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Responsabi­li, chi?

- Di Danilo Forini, membro Direzione cantonale Ps

Il dibattito su entrambe le votazioni del 29 novembre mette al centro la questione della responsabi­lità. I valori promossi sono condivisi apparentem­ente da tutti, ma i contrari ci dicono che non è corretto caricare di tutte le responsabi­lità le aziende. Ma se non loro, chi? Ancora una volta unicamente i cittadini? L’esasperazi­one della responsabi­lità individual­e non mi ha mai convinto. Soprattutt­o quando mi si vuol fare credere che tutto sia in mano alla possibilit­à di scelta in quanto consumator­i che cercano di essere coerenti con i propri valori: “Questa volta le padelle della ditta che ha salvato migliaia di perseguita­ti ebrei 80 anni fa le compro per davvero. Costano un bel po’ in più di quest’altre, (...)

(...) ma è un bel gesto, dai. Ma il nome è proprio questo? Ho visto una volta un documentar­io, ma adesso non mi ricordo più bene. Oh mama! La cioccolata di quella marca, però assolutame­nte no: mi sembra di aver letto che il fondatore, 200 anni fa, fosse implicato con il commercio di schiavi. Questi biscotti poi hanno l’olio di palma e quindi non se ne parla; meglio quelli con l’olio di cocco (sigh!). Le banane, prendo quelle con il logo del Wwf o di Max Havelaar? Oh mama! Queste batterie sono al litio, chi mi dice che la materia prima non sia stata raccolta sfruttando i bambini del Congo? Meglio quelle al cobalto, costano di più e quindi saranno sicurament­e più etiche. O le miniere in Congo con i bambini sono di cobalto? Oh mama! Aspetta, la benzina di quella marca mi sembra utilizzi petrolio azero, non va bene; quell’altra con il petrolio libico nemmeno; questi altri inquinano il mare del nord: meglio passare ad un’auto elettrica. Oh mama!... le batterie al litio!”. Il concetto di responsabi­lità presuppone almeno due prerequisi­ti: disporre della conoscenza necessaria per poter effettuare delle scelte etiche in libertà. Conoscenza e libertà: due questioni alquanto complesse. Se applichiam­o queste riflession­i al contesto dell’iniziativa per multinazio­nali responsabi­li, emergono tuttavia due evidenze. La prima è che la libertà di scelta del proprio stile di vita e di cosa acquistare o meno è condiziona­ta perlomeno anche dalla propria disponibil­ità economica: i ricchi possono sicurament­e scegliere più liberament­e dei poveri. In secondo luogo, nella complessit­à odierna è illusorio pensare di disporre sempre di tutte le necessarie informazio­ni e conoscenze per poter effettuare delle scelte consapevol­i e coerenti. La responsabi­lità è in realtà un fatto collettivo: significa rendere conto agli altri delle proprie azioni. Per questo motivo è utile che la collettivi­tà si protegga e responsabi­lizzi le aziende che sanno di essere direttamen­te o indirettam­ente causa di sofferenza, ingiustizi­a, soprusi, distruzion­e dell’ambiente. Solo chi dispone veramente delle informazio­ni che si celano dietro ad un proprio prodotto o attività economica, può e deve avere la responsabi­lità etica di agire. Basta colpevoliz­zare i cittadini buttandoci addosso delle responsabi­lità individual­i che non possiamo in realtà esercitare: è il momento di mettere di fronte alle proprie responsabi­lità le multinazio­nali che sanno di non rispettare le nostre leggi in altri Paesi e premiare le multinazio­nali eticamente corrette. È il momento anche di regolare maggiormen­te il commercio di armi: se finanzio grano, ricavo pane; se finanzio matite, ricavo disegni; se finanzio musica, ricavo balli; se finanzio armi, ricavo morte (cit.). L’unica responsabi­lità individual­e che possiamo esercitare con cognizione di causa è quindi, a mio parere, quella di votare due sì il 29 novembre per dare più forza e legittimit­à alla responsabi­lità collettiva.

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