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Doris e il senso lieve della fama

- Di Marzio Mellini

Che fosse nota come “la dura”, ammetto di averlo appreso ascoltando con interesse quanti la conoscevan­o bene, e avevano avuto modo di condivider­ne il percorso, magari partendo proprio da Airolo.

Il soprannome, però, ben si sposa con la Doris De Agostini ammirata da ragazzino in television­e, poi conosciuta in ambito tennistico, prima ancora che profession­ale. È lì, a bordo campo in occasione delle partite di Andrea e Alessia, o nei palazzetti che ospitavano gli incontri di Coppa Davis della Svizzera, che ho avuto il piacere di “disturbare” la ex campioness­a che sapevo stare un po’ sulle sue. Un po’ schiva, certo, ma sempre sorridente e prodiga di qualche spunto interessan­te, arricchent­e. Tosta e schietta, a volte anche piuttosto severa nei giudizi, mai banale.

Quindici anni fa, in occasione di un’intervista alla figlia allora promettent­e 11enne nonostante qualche iniziale reticenza dovuta a quella sua naturale “diffidenza” verso l’esagerata esposizion­e alla quale a volte i giornalist­i tendono per mestiere a portare gli atleti, espresse un concetto molto interessan­te circa il rapporto tra lo sport d’élite e la scuola, invitando chi si occupa di formazione a trovare delle soluzioni affinché un giovane talento potesse portare avanti gli studi a fianco di un’attività sportiva intensa come è quella di chi ha le qualità per emergere in una disciplina. «Un allenament­o dopo la scuola non deve diventare un peso». Una visione moderna, la sua, in anticipo su tempi che poi sono maturati nella direzione che aveva auspicato. Non urlata, però, bensì solo suggerita con l’eleganza e la discrezion­e che l’hanno sempre accompagna­ta negli anni in cui il suo ruolo era quello della mamma di una tennista molto promettent­e, non più quello della ex campioness­a (che in fondo non ha voluto fare suo più di tanto). Insegnava il rigore che è necessario nello sport di alto livello, per non lasciare nulla di intentato, ma lo accompagna­va con il distacco di chi ha il senso della misura e sa quanto la sovraespos­izione e l’esasperazi­one possono costare, in termini di energia. Già, perché quando trovai il coraggio – lei sempre così austera e fiera, io un po’ in soggezione, lo ammetto – di chiederle un’intervista sul suo passato di atleta, mi colpirono molto gli aggettivi che usò per spiegare le ragioni del suo ritiro prematuro dalle competizio­ni. Che poi prematuro non fu, visto che si definì svuotata, prosciugat­a, esausta.

Ci è passata, dai fasti misti ai sacrifici e alla sofferenza, da critiche ingenerose alla soddisfazi­one delle medaglie e delle vittorie. Ha toccato il cielo con un dito ma ha vissuto senza farne un vanto, da persona sempliceme­nte orgogliosa del proprio percorso. Da campioness­a che ben rappresent­a le eccellenze che il Ticino continua a fare salire sulla ribalta mondiale. Il Ticino dello sport le deve tantissimo. Doris De Agostini ha saputo coniugare alla perfezione talento e determinaz­ione, rigore e distacco. Ha dato l’esempio, sfidando se stessa, prima che gli altri, non ponendosi limiti. Senza però bearsi con esuberi d’orgoglio o con rivincite postume. Le dobbiamo molto per averci fatto capire quale significat­o si può dare alla fama, quale insegnamen­to si può trarre da una carriera ai massimi livelli. Soppesando le parole, con il sorriso sulle labbra.

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