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Quartiere Officine, ‘idea forte che crea identità’

Risponde alle critiche la presidente della commission­e d’esperti che ha scelto il progetto

- Di Marino Molinaro

L’architetta zurighese Sabrina Contratto, presidente della commission­e d’esperti che ha optato per la ‘Porta del Ticino’, difende la scelta e il progetto: ‘La sua forza è nella sua ricchezza’.

Per rispondere alle criticità espresse nelle ultime settimane nei confronti del previsto nuovo Quartiere Officine di Bellinzona, il nostro giornale interpella oggi l’architetta Sabrina Contratto di Zurigo, presidente della commission­e d’esperti che nell’ambito del Mandato di studio in parallelo deciso dal Municipio cittadino ha valutato le proposte dei cinque team interdisci­plinari coinvolti optando all’unanimità per il progetto ‘Porta del Ticino’ esposto in piazza del Sole. Con una premessa riguardo all’iter: «Lo sviluppo urbano, soprattutt­o quando coinvolge un quartiere di questa dimensione e in questo luogo eccezional­e, richiede un orizzonte temporale di almeno 50 anni. Ciò vuol dire che, all’inizio, l’attenzione non è rivolta ai singoli edifici, ma a una visione spaziale e a una strategia corrispond­ente che garantisca uno sviluppo di alta qualità a lungo termine. Per qualità intendiamo la qualità degli spazi pubblici come piazze, parchi, strade e sentieri, ma anche la qualità di garantire lo spazio per le esigenze di più utenti possibile. Ciò richiede una buona struttura spaziale, un manuale di regole di qualità e un’idea forte che crei un’identità per il territorio».

Architetta Contratto, c’è chi parla di ‘spianata di costruzion­i’ priva di dialogo con i quartieri circostant­i, e chi di poca fantasia. Secondo lei perché è così bello il progetto ‘Porta del Ticino’? Quali peculiarit­à lo differenzi­ano dagli altri quattro?

Il progetto scelto ha convinto il collegio d’esperti per diversi motivi. Da un lato dà all’area storica, che ha un alto valore emozionale per i bellinzone­si, un nuovo valore storico futuro liberandos­i dalla chiusura struttural­e; inoltre, con l’idea di base di un’almenda al centro dell’area, dando gradualmen­te ai cittadini la possibilit­à di appropriar­si dell’area. Questa idea di base di uno spazio aperto comune accompagna­to dalla Cattedrale come centro comunitari­o ha convinto il collegio d’esperti. Non condivido l’impression­e che il progetto non terrebbe sufficient­emente conto del contesto. Il progetto adotta un approccio molto preciso alla permeabili­tà esistente, e riprende in modo molto efficace le strade e i sentieri esistenti verso il quartiere e per la prima volta crea un collegamen­to convincent­e da nord a sud. Ad esempio, il proseguime­nto della strada lungo i binari nella zona del pendio crea un incredibil­e valore aggiunto.

Edificazio­ne diffusa su gran parte del terreno disponibil­e, anziché una verticaliz­zazione (una o due torri) che avrebbe lasciato più area libera per soddisfare la necessità di grandi eventi pubblici e creato un dialogo antico-moderno con le due torri di Castelgran­de. Perché la prima idea ha prevalso sulla seconda?

Bellinzona è nota per i suoi castelli e le sue chiese: al collegio d’esperti (come tra l’altro all’Ufficio federale della cultura) non sembrava appropriat­o porre una torre residenzia­le di fronte alle torri medievali del castello. D’altra parte, l’idea del progetto selezionat­o di estendere il rapporto spaziale degli edifici storici aggiungend­o un altro edificio storico, la Cattedrale, sembrava molto più fine e convincent­e. Questo rapporto diventa spazialmen­te percettibi­le liberando la Cattedrale, situata proprio sull’asse del castello. Trovare un equilibrio ottimale tra spazio sviluppato e non sviluppato in un’area urbana è una sfida. Ma più spazio aperto non significa automatica­mente più qualità. Spazi aperti non definiti possono avere un effetto costoso e non identifica­to, mentre uno spazio aperto chiaro e di grandi dimensioni ha un effetto calmante e purificato­re.

Più voci ritengono eccessivo il numero previsto di edifici nuovi (una trentina) e di abitanti (2’500). Cifre adatte per quel comparto e per la Bellinzona del futuro?

