laRegione

Le libertà di Emilio Bossi

Edy Bernasconi ricorda il politico ticinese a 150 anni dalla nascita e 100 dalla morte

- Di Ivo Silvestro

1870 e 1920: sono gli anni di nascita e di morte di Emilio Bossi, gli estremi di una vita dedicata alla cosa pubblica, a ‘Libertà e laicità’ come riassume il titolo del volume scritto da Edy Bernasconi, con disegni di Ivo Soldini e prefazione dello storico Orazio Martinetti, e pubblicato da Fontana edizioni in collaboraz­ione con l’Associazio­ne ticinese di cremazione che oggi gli dedicherà il Crematorio di Lugano.

Le due date sono importanti, non solo perché ricordano il doppio anniversar­io – centocinqu­ant’anni dalla nascita e cento dalla morte – che fa da occasione per la pubblicazi­one del volume, ma soprattutt­o perché sono il contesto nel quale si mosse Emilio Bossi, o Milesbo come era solito firmarsi nei suoi interventi di fine polemista. Parliamo dello sviluppo del Ticino moderno, della feroce contrappos­izione tra conservato­ri e liberali che portò, nel 1890, a un colpo di Stato da parte dei liberali; dello sviluppo del movimento operaio, del dibattito sulla neutralità e l’identità nazionale con la Grande Guerra. È anche il periodo dell’introduzio­ne della cremazione in Ticino, alla quale è dedicata un’appendice.

Edy Bernasconi dedica quasi un terzo del libro a ripercorre­re quegli anni, a ricordare il contesto sociale e politico, con i primi capitoli e con alcune schede biografich­e conclusive: non per fare una comunque utile lezioncina di storia, ma per dare un senso all’opera e alle idee di Emilio Bossi, evitando così letture “astoriche” del suo anticleric­alismo o della sua difesa della “italianità” del Ticino. Un’interpreta­zione storica che non si ferma al passato ma guarda anche al presente: alle date del 1870 e del 1920 dobbiamo quindi aggiungere quella del 2020 dal quale guardiamo agli anni di Milesbo, perché quello di Edy Bernasconi è un lavoro che potremmo definire militante, un invito a riflettere sull’attualità di certe battaglie.

Edy Bernasconi, perché è così importante il contesto storico per comprender­e l’anticleric­alismo di Milesbo?

Perché cambia il paradigma del problema dei rapporti tra Stato e Chiesa: durante l’Ottocento più che la separazion­e tra Chiesa e Stato, il problema era sottoporre la Chiesa al controllo dello Stato. Questo, pensando in particolar­e alla situazione ticinese, per due motivi. Il primo è che non esisteva la diocesi di Lugano, per cui il Ticino era territorio di diocesi “straniere”. Ma soprattutt­o queste diocesi disponevan­o di grossi beni: il principio dell’imposizion­e diretta su reddito e sostanza arriva solo verso la fine dell’Ottocento e il Cantone, nato nel 1803, aveva bisogno di molti fondi per la scuola, per le vie di collegamen­to. L’idea dominante, anche tra i liberali, è controllar­e la Chiesa, fare in modo che le diocesi contribuis­cano con i loro averi allo sviluppo del Paese.

Cosa capita con Milesbo?

Con personaggi come Emilio Bossi e Romeo Manzoni si fa largo un’idea più francese di laicità: la separazion­e tra Stato e Chiesa, garantendo alla Chiesa la sua piena libertà ma senza nessun diritto su leggi e regolament­i, prerogativ­e presenti invece nella legge civile-ecclesiast­ica del 1886 voluta dai conservato­ri.

E attenzione: negli scritti di Milesbo io non ho mai trovato la parola “ateo”. È evidente che le sue ricerche l’hanno portato a essere, se non un ateo, quantomeno un agnostico, ma ha sempre separato il discorso filosofico da quello politico.

Il suo saggio ‘Gesù Cristo non è mai esistito’ va certamente in quella direzione, atea o agnostica.

Sì, ma è l’opera innanzitut­to di una persona convinta che la religione sia una produzione culturale umana e non divina e come tale la studia. Il Bossi filosofo e intellettu­ale è un positivist­a, un pensatore vicino a Herbert Spencer, a Ernest Renan, convinto che la scienza fosse l’unica via per la ricerca della verità.

Ma il Bossi politico è per la libertà religiosa: intervenne addirittur­a a favore del diritto dei gesuiti a professare in Svizzera, cosa assolutame­nte non banale per un liberale visto il loro ruolo nella guerra del Sonderbund. I gesuiti, per Bossi, sono reazionari e pericolosi, ma la proibizion­e viola i loro diritti. La libertà può essere tale solo se lo Stato non ha religione: e all’epoca in Ticino la religione cattolica era religione di stato. Libertà e laicità non intesa come lotta alla religione: lui non ha in mente uno Stato ateo, ma uno Stato neutro in materia di religione.

Lo Stato come arbitro dei conflitti.

