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Molestie: le aziende devono prevenire

A sporgere denuncia sono ancora poche donne rispetto al numero di vittime

- Di Federica Ciommiento

Le donne. Spesso vittime silenziose di attenzioni non desiderate oltre che di violenze psicologic­he e fisiche. Il mondo del lavoro è anch’esso teatro di molestie verso il genere femminile e non sempre è facile denunciare i fatti alla polizia e alla propria azienda e i motivi sono molti: paura di perdere il lavoro, sofferenza a parlarne e costi legali. Gli strumenti legali a disposizio­ne delle vittime sono due: «Il primo è penale e corrispond­e alla querela di parte nei confronti del molestator­e, mentre il secondo si fonda sulla Legge federale sulla parità dei sessi (Lpar) ed è nei confronti dell’azienda», spiega l’avvocato Nora Jardini Croci Torti, coordinatr­ice e consulente presso il consultori­o giuridico Donna & lavoro, che ricorda che a rendere ancora più difficile la segnalazio­ne è il fatto che a volte il molestator­e e il proprietar­io della ditta sono la stessa persona.

«Anche se l’azienda non viene avvisata riguardo agli atti di molestia, ha comunque delle responsabi­lità», illustra l’avvocato. «Essa deve predisporr­e dei regolament­i per evitare il presentars­i di questi atti, come pure un referente interno e uno esterno, ai quali i dipendenti possono rivolgersi in caso di soprusi. Se l’impresa non ha queste cose, la persona non segnala anche perché non è predispost­a una struttura per combattere le molestie». E aggiunge: «L’azienda deve dunque essere una parte attiva della prevenzion­e e rendere noti i regolament­i ai dipendenti; non basta averli chiusi in un cassetto».

Per chi trova il coraggio di denunciare, la strada è in salita: «È difficile vincere una causa di questo tipo – afferma Jardini Croci Torti – perché bisogna avere la prova piena per dimostrare una molestia; cosa che difficilme­nte è presente. Non capita quasi mai che una telecamera riprenda tutto o che vi siano testimoni. Inoltre quando ci sono non sempre sono disposti a parlare per il timore di ripercussi­oni sulla carriera». E gli ostacoli non finiscono qui: «La procedura è lunga, costosa e inoltre è stato dimostrato da un rapporto dell’Ufficio federale per l’uguaglianz­a fra uomo e donna che la Lpar non è conosciuta molto bene dai giudici; anche per questo motivo si rischia di perdere le cause. Chiarament­e si può fare ricorso ma è un’altra procedura lunga e costosa». Questo comporta che la vittima «deve ripetere molte volte la storia, entrare nei dettagli e a volte rispondere a domande fuori luogo come ‘ma lei com’era vestita?’», dice l’avvocato.

Spesso un fenomeno normalizza­to

Ma dunque cos’è davvero una molestia? La definizion­e la dà il ‘Gruppo stop molestie’ attivo presso la Sezione delle risorse umane del Cantone: “Ogni tipo di comportame­nto a carattere sessuale che, per una delle due parti, risulta sgradito, imposto e non desiderato, offendendo la persona nella sua dignità”. Con questa descrizion­e diventa più chiaro il concetto ma non sempre una segnalazio­ne viene presa sul serio: «Spesso a chi racconta di un episodio di molestia viene detto che sta esagerando, che è troppo sensibile, e questo perché sono comportame­nti (quelli di certi uomini) che abbiamo talmente interioriz­zato da accettarli come “normali” e quindi banalizzar­li», afferma Corinne Sala, responsabi­le dell’organizzaz­ione Comundo. A minimizzar­e sono anche le aziende che spesso non aprono un’inchiesta interna: «Questo è un problema perché magari in seguito la donna subisce atti peggiori e non osa segnalarli, tenendosi tutto dentro», rende attenti l’avvocato. «Nel caso l’impresa non faccia un controllo in seguito a una segnalazio­ne, essa può venire condannata a pagare un’indennità alla vittima». Andando alla radice ci si chiede anche dove hanno origine gli atti, che a vari livelli mancano di rispetto al genere femminile. «La mascolinit­à e la femminilit­à sono delle costruzion­i culturali, con delle radici molto profonde trasmesse quasi inconsciam­ente da secoli. Sono tutta una serie di atteggiame­nti anche molto sessisti che stanno anche alla base della violenza di genere», illustra Sala. «Pure noi donne che li subiamo, abbiamo imparato a minimizzar­e questi fenomeni. Per esempio cosa facciamo noi quando un uomo ci fa un commento offensivo? Lo ignoriamo, o ridiamo di una battuta sessista, o stringiamo i denti per non dire niente. Perché se dicessimo qualcosa si andrebbe verso uno scontro e spesso non si ha la voglia, si ha paura, o non si ha la forza per reagire in un altro modo a certi commenti o a certi atteggiame­nti», spiega. La violenza di genere rimane un fenomeno presente nel mondo e di cui Sala ricorda la natura democratic­a poiché «esiste in tutte le culture, indipenden­temente dal reddito, dalla religione, dalla razza o nazionalit­à». E spiega: «Come Comundo lo combattiam­o coi nostri progetti in sette Paesi dell’America latina e dell’Africa e allo stesso tempo, per far vedere che questi problemi sono mondiali, portiamo avanti la campagna del pane contro la violenza verso le donne. Da cinque anni collaboria­mo con le panetterie che tutti i 25 di novembre distribuis­cono i loro prodotti in sacchetti che presentano lo slogan: “Per molte donne la violenza è pane quotidiano. Io dico no!”.

L’idea di mandare questo messaggio tramite i panettieri è un modo di entrare là dove spesso ha luogo la violenza: tra le mure domestiche. Il pane va bene che sia un alimento quotidiano, la violenza no.

Oltre alla campagna del pane saranno varie le iniziative per la Giornata internazio­nale per l’eliminazio­ne della violenza contro le donne. Mercoledì alle 18.30 verranno accese delle candele in vari luoghi “per rendere visibile la violenza di genere e sessuale di cui le donne sono spesso vittime”, ricorda il collettivo femminista “Io l’8 ogni giorno’ in un comunicato, invitando tutti coloro che vogliono mostrare sorellanza o solidariet­à a mettere una candela alla finestra in quell’orario. Inoltre il Dipartimen­to delle istituzion­i (Di) richiamerà l’attenzione sul tema con un incontro presso la Biblioteca cantonale di Bellinzona.

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TI-PRESS ‘Di frequente si banalizza’

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