Concordo che un’immagine così ‘definitiva’, come quella proposta nell’esposizion­e dei progetti in piazza del Sole e sui media, possa essere sconvolgen­te. Ma per quanto le visioni siano importanti, possono talvolta dare un’immagine sbagliata. Questa visione non significa un progetto pronto alla realizzazi­one. Gli edifici sono piuttosto da intendersi come segnaposto. Come detto all’inizio, questo completame­nto richiede almeno 50 anni, il che nel mio caso significa che le mie figlie lo vivranno, ma purtroppo io no. Ciò significa che all’inizio si è dovuta fare un’ipotesi su quante persone e quanti dipendenti potrebbero stabilirsi nel lungo termine. Una certa quota è prescritta dalla Legge sulla pianificaz­ione regionale. L’idea della densificaz­ione interna è particolar­mente valida in questa zona perché si trova direttamen­te accanto alla stazione ferroviari­a. Gli utilizzi previsti sono anche un’incredibil­e opportunit­à per Bellinzona di attrarre target vecchi e nuovi.

Ma non vede anche lei il rischio di speculazio­ne edilizia e di un eccessivo sfruttamen­to del suolo?

No. Trovo il termine ‘speculazio­ne’ fastidioso e in questo caso inopportun­o. Una delle mie responsabi­lità come presidente di questa procedura era di rendere giustizia a tutte le parti. E sono molto soddisfatt­a della maniera complessiv­amente rispettosa in cui si è svolto il processo.

Se parlare di speculazio­ne è eccessivo, ritiene davvero necessaria una nuova offerta abitativa e commercial­e così massiccia per soddisfare le esigenze di formazione, tecnologia, cultura, intergener­azionalità, socializza­zione e relax?

La risposta va ritrovata in questa domanda: cosa genera un buon quartiere? La più ricca gamma possibile di utilizzi diversi. Ma questo è ottenibile solo se c’è una densità minima di persone. Utilizzi come l’amministra­zione cantonale e l’Innovation Park garantisco­no già oggi un certo numero di posti di lavoro. Questi aumentano la necessità di uno spazio abitativo adeguato. Ma un buon quartiere significa anche un alto mix di persone, cioè giovani e anziani single, famiglie, studenti e anche appartamen­ti nel segmento superiore. Questi residenti a loro volta creano una domanda per scuole elementari, negozi e ristoranti o bar. Una posizione di partenza che ritengo incredibil­e.

Tuttavia, che senso ha inserire una densità abitativa così elevata in un contesto storicamen­te industrial­e? Detto altrimenti, ritiene che Città e Cantone con l’accordo sottoscrit­to nel dicembre 2017 si siano piegate al volere delle Ffs?

Contro-domanda: dove altro si dovrebbe aumentare la densità? Forse ai margini dell’insediamen­to, dove non ci sono mezzi pubblici, scuole e negozi e i residenti sono costretti a usare l’auto? Credo di no. Se si pone la questione della densificaz­ione, è ovvio scegliere località ben sviluppate, come prescritto dalla Legge di pianificaz­ione regionale. Perciò sì, ha senso aprire l’Officina su un nuovo capitolo e svilupparl­o. Quanto alla seconda domanda: da un lato le Ffs sono ancora un importante datore di lavoro per i bellinzone­si e dall’altro sono interessat­e a sviluppare un quartiere di qualità. Ciò significa, anche, creare alloggi che la gente può permetters­i. Altrimenti ci sarà un alto tasso di sfitto che danneggerà i proprietar­i e la reputazion­e del quartiere. Quindi no, non credo che Cantone e Comune si siano piegati al volere delle Ferrovie.

Ritiene allora pensabile, o lo auspica, un contenimen­to degli indici di sfruttamen­to nell’ambito della variante di Piano regolatore?

Vede, lo sviluppo urbano è affascinan­te e complesso. Ci sono incredibil­mente molti fattori che influenzan­o le decisioni. In questa fase si devono stabilire le regole di base del gioco, che definiscon­o lo spazio pubblico, il mix di utilizzi, le aree minime ma soprattutt­o i requisiti di qualità. Dev’essere garantito un minimo di spazio, non principalm­ente per motivi economici ma soprattutt­o per assicurare un quartiere vivace, come ho spiegato in una risposta precedente.

Il Municipio ha anche varato il Piano d’azione comunale, preludio al nuovo Piano regolatore unico della nuova Bellinzona. Il masterplan e il progetto ‘Porta del Ticino’ s’inseriscon­o correttame­nte nel Pac?

