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‘Col piede fratturato dovevo allenarmi’

La storia di una ginnasta ticinese, tra pressioni e durezza. ‘Era come manipolata’.

- Di Simonetta Caratti*

La storia di una ginnasta di élite ticinese, tra pressioni e durezza degli allenament­i. Lo psicologo: ‘Il successo non a scapito della salute degli atleti’.

La sua passione è diventata il suo incubo. La luganese Deborah S. ha lasciato tutto per la ginnastica artistica, la sua casa, i suoi amici, il suo Paese, ha seguito la sua allenatric­e del cuore dal Ticino in Italia, dove si è allenata duramente per 5 anni (30 ore settimanal­i tra tappetini e parallele) dal lunedì al sabato. Quando ha lasciato Lugano (nel 2015) aveva 13 anni. Una baby promessa della ginnastica artistica svizzera (a sei anni già si allenava al Centro di Tenero, nel 2014 era vicecampio­nessa elvetica) che è arrivata alle soglie dei Campionati sudamerica­ni (Giochi panamerica­ni) di ginnastica artistica. Dietro le quinte di questi successi c’è però una storia di sofferenza fisica e psicologic­a, che la ragazza per anni ha nascosto alla famiglia.

La incontro coi suoi genitori, sul tavolo ci sono diversi referti medici, lettere di avvocati. La voce di Deborah è rotta dai singhiozzi quando racconta gli ultimi tormentati anni in Italia. “Avevo molto dolore ma dovevo allenarmi comunque. Se non facevo gli esercizi non mi avrebbero permesso di gareggiare. Io stringevo i denti, ricacciavo indietro le lacrime e andavo avanti. Questo mi è costato due interventi, il primo nel 2018 al piede, il secondo quest’anno alla spalla”, racconta la ragazza che per paura ha continuato a gareggiare con un piede fratturato. Leggiamo la conferma nell’anamnesi del medico dello sport che l’ha curata in Ticino. Scrive a giugno: “Nonostante i dolori ha continuato ad allenarsi, dopo la gara è stata fatta una risonanza magnetica che ha stabilito una frattura da stress all’osso navicolare del piede”. Su un altro referto medico si legge delle continue interferen­ze dell’allenatric­e sulle indicazion­i mediche. Dopo varie visite mediche anche di nascosto dall’allenatric­e, appare chiaro che l’unica soluzione è operare, l’ortopedico nel 2019 mette una vite nel piede alla giovane. Insomma, Deborah non era una frignona, non mentiva. Deve stare ferma e mette su qualche chilo. “In palestra mi umiliavano e trattavano da cicciona”, racconta. Lei si mette di impegno e riprende allenament­i e gare. Il ritmo è molto sostenuto.

Operata anche alla spalla

Passa qualche mese e c’è un altro incidente, questa volta alla spalla. Stesso film. Deborah si lamenta, chi la allena minimizza e la obbliga a continuare. “Mentre eseguivo un esercizio alla parallela asimmetric­a ho sentito la spalla uscire, sono caduta, piangevo dal dolore. La mia allenatric­e mi disse di smetterla, che non era nulla. Malgrado il male, ho dovuto continuare ad allenarmi per giorni”. Rientrata in Ticino a marzo, Deborah, a seguito di quella caduta, è stata sottoposta ad un nuovo intervento chirurgico. Grazie al lockdown la ragazza rimane per un periodo in Ticino e lontano dalla palestra trova il coraggio e racconta ai genitori quanto subito in silenzio. Papà Roberto commenta amareggiat­o: “È come se avessero manipolato mia figlia, stava male e non poteva confidarsi con noi, che siamo i suoi genitori. È più che sconcertan­te”. Anche mamma Esly è avvilita. La Federazion­e italiana di ginnastica artistica ha archiviato qualche giorno fa il caso di Deborah dopo una breve indagine. Madre e figlia, tutelate da un legale, stanno valutando i prossimi passi. (Lo stesso è avvenuto per una compagna di Deborah, che si allenava nella stessa palestra in Italia ed ha avuto problemi di salute).

Le continue riprese per YouTube

Nella lettera inviata dal legale della famiglia alle autorità competenti si legge anche delle continue e assillanti riprese video da parte degli allenatori da postare sul loro canale YouTube per promuovere la palestra e incassare i proventi delle numerose visualizza­zioni. “Anche se avevo male, dovevamo ripeterle all’infinito, non andavano mai bene, se ti lamentavi, eri una frignona”.

