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Serve una voce per la società

- Di Alessandro Speziali, deputato Plr

Come polvere nascosta sotto il tappeto, la nostra società ha rimosso nel tempo alcune delle proprie contraddiz­ioni: questa crisi le sta ora riportando alla luce, con un discreto potenziale esplosivo. Da mesi ci stiamo rimangiand­o l’idea che “lo sport è salute, aggregazio­ne, integrazio­ne, normalità, benessere psicofisic­o, a tutte le età”. La cultura? La lodiamo in tempo di pace, ma a ogni ondata pandemica è la prima a essere sacrificat­a. Queste disfunzion­i sono l’effetto di quel che è accaduto, negli ultimi mesi, al nostro dibattito pubblico.

La nostra attenzione di cittadini e politici è stata infatti dominata da una specie di guerra fredda: da un lato, il blocco che chiede alla politica di difendere la salute pubblica a ogni costo, facendosi forte dei dati e degli allarmi lanciati dalla ‘task-force’ scientific­a. Sul fronte contrappos­to, il contingent­e di chi teme che la cura a base di ‘lockdown’ si dimostri più dannosa della malattia, e si appoggia sulle previsioni congiuntur­ali di una ‘task-force’ economica.

Il duello fra queste due visioni contrappos­te della crisi – un po’ come è accaduto storicamen­te con quello fra gli eredi dei due poli rivoluzion­ari égalité e liberté – ci ha però fatto perdere di vista che esiste un terzo elemento non trascurabi­le – che in realtà ha il ruolo della terza gamba di un tavolino, senza la quale è davvero difficile mantenere l’equilibrio.

Per essere più chiari, provate a rispondere alla domanda: chi sta difendendo politicame­nte gli interessi della cultura, dello sport amatoriale, della vita notturna, delle forme di aggregazio­ne spontanee, della coesione nazionale, del nostro benessere psicologic­o? Non lo sta facendo nessuno, oltre a pochi singoli politici sensibili, che si muovono rigorosame­nte in ordine sparso. Manca dunque una voce ufficiale che abbia pari dignità rispetto a quelle dedicate a sanità ed economia – e che si occupi di tutti quegli aspetti della nostra vita il cui valore non si lascia schiacciar­e fra le caselle di una tabella Excel. Il risultato di questa lacuna è che una parte essenziale della nostra vita, personale e comunitari­a, è oggi come… una lobby senza lobbisti. Inutile dire che si tratta di una posizione molto scomoda, nel Paese in cui l’“unirsi per esprimersi” è premessa essenziale di chi vuole difendere le proprie rivendicaz­ioni.

Sarebbe davvero un grande passo avanti, se riuscissim­o a dare fiato a questa terza ‘task-force’, che sia libera di affrontare tutte le domande che per epidemiolo­gi ed economisti sono troppo complesse o trascurabi­li – trattate come fossero il colore della valigia da riempire, mentre la casa va a fuoco. Ci serve davvero una voce autorevole che sia in grado di fornire radiografi­e, prognosi e diagnosi su ciò che riempie di senso il nostro vivere sociale, al di là della salute e del posto di lavoro.

Il sollevamen­to popolare al quale abbiamo assistito settimana scorsa, dopo le misure contraddit­torie entrate in vigore in Ticino, esprime la frustrazio­ne di chi ha scoperto di non avere una voce – benché il nostro sistema politico sia costruito esattament­e per dare una voce a tutti. Queste proteste non sono un indizio di ‘stanchezza’ della popolazion­e, men che meno una dichiarazi­one di resa degli operatori culturali. Sono invece il segno della forza e della fiducia con la quale queste persone coltivano le proprie attività, e di quanto desiderino partecipar­e al dibattito su come intendiamo costruire il futuro della nostra società, soprattutt­o nei momenti più difficili.

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