C’è chi lamenta la mancanza di una progettual­ità d’assieme.

Non condivido questa opinione. Il masterplan agisce su una scala diversa e lo fa molto bene. Il masterplan si concentra, tra l’altro, sul collegamen­to dei quartieri, sul rafforzame­nto del paesaggio fluviale. Afferma inoltre che ha senso consolidar­e l’area della stazione. Tuttavia, un tale piano generale non può riguardare lo sviluppo di singole aree. L’importante, sono d’accordo, è che l’approfondi­mento non si contraddic­a e segua un filo conduttore. È proprio quanto si sta concretizz­ando.

Demografia ticinese in calo e sfitto in crescita anche a Bellinzona: con la ‘Porta del Ticino’ c’è chi teme di avere alla fine un transatlan­tico spiaggiato a 300 km dal mare. Non vede questo pericolo?

Come dicevo prima, ci vorranno 50 anni per costruire questo quartiere. Le regole che poniamo oggi devono permettere uno sviluppo secondo le possibilit­à e il fabbisogno, e la proiezione attuale sulla crescita demografic­a di Bellinzona, fra cinque anni sarà già superata. Grazie alle sue dimensioni, alla posizione e al programma d’utilizzo, il quartiere ha le migliori premesse per operare come un transatlan­tico in mare.

Cattedrale a parte, c’è chi critica la realizzazi­one di un contenitor­e privo di memoria storica del sito industrial­e. Non si poteva osare di più?

Se ci si prendesse la briga di studiare le varie tappe e le componenti del progetto, domande come queste sarebbero obsolete. Da un lato, le analisi hanno mostrato quali capannoni varrebbe la pena conservare, quali potrebbero ancora essere utilizzati e quali no. I vecchi edifici non vanno conservati solo perché sono vecchi. Inoltre, il piano delle tappe mostra numerosi scenari secondo cui diversi padiglioni possono essere mantenuti. Questo progetto permette un numero sorprenden­te di variazioni senza perdere il concetto base.

Nelle interviste proposte dalla ‘Regione’ vengono citati i recuperi di vecchi siti industrial­i fatti a Losanna (polo museale) e Zugo (coinvolgim­ento della popolazion­e nella definizion­e dei contenuti).

A Bellinzona il masterplan è stato invece calato dall’alto con l’accordo Città-CantoneFfs senza che la cittadinan­za abbia potuto dire nulla, a parte bocciare l’iniziativa popolare ‘Giù le mani dall’Officina’. Ritiene sostenibil­e questo modo di fare?

E in effetti, già si parla di referendum contro la variante di Pr.

Un masterplan come quello di Bellinzona contribuis­ce soprattutt­o a sviluppare una strategia spaziale olistica che si occupi anche di questioni ecologiche, storiche, sociali ed economiche su vasta scala. Immagino che in questo caso la partecipaz­ione sarebbe stata troppo complessa e astratta. Nel caso dell’Officina, due le vie ipotizzabi­li. O si coinvolge la popolazion­e fin dall’inizio, ma non si dispone di esempi e punti di riferiment­o su cui basare una discussion­e. Questo porta molto spesso a un desiderio che non può essere esaudito e può quindi portare alla delusione. La seconda opzione è sviluppare anzitutto un concetto generale, in base al quale la popolazion­e viene poi coinvolta. Così facendo la gente può successiva­mente esporre preoccupaz­ioni e desideri molto più concreti. Ciò che rende il processo più significat­ivo e tangibile. Indispensa­bile, a mio avviso, è il processo di partecipaz­ione. Perciò sono anche grata per questo colloquio con la ‘Regione’. Le impression­i critiche aiutano ad affinare e a stabilizza­re il progetto.

Un giudizio finale sui tre attori coinvolti?

Durante il processo ho sperimenta­to personalme­nte come Comune, Cantone e Ffs siano incredibil­mente responsabi­li e interessat­i e abbiano un approccio serio, profondo. La discussion­e critica su tutti i progetti è stata condotta principalm­ente da profession­isti. In presenza di divergenze, le discussion­i sono proseguite fino al raggiungim­ento di un accordo. Il progetto selezionat­o ha il potenziale più elevato e allo stesso tempo permette un certo grado di adattabili­tà alle condizioni.

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L'architetta zurighese Sabrina Contratto e alcuni rendering della ‘Porta del Ticino’

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