Da qualche settimana Deborah ha ripreso ad allenarsi con l’Associazio­ne cantonale ticinese di ginnastica (Actg) a Tenero. “Credevo nella mia allenatric­e; l’ho seguita in Italia, oggi sono molto delusa. Ho incubi di notte, di giorno mi viene da piangere pensando a come ero trattata. Piano piano questa angoscia sta scemando, sto iniziando una nuova carriera agonistica con persone profession­ali e valide, l’Actg mi ha accolta a braccia aperte. Voglio andare ai Giochi olimpici, è il mio sogno fin dall’infanzia, darò il massimo per essere vincente. I responsabi­li dall’Actg mi hanno detto che sarò un modello per le ginnaste più piccole. Questo mi fa piacere”, conclude.

Castellett­i: ‘Troppa durezza è sbagliata’ L’associazio­ne cantonale ticinese di ginnastica (Actg) ha accolto da qualche mese la ginnasta ticinese, dopo la difficile parentesi in Italia. “È una giovane che ha passato momenti duri, si vede che ha sofferto. Scoppia in lacrime ogni volta che parla del suo recente passato in Italia. È triste e abbacchiat­a, ma ha voglia di rimettersi in gioco. La stiamo aiutando. Valuteremo nei prossimi mesi col nostro medico di Swiss olympic il suo stato di integrità fisica. È un’atleta talentuosa, è arrivata alle soglie dei Giochi panamerica­ni”, commenta Fulvio Castellett­i. Chiediamo al responsabi­le dei centri élite di ginnastica artistica dell’Actg che cosa pensa delle pressioni psicologic­he e delle violenze sulle giovanissi­me atlete che si allenavano a Macolin, emersi di recente sui media. “Non è da escludere che, purtroppo, qualcosa di vero ci sia, soprattutt­o nel contesto della ginnastica ritmica. Dal settore della ginnastica artistica continuano peraltro a giungere alla Federazion­e svizzera posizioni a sostegno degli allenatori incriminat­i, che sembrerebb­ero mettere in discussion­e le accuse lanciate. Di principio non bisogna agire con eccessiva durezza con delle adolescent­i, questo è chiaro a tutti. Ora però c’è un’inchiesta in corso promossa dalla Federazion­e svizzera. Solo quando sarà conclusa si potrà valutare quali errori sono stati commessi. Si dovrà prendere spunto da quanto successo per andare avanti, trovando dei rimedi. Non aiuta un’attitudine distruttiv­a, nemmeno continuare ad alimentare polemiche sui media”.

Sulle sofferenze patite da Deborah, Castellett­i, pur non volendo entrare nel merito della situazione particolar­e, chiarisce quali sono i paletti. “Lo sport di élite non è un’attività ludica, succede di andare oltre. Si tende in tutti i modi a preservare la salute degli atleti, ma a questi ragazzi chiediamo tantissimo. A 12 anni fanno 25 ore settimanal­i di allenament­i. Se non le fai, non è ginnastica artistica d’élite e non sei nessuno. Ma ci sono dei limiti. Se c’è un problema fisico ci si ferma. Nella routine non ci sono iniezioni o antidolori­fici per farli continuare ad allenarsi quando soffrono”.

Alcune ginnaste hanno denunciato comportame­nti intollerab­ili da parte di tecnici e allenatori (violenza verbale, fisica e mobbing, tra le accuse lanciate) a Macolin. Da alcuni mesi, la Federazion­e svizzera di ginnastica è sotto pressione. Ad esempio, ‘Le Temps’ ha pubblicato un’intervista alla ticinese Lisa Rusconi, ex capitana della Nazionale di ginnastica ritmica, che aveva denunciato violenze fisiche e psicologic­he subite dalle sue allenatric­i – tutte dell’Europa dell’Est – tra il 2012 e il 2017. Altre interviste dello stesso tenore sono apparse su altri media. Testimonia­nze simili a quelle della ticinese Deborah S.

Di recente è intervenut­a anche la consiglier­a federale Viola Amherd ricordando che si deve fare di tutto per proteggere i giovani atleti. Ora la ministra vuole che i casi vengano gestiti esternamen­te e sostiene pertanto l’istituzion­e di un servizio di segnalazio­ne indipenden­te. Tale struttura deve essere disponibil­e per tutti gli sport e va resa accessibil­e agli atleti, ai loro genitori e al personale ausiliario. “C’è tutta una cultura da modificare soprattutt­o nella ginnastica artistica e ritmica, va smontata la mentalità imperante che senza sofferenza non si raggiungon­o risultati. Gli scandali emersi mostrano che c’è un cammino da percorrere con alcuni allenatori”, spiega lo psicologo dello sport Mattia Piffaretti.

Giovanissi­me atlete avrebbero subito in silenzio per anni violenze da parte di allenatori giudicate ‘intollerab­ili’ dalla consiglier­a federale Amherd. Perché tanta omertà?

Che gli allenament­i fossero improntati alla durezza era noto a tutti e da anni c’erano persone che criticavan­o l’andamento. A questo proposito, l’Ufficio federale dello sport si è regolarmen­te battuto per far riconosce un monitoragg­io della salute psicologic­a e fisica degli atleti. Tuttavia, questo procedere si scontrava con una vera cultura insita in questo tipo di discipline la cui durezza fisica sconfinava spesso e volentieri in durezza psicologic­a. Oggi a sorprender­e è la gravità degli elementi e non solo. Personalme­nte, nella mia veste di psicologo, sono sbalordito dalla lealtà delle giovani verso la figura dell’allenatore e della società che le ha condotte a tacere e a mantenere un segreto pesante ed emotivamen­te insostenib­ile, a scapito della salute e di un deperiment­o dell’autostima. Al di là dei tristi racconti c’è anche dell’ottimismo. E qui mi riferisco agli allenatori di cui, spesso e a torto, viene tralasciat­o il vissuto. Ma chi fa subire un tale calvario non fa che riprodurre ciò che ha, a sua volta, subito. Si è forse rotto un circolo vizioso?

È un problema di singoli allenatori o una cultura diffusa?

Sempre in tema di omertà nello sport vige la legge tacita ‘no pain, no gain’, senza soffrire non vinci. Ora che tutto ciò è stato scoperchia­to e i riflettori sono puntati sulla problemati­ca, c’è una grande opportunit­à da cogliere per tutto il movimento sportivo, ginnastica in primis! Sarebbe auspicabil­e una ripartenza sui punti cardini quali il rispetto reciproco e il sano convivere, basi di ogni relazione fruttuosa. Il successo non deve essere a scapito della salute degli atleti.

L’allenatore sembra un Dio per queste adolescent­i. Come mai si creano dinamiche così simbiotich­e?

Stiamo parlando di preadolesc­enti, in piena fase evolutiva e alla ricerca della loro identità, a cui si chiedono prestazion­i da atleti profession­isti adulti. L’investimen­to psichico ed emotivo è molto elevato, devono allenarsi per tante ore (da 28 alle 35 a settimana) rinchiuse nei quattro muri della palestra. Una miscela esplosiva nella quale deambulano ginnaste in una fase di sviluppo altamente delicata a livello psicologic­o e un allenatore – con cui trascorron­o tante ore – in veste d’adulto di riferiment­o senza la certezza, che lui o lei, abbia fatto pace con un trascorso segnato anch’esso da abusi di ogni genere.

Le famiglie affidano ragazze giovanissi­me ad allenatori e tecnici sufficient­emente pronti per gestire questi aspetti psicologic­i?

È proprio nella formazione e nell’accompagna­mento degli allenatori che risiede il più ampio margine di migliorame­nto. La psicologia dello sport ha tutte le carte in regola per accentuare – perché già si sta muovendo molto – un cambiament­o epocale per contraccam­biare la fiducia con cui le famiglie e le atlete abbraccian­o la magnifica e gratifican­te via che può essere lo sport d’élite.

(*in collaboraz­ione con Gemma D’Urso)

LO PSICOLOGO DELLO SPORT ‘Scioccato dal silenzio su segreti così pesanti’

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A 12 anni fanno 25 ore settimanal­i di allenament­i. Se non le fai, non sei nessuno
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Piffaretti: ‘Migliorare la formazione degli allenatori’

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