E non solo religiosi ma anche sociali: per il liberale Bossi lo Stato non dovrebbe parteggiar­e né per il mondo del capitale e dell’economia né per il mondo del lavoro ma mettere entrambi i fronti sullo stesso piano.

Un liberale anomalo, per gli standard moderni.

Certo. Arriva addirittur­a a dire il liberalism­o ha fatto il proprio tempo: non per i rapporti tra Chiesa e Stato – su quel tema i radicali hanno praticamen­te perso tutte le battaglie –, ma su temi quali il diritto di voto universale e lo Stato di diritto il liberalism­o ha esaurito il suo compito. Dovrebbe quindi rinnovarsi perché la sfida è passare da una democrazia formale a una democrazia con maggiori contenuti, il che significa riconoscer­e maggiore spazio, maggiori diritti ai ceti subalterni e ai lavoratori.

Un avviciname­nto al socialismo.

Nel 1900 Bossi partecipò alla fondazione del Partito socialista ticinese. Ma ci sarà una rottura con il movimento operaio e i socialisti anche a causa dell’interventi­smo di Bossi durante la Prima guerra mondiale, ma magari ci torniamo più avanti. Bossi spinge per un rinnovamen­to del pensiero liberale in una direzione più sociale: si batte per una riforma delle leggi sul lavoro, per il principio di proporzion­alità delle imposte.

Rimaneva comunque un liberale.

Non ha mai contestato il principio della proprietà privata: più che un socialista era un fabiano inglese. Sembra che conoscesse bene Marx ma non pensava che la storia potesse essere spiegata solo come storia delle lotte di classe. Il liberalism­o deve cercare di coniugarsi con le istanze dei più deboli affinché la democrazia liberale diventi effettiva. Critica duramente la Rivoluzion­e russa, contrario alla dittatura del proletaria­to perché ad andare al potere non è il popolo, ma dei burocrati che si presentano come rappresent­anti del popolo e diventano dittatori – e su questo possiamo dire che la storia gli ha dato ragione. Critica lo sciopero generale del 1918, secondo lui opera di agenti tedeschi.

E l’interventi­smo?

Questione delicata, perché c’era il rischio di confondere interventi­smo con irredentis­mo, ma Bossi non mi sembra proprio avesse simpatie per il movimento che voleva separare il Ticino dal resto della Svizzera. Il suo interventi­smo si rifà alla tradizione risorgimen­tale, in difesa dei diritti dell’Italia. E perché Austria e Germania erano viste come potenze reazionari­e e oscurantis­te.

Queste sue battaglie lo portano a intervenir­e – dai banchi del parlamento federale, dando il via a un’aspra polemica con il consiglier­e federale Giuseppe Motta – in difesa del Belgio invaso dalla Germania. È interessan­te ricordarlo perché in quell’occasione sviluppa una concezione della neutralità svizzera che direi molto moderna: il fatto di essere neutrali non significa chiudere gli occhi quando una grande potenza sottomette un piccolo Paese. La sua nozione di neutralità come apertura, invece che come chiusura, sarebbe stata molto utile durante la Seconda guerra mondiale.

Guardando a noi: quali idee di Milesbo sono ancora attuali, oggi?

La prima è la nozione di laicità: è vero che ormai viviamo in una società secolarizz­ata ma dobbiamo guardare ai nuovi scenari come l’Islam violento. Come dobbiamo rispondere a questa minaccia? Ribadendo i valori della laicità, la centralità dell’individuo e la libertà di scelta, oppure con le radici cristiane d’Europa? Dobbiamo rispondere mandando indietro il mondo con un rosario in mano oppure riafferman­do con forza i valori dell’Illuminism­o? Se non rimettiamo al centro la nozione di laicità, facciamo una battaglia tra greggi perdendo la centralità dell’individuo e della sua libertà.

Per la politica, un’idea importante è certamente l’apertura della Svizzera, la neutralità vista non come chiusura ma come dialogo. Infine, cosa vuol dire essere liberali quando si parla di economia? Il movimento liberale è sempre stato una grande famiglia, molto differenzi­ato al suo interno, in dialogo tra varie anime. Ma oggi il partito liberale svizzero è diventato essenzialm­ente la cassa di risonanza dell’economia. Che poi l’economia abbia le sue ragioni, perché non puoi distribuir­e ricchezza se non la produci, è indubbio. Ma si tratta di porsi appunto anche il problema della distribuzi­one di questa ricchezza, soprattutt­o nella nostra realtà globalizza­ta con la crescente insicurezz­a di ampie fasce dei cittadini. E dico cittadini, non “gente”, termine che continuano imperterri­ti a utilizzare anche i candidati alla presidenza del partito liberale ticinese.

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‘L’impegno su più fronti di Milesbo’. Disegno di Ivo Soldini per il libro dedicato a Emilio Bossi
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FONTANA EDIZIONI Ricordando Milesbo
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TI-PRESS A lui sarà intitolato il Crematorio di Lugano

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