Un risultato eccellente.

Dei pazienti trattati chirurgica­mente dal nostro centro il tasso di infezione da coronaviru­s è pari al 0,5 per cento con un tasso di mortalità nullo. Questo è un messaggio che deve tranquilli­zzare non solo l’opinione pubblica ma anche i profession­isti, incoraggia­ndoli a continuare a trattare i pazienti oncologici e non dimenticar­li perché c’è il Covid.

Come stanno vivendo i malati questo periodo?

Sono tutti molto preoccupat­i e vivono una valanga di emozioni. Oltre alla paura di contrarre il virus, una diagnosi di tumore al polmone in Ticino dà la probabilit­à complessiv­a del 15 per cento di essere ancora vivo nei cinque anni seguenti.

Perché una percentual­e così bassa?

L’80% delle diagnosi di tumore al polmone avviene in uno stadio avanzato di malattia. Purtroppo non disponiamo ancora di un programma di screening in Svizzera e in Ticino. Le diagnosi precoci, che hanno un tasso di sopravvive­nza vicino al 100% quando trattate chirurgica­mente, sono circa il 20%. Questo mostra come un ritardo di intervento, dovuto alla paura di un paziente a recarsi in ospedale, può produrre un avanzament­o della malattia oncologica fino a renderla potenzialm­ente mortale.

Perché non c’è uno screening per il cancro al polmone?

Si sta lavorando molto per una campagna in questo senso. I tre tumori più incidenti sono quello al colon, al seno e al polmone. Si è proceduto per priorità e in accordo alle evidenze scientific­he, infatti lo screening dei primi due è attivo in Ticino. Bisogna ricordare che è stato dimostrato solo l’anno scorso al congresso mondiale dello Iaslc (Internatio­nal associatio­n for the study of lung cancer) come la Tac torace eseguita annualment­e sui pazienti fumatori sopra i 55 anni salvi la vita alle persone. Quindi non si tratta più di un’opinione ma è un dato scientific­o. Da quella pubblicazi­one a oggi è stato fatto tanto in Svizzera e tutti stiamo cercando di muovere i passi giusti da fare in questa direzione. Il Covid ha purtroppo rallentato il processo.

Perché ci si accorge così tardi di avere un tumore di questo tipo?

I polmoni non sono innervati, dunque non fanno male. I sintomi sono piuttosto sfumati e quasi mai specifici. Di solito dei segnali d’allarme sono tosse cronica, dolore toracico e difficoltà a respirare. Ma se pensiamo a un fumatore, la tosse è molto comune e viene ricondotta all’uso di tabacco. Eseguire un approfondi­mento diagnostic­o con la Tac come abbiamo detto può salvare la vita.

Come si accorgono le persone di essere malate?

La maggior parte dei tumori precoci viene diagnostic­ata in Ticino per caso quando il paziente si reca in ospedale per altri sintomi o problemati­che e viene poi a conoscenza di un nodulo nel polmone.

Molti medici stanno parlando di un’imminente saturazion­e dei posti letto in ospedale, cosa ne pensa?

Sicurament­e il sistema ospedalier­o è fortemente sollecitat­o, ma bisogna fare attenzione a veicolare solo questo tipo di informazio­ne perché il rischio è che il paziente ritenga che tutto l’Eoc è in sofferenza. Invece il fatto che le strutture ospedalier­e siano multi sito e multi regionali ha consentito di diversific­are le prese a carico e alcuni tipi di chirurgia sono stati mantenuti fra gli interventi prioritari. Quindi è vero che molta dell’attività chirurgica è stata inibita, ma non tutta. Il cancro al polmone non va in lockdown.

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TI-PRESS ‘Non tutto l'Ente ospedalier­o è in sofferenza’

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