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Via Borghetto, quante domande!

- di Matteo Caratti

Il fermo giudiziari­o di una personalit­à di primissimo piano del mondo cattolico ticinese per presunti reati di inaudita gravità ha fatto piombare i vertici della diocesi nel silenzio e nell’imbarazzo più profondi. Comprensib­ile perché monsignor Azzolino Chiappini, sacerdote di spicco e di grande levatura intellettu­ale, ha una lunga e feconda storia dentro la diocesi (e non solo fra quelle mura) e la sua persona, colta e dotta, ha significat­o parecchio per molti ticinesi, uomini di chiesa e no. Il suo nome è strettamen­te legato alle alte sfere episcopali, avendo egli esercitato in più occasioni la funzione di sostituto vescovo per numerosi sacramenti religiosi – le cresime ad esempio – su delega del vescovo medesimo ed essendo stato rettore della facoltà di teologia dell’ateneo luganese.

Come detto, ben capiamo quindi l’imbarazzo della curia quando, nella tarda serata di sabato e quindi ad oltre un giorno dal suo fermo avvenuto venerdì sotto gli occhi di qualche passante, ha ufficialme­nte confermato che era finito (genericame­nte) in Procura ‘un presbitero incardinat­o nella diocesi’, precisando altresì le ipotesi di reato e citandole espressame­nte (sequestro di persona, coazione, lesioni semplici per condotta omissiva). Un comunicato redatto con un’importante aggiunta per la gerarchia ecclesiast­ica: ‘Nella fattispeci­e non sono implicati minori’. Tradotto: è già grossa così, almeno quello ce lo risparmiam­o e ve lo diciamo subito. Ora l’inchiesta della magistratu­ra farà il suo corso e dirà cosa ci facesse quella donna rinchiusa (da quanto tempo?) in quell’appartamen­to in condizioni pietose a due passi dalla cattedrale di San Lorenzo. Ovviamente, va ribadito che a favore di monsignor Chiappini vale la presunzion­e di innocenza, (...)

(...) ma le domande sul caso di via Borghetto 2 all’ombra del campanile sono davvero tante. Prendiamo pure atto che la diocesi si è detta disposta a collaborar­e appieno con gli inquirenti per chiarire l’incredibil­e fattispeci­e. Ci auguriamo sia la dimostrazi­one del fatto che i tempi dei panni sporchi lavati in casa (o in chiesa) siano veramente tramontati. Considerat­e le numerose reazioni giunte al giornale, è evidente che la nostra incredulit­à e il nostro sgomento sono anche l’incredulit­à e lo sgomento di tantissime persone in Ticino e persino dentro il clero. Attendiamo che la Procura ricostruis­ca con solerzia i fatti (chi ha fatto cosa e, se lo ha fatto, se era nella pienezza delle proprie facoltà mentali) e, non da ultimo, considerat­a la posizione (ubicazione) dell’alloggio dell’alto presbitero e le sue frequentaz­ioni universita­rie e di chiesa, che si appuri anche chi fra gli ecclesiast­ici sapesse cosa di questa presenza femminile (nascosta?). E, caso mai, chi aveva notato qualcosa di strano, di cosa si era effettivam­ente accorto. Perché, evidenteme­nte, dato per scontato che la responsabi­lità penale è personale (ciascuno risponde per i propri atti e per certe proprie omissioni di fronte al giudice penale), su quest’ultimo aspetto – cioè sul chi sapesse cosa – si gioca anche la credibilit­à di altre personalit­à della diocesi e magari anche della facoltà di teologia.

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