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In Europa in arrivo i guardiani dei cancelli

Per un certo numero di grandi imprese

- Di Federico Fubini, L’Economia

Le regole antitrust sono nate e hanno dato forma alle economie occidental­i in un’epoca di capitale investito tangibile, molto tangibile: si dovevano occupare delle ferrovie nel Nord America alla fine del diciannove­simo secolo, della produzione, distribuzi­one e vendita di petrolio alla vigilia della prima guerra mondiale e delle telecomuni­cazioni nel secondo dopoguerra negli Stati Uniti, quando una compagnia dei telefoni era fatta di cavi metallici fisicament­e collegati gli uni agli altri su un intero continente. Anche in Europa, dove l’Antitrust ha conosciuto una lunga stagione di influenza globale almeno fino al primo decennio di questo secolo, le regole contro le concentraz­ioni, i cartelli e gli abusi di posizione dominante sono state concepite in un’epoca in cui il capitalism­o si fondava su attività materiali: materie prime e prodotti industrial­i o anche tecnologie pesanti, come quando nel 2001 il commissari­o alla Concorrenz­a Mario Monti decise di bloccare la fusione fra le americane General Electric e Honeywell.

Che fare adesso

Ma guardiamoc­i intorno oggi. Secondo una stima di Bloomberg la quota d’investimen­ti intangibil­i – ricerca, brevetti, idee, software – negli Stati Uniti è passata dal 16% a oltre il 50% del totale nell’ultimo mezzo secolo (al netto degli immobili commercial­i) e dall’1% a quasi il 4% del prodotto lordo. Il potere di mercato oggi è un qualcosa che non si può toccare, ma moltiplica­to su una traiettori­a esponenzia­le i fatturati e il valore di aziende come Google, Amazon, Facebook o Alibaba. Puntare sul capitale intangibil­e ha reso la crescita delle aziende rapidissim­a, gli abusi di mercato più insidiosi e difficili da dimostrare, i criteri con cui valutare una violazione più sfuggenti. La Corte dei conti europea ha appena dichiarato in un suo rapporto che i tempi lunghi delle indagini della Commission­e e delle ricadute giudiziari­e non riescono più ad arginare lo strapotere delle Big Tech. Il primo caso contro Google, di un decennio fa, si sta ancora trascinand­o nell’appello alla Corte europea di giustizia. Tommaso Valletti, ex capo economista della direzione generale Concