Apripista e per sempre prima
È morta Doris De Agostini, campionessa dello sci ticinese
È il 1º febbraio 1978, di mercoledì, quando Doris De Agostini scrive un’indelebile pagina di storia dello sport ticinese, sul podio dei Mondiali di Garmisch. Vicina all’inarrivabile Annemarie Moser-Pröll, che la staccò di otto decimi, e alla tedesca Epple. Fu una giornata indimenticabile non solo per l’allora diciannovenne di Airolo, ma pure per chi quella scintillante giornata conclusa con il bronzo al collo poté viverla in diretta. «Ed ero più emozionato di lei – racconta Libano Zanolari, voce storica del giornalismo sportivo televisivo, dei tempi ma non solo –. Avevo cominciato giusto quell’anno a fare le telecronache, c’era sempre il grande Giuseppe Albertini, e io ancora non sapevo esattamente come avrei dovuto commentare. Che è un po’ il tema di chi lavora alla televisione: lasciar parlare le immagini oppure commentare in modo martellante, come avrei deciso di fare in seguito. Fatto sta che ricordo di essermi poi scusato con Doris, per non averla celebrata abbastanza».
Chi era Doris De Agostini? «Di lei ho il ricordo di una grande atleta, ma soprattutto di una grande persona – spiega –. È stata colei che nello sci in Ticino ha aperto la strada a tutti gli altri. Prima c’erano sì stati un paio di tentativi in Coppa Europa, ma non avevano avuto molta fortuna. Di Doris si può senz’altro dire che è stata una ragazza di grande temperamento e volontà. Pur se all’inizio, va detto, specialmente da illustri colleghi stranieri che seguivano lo sci come Alfredo Pigna o Guido Oddo, era guardata con qualche sorrisino. Essendo così magra e alta in effetti aveva un fisico completamente atipico per la disciplina, più da “mannequin” che da discesista. Di conseguenza, faceva più fatica sugli sci rispetto a ragazze dai corpi più compatti, più potenti, quindi molto più adatti». Invece… «Invece ha dimostrato a tutti che con una grande volontà e un impegno formidabile si può sopperire a tutto e ottenere grandi risultati: è stata una lezione straordinaria. Ricordo che un giorno le chiesi se non le fosse piaciuto avere un altro fisico, lavorando molto in palestra per diventare come la Nadig o la MoserPröll: rispose che quando aveva diciassette anni e decise d’intraprendere la carriera da professionista si guardò allo specchio dicendosi che, dieci anni più in là, quando avrebbe smesso, avrebbe voluto rivedere la stessa Doris De Agostini. Risposta bellissima».
E quel giorno arrivò tutto sommato abbastanza presto: a soli venticinque anni, dopo il trionfo nella Coppa del mondo di specialità, nel 1983. «A quel punto decise di staccarsi completamente dal mondo dello sci, dei mass media, della tivù.
L’ho incontrata per l’ultima volta qualche tempo fa, alla Festa dello sport a Lugano, e ciò che ho notato è che era rimasta di un’umanità e di un’umiltà formidabili, nonostante la sua straordinaria importanza in Ticino per ciò che era stata in grado di fare, che l’aveva trasformata in un mito. Tuttavia, e trovo che sia qualcosa di straordinario, non ha mai voluto far leva su questa eventuale possibilità, tipica del nostro tempo, cioè sfruttare la fama e la propria immagine per iniziare un altro tipo di carriera. Invece è passata a un’altra vita, dimenticandosi completamente del passato di atleta. Salvo negli ultimissimi anni, quando ha voluto tornare a Garmisch, dove aveva vinto la medaglia, e poi a San Moritz in occasione degli ultimi Mondiali, riannodando così un po’ i legami con la sua vita precedente».
Quell’epoca, quello sci erano però ben altra cosa, rispetto ai giorni nostri: «Era un mondo in cui non era ancora arrivato il grande business, lo sponsoring, la pubblicità, persino la televisione. Era un mondo più semplice rispetto a quello odierno. C’era più autenticità, più sport e meno glamour e meno show rispetto a oggi. Anche se, pian piano stava emergendo una realtà fatta di star, delle Lindsay Vonn e altre atlete che riescono a sfruttare al massimo la loro carriera. Doris, invece, io credo che tutto questo non l’avrebbe mai voluto, neppure se avesse sciato vent’anni dopo».
MAURO PINI ‘Giovani, scoprite che modello è stata’
«La personalità che De Agostini ha trasmesso a diverse generazioni, rimane un esempio attuale. Anzi, forse lo è ai giorni nostri ancor più che in passato». Mauro Pini – già allenatore in Coppa del Mondo e attuale direttore della Valbianca
Sa – ne è convinto: anche per un giovane d’oggi, che ‘la Doris’ probabilmente non ha idea di chi fosse, «è un modello da seguire e copiare. A un ragazzo o una ragazza direi di andare a scoprire chi è stata e, soprattutto, quale tipo di rappresentazione abbia dato». Al Ticino, ma pure ben oltre i confini cantonali. «Credo che la sua genuinità avesse colpito l’intero universo dello sci. Era diventata un’icona, la Doris». Lo sanno quelli dai trenta-quarant’anni in su, che dell’airolese ricordano sì le gesta sportive, «ma forse soprattutto proprio l’immagine che ha dato di sé».
Nella sua capacità, partendo da una piccola e periferica realtà, di arrivare sul palcoscenico mondiale in anni in cui le opportunità e le strutture erano ben diverse rispetto a oggi, «sta l’esempio del suo successo. Un modello di forza di volontà, eredità che lascia a tutti. Capace com’è stata di dimostrare, più a se stessa che agli altri, che con l’impegno e il carattere anche lei ce la poteva fare». Perché per i ‘canoni’ di allora, in cui si privilegiava la forza pura e fisici più robusti, lei alta, snella e slanciata era il contrario di ciò che una sciatrice doveva essere. Eppure la Doris, con quel corpo più da pallavolista o anche modella, si è ritagliata il suo spazio.
Icona suo malgrado
Prima donna ticinese a raggiungere questi livelli, come l’altra campionessa Michela Figini ha lasciato presto le competizioni e ha poi condotto una vita lontana dai riflettori; eppure non è caduta nel dimenticatoio. «Doris è sempre stata capace di dare allo sport lo spazio che meritava, ma di scinderlo dalla vita privata. Ha dato molto allo sci; però, una volta chiuso il capitolo, non ha cercato di ‘camparci sopra’. Con molta discrezione e dignità, ha trasmesso il messaggio che sì, ha ottenuto dei successi ma in fondo è stato ‘solo’ sport, un divertimento». Per certi versi è dunque diventata un’icona suo malgrado «e penso che la si ricordi proprio per questo. Per com’era lei, non per come avrebbe potuto farsi conoscere». Perché la Doris era esattamente come tutti l’avevano conosciuta. «Riservata, mai sopra le righe e donna molto sensibile. Genuina e posata, aveva al contempo una giusta cocciutaggine e la capacità di dire le cose al momento opportuno. In questo, trovo che esprimesse appieno la cultura alpina, vallerana».
Ed è in mezzo alle loro montagne, che sono incastonati due tra i più preziosi ricordi che Mauro Pini conserva della Doris. Il primo «è il suo ritorno ad Airolo, dopo la medaglia di bronzo in discesa ai Campionati del Mondo di GarmischPartenkirchen nel 1978. Venne accolta alla stazione da una marea di gente. Lei aveva sei anni più di me e ai miei occhi, ma direi a quelli di tutti i ragazzi della mia età, era un esempio incredibile». Il secondo risale all’ultimo inverno, in occasione dell’inaugurazione di due nuove piste ‘nere’ ad Airolo Pesciüm, dedicate una proprio a Doris De Agostini e l’altra a Michela Figini. «Una giornata splendida, una festa sulle nevi. È stato un bel momento di condivisione, con lei che mi rivedo felice e orgogliosa».
I SUOI PRIMI ALLENATORI ‘Era tosta già da ragazzina’
«Era tosta già da ragazzina, la Doris». Ad affermarlo all’unisono sono due persone che hanno conosciuto e cresciuto una giovane Doris De Agostini sulle piste della Leventina, i suoi primi allenatori Edy Mottini ed Enzo Filippini. «Ricordo che la sorella maggiore di Doris, Daniela, faceva già parte del nostro sci club e un giorno mi disse di avere una sorellina di nove anni (a quei tempi si cominciava a 10) che era molto brava e che voleva già venire con noi – racconta emozionato Mottini, classe 1943 ma
ancora oggi attivo nello Sci club Airolo –. In quegli anni avevamo un bel gruppo, si sciava tutto l’anno visto che in estate ci spostavamo con un piccolo scilift sulla Gönerli in Valle Bedretto, e le risposi che se mi avesse aiutato lei, avrebbe potuto aggregarsi anche la sorella. Inizialmente Doris faceva un po’ fatica in quanto era più piccola degli altri, però a lei non andava e ha sempre lottato per non rimanere indietro, tanto che capimmo rapidamente che aveva qualcosa in più degli altri. Questa sua tenacia le è sempre rimasta e le ha permesso di arrivare dove è arrivata. Anche perché non aveva propriamente un fisico da discesista: era alta, magra e molto agile, tanto che era brava anche nella ginnastica, ma non era compatta. Questo però come detto l’ha compensato dando sempre il massimo. Non si tirava mai indietro, di fronte a una pista difficile non si spaventava e anzi, era lei a far paura nel vederla venire giù “buttando” gambe e braccia da tutte le parti. Era il suo stile, tanto che anche negli anni a venire quando si rivedeva nei vecchi filmati si vergognava parecchio». Uno stile forse non convenzionale, ma indubbiamente efficace… «Era veloce, più veloce di tutti i suoi coetanei (e non solo), maschi compresi. Per questi ultimi battere la Doris era ormai l’obiettivo di giornata, ricordo che si riunivano in fondo alla pista e quando lei finiva la sua discesa mi guardavano in attesa del responso cronometrico. Io ogni volta scuotevo la testa e dicevo loro: “Mi dispiace ragazzi, non c’è niente da fare, anche stavolta ha vinto lei”». Vittorie che sono poi rapidamente arrivate anche lontano dalle piste ticinesi, ma che non hanno cambiato la genuinità della ragazza di Airolo, che negli anni ha sempre ricordato Edy Mottini… «Se non sbaglio è passata nei quadri nazionali a 16 anni e ha avuto la fortuna di parlare già il tedesco (grazie alla mamma), cosa che l’ha aiutata molto. Evidentemente ho sempre seguito con grande attenzione le sue gesta e siamo rimasti in contatto, per un certo periodo anche i suoi due figli Andrea e Alessia hanno fatto parte dello sci club ma poi si sono spostati più sul tennis. In ogni caso era sempre bello rivederci, l’ultima volta è accaduto in occasione dell’inaugurazione delle due nuove piste di AiroloPesciüm. Ci mancherà».
‘È stata un’apripista per lo sci ticinese’ Parole quelle di Mottini condivise anche da un Enzo Filippini particolarmente scosso, airolese pure lui (classe ‘51) e che prima di diventarne a sua volta allenatore, ha visto una giovane De Agostini... indicargli la via. «Quando io gareggiavo, lei ci faceva da apripista nelle competizioni regionali – ricorda con la voce spezzata dalla commozione il presidente onorario della Federazione ticinese di sci (oggi TiSki, di cui anche De Agostini era membro onorario), che ha diretto per ben 19 anni, dal 2001 allo scorso settembre –. Poi in un certo senso è diventata un’apripista anche per lo sport ticinese, visto che è diventata la prima ticinese a raggiungere certi livelli in Coppa del mondo. Le sue imprese, unite a quanto fatto in seguito anche da Michela Figini, hanno segnato l’inizio di un’era per lo sci ticinese attirando interesse, persone e anche finanziamenti. Basti pensare all’entusiasmo che si creò al suo ritorno in patria con la medaglia di bronzo dei Mondiali del 1978, portò il centro del mondo ad Airolo, fu davvero incredibile». Un entusiasmo contagioso non solo per le gesta sportive… «La chiamavano “La Dura” ed effettivamente aveva una forza di volontà incredibile, sapeva esattamente quello che voleva e non mollava mai, ma ricorderò per sempre anche il suo sorriso. Più che allenatore quando ha iniziato a fare gare nazionali e internazionali sono diventato una sorta di suo accompagnatore (avevo circa 25 anni) e devo dire che è sempre stato un piacere poterlo fare. Sorrideva sempre, anche nei momenti difficili trovava il lato positivo ed è quel sorriso che non ha mai perso che mi porterò per sempre nel cuore».
LE CAMPIONESSE Michi: ‘Un esempio per noi, c’era sempre’
Se Doris De Agostini è per certi versi stata un’apripista per lo sci ticinese, Michela Figini ne ha seguito a meraviglia la scia. Partita dalla Leventina pure lei, è arrivata a conquistare un oro (un anno dopo il ritiro della De Agostini, nella discesa delle Olimpiadi di Sarajevo del 1984) e un argento (a Calgary 1988 in supergigante) olimpici, tre medaglie mondiali (di cui una d’oro a Bormio nel 1985), sei coppe del mondo di specialità (4 in discesa, una in gigante e una in super-G) e due generali, nel 1985 e nel 1988. Prima di appendere gli sci al chiodo pure lei molto presto, a soli 24 anni.
«Conquistare una medaglia è il sogno di ogni sciatrice ed è stato bello vedere Doris riuscire a realizzarlo nel 1978 – ha affermato alla Rsi Figini riferendosi al bronzo mondiale in discesa –. Ho gareggiato con Doris per un anno, io ero agli inizi mentre lei a fine carriera ed è subito stata un grande esempio per me. Io forse avevo qualcosa in più tecnicamente, certe cose mi riuscivano più facilmente, ma proprio per questo soprattutto dal punto di vista del carattere mi ha dato tanto, ogni suo consiglio è stato prezioso. Per quel che riguarda invece l’approccio al contorno mediatico che ruota attorno al Circo Bianco eravamo molto simili, sapevamo che era utile e necessario, ma lo vivevamo a fatica: a noi importava gareggiare».
Lara: ‘Ho avuto la fortuna di conoscerla, sono stata fortunata’
Nasceva invece un anno dopo il ritiro di “Michi” la terza atleta che ha finora riscritto la storia dello sci alpino ticinese, Lara Gut-Behrami, vincitrice a sua volta del grande globo di cristallo nel 2016, oltre a due coppe di specialità (superG nel 2014 e 2016), un bronzo olimpico (in discesa a Sochi 2014) e cinque medaglie mondiali (3 argenti e 2 bronzi).
«Non ho vissuto Doris da atleta ma ho avuto la fortuna di conoscerla come persona e di scoprire l’incredibile persona che c’era dietro alla campionessa – ha dichiarato la 29enne in diretta Skype –. Quando ero bambina e mi allenavo con mio papà lei era sulle piste con i suoi figli e sono cresciuta un po’ con lei e con Michela (Figini, ndr), visto che entrambe sciavano con mio padre e mio zio. Più volte al termine delle mie gare l’ho ritrovata al traguardo pronta ad abbracciarmi con il suo splendido sorriso, era quasi più felice di me. E anche quando le cose non andavano bene, trovava sempre il modo di essere presente, magari scrivendo a mio papà e facendo sentire la sua presenza con dolcezza. E io mi sentivo molto fortunata».
PAULI GUT ‘Ci batteva tutti, sarebbe andata lontano’
«Già quando eravamo bambini era assolutamente, assolutamente evidente che sarebbe andata lontano. Tutti lo sapevamo». Tra quei tutti c’era anche Pauli Gut, il quale ci racconta che «ovviamente sugli sci ci batteva tutti». Anche i maschi? «Oh sì! – sorride – Non c’era verso di arrivarle davanti». Papà di Lara, che anni più tardi sarebbe diventata una delle sciatrici più forti del circuito, tanto da vincere la coppa generale nel 2016, Pauli era stato uno dei testimoni del ‘volo’ di Doris De Agostini da Airolo alla Coppa del Mondo. Compagni nel locale sci club, «su per giù dagli otto ai tredici anni lei è sempre stata la più veloce di noi. Dopo di che è entrata a far parte dei gruppi nazionali e quindi non ci si incrociava più molto».
‘Sulla Novena portandoci uno sci lift’ Con il passare del tempo le rispettive vite li avevano portati a vedersi con minor frequenza, «ma la notizia della sua morte mi intristisce molto. È estremamente difficile pensare che Doris non ci sia più». Quando capitava di incontrarsi – ricorda Pauli Gut – tornavano «con i discorsi ai nostri anni da ragazzini». Quasi coetanei (lui di un anno più grande), «abbiamo frequentato assieme scuole elementari e maggiori ad Airolo. Nello sci club eravamo parte dello stesso gruppo, cinque, sei ragazzi tra cui le sue sorelle Simona e Daniela, alla testa del quale c’era Edy Mottini. Ancora oggi attivo con i ragazzi del club, è lui che ci ha trasmesso la passione. Un amore per questo sport tramandato anche a Doris e, più tardi, anche a Michela Figini. Ogni volta che poteva parlare di Edy, Doris lo faceva ‘incorniciandolo’. Insieme, poi, ci divertivamo a rievocare le molte belle esperienze condivise, come i corsi estivi sopra il passo della Novena. Lassù c’era un nevaio e andavamo ad allenarci. Eravamo una ventina o qualcuno in più e ci portavamo un piccolo sci lift». Portavate uno sci lift? «Sì sì, tutti gli anni, ci volevano quarantacinque minuti a piedi. In un paio di occasioni erano venuti anche i genitori e mi ricordo che la mamma di Doris, Sofia, faceva da cuoca».
Niente sci perché doveva studiare
Se la Doris più grande è stata parecchio riservata, la ragazzina «era estremamente disponibile, ma al contempo decisamente seria e motivata, oltre che determinata». Una risolutezza che Doris De Agostini mostrava anche negli studi: «Tanto era brava nello sci, altrettanto lo era nella scuola. A distanza di cinquant’anni mi ricordo di un mercoledì in cui le chiedemmo se, come al solito, ci saremmo il pomeriggio visti sulle piste. Lei ci lasciò stupiti rispondendo di no perché, disse, avrebbe dovuto studiare in quanto alla verifica del mattino aveva ricevuto come voto ‘solamente’ un 5. Questo dice com’era: ambiziosa nel senso più positivo del termine. E assai esigente con se stessa. Ha sempre lavorato a fondo e dato il massimo e senza dubbio è stata un grande esempio per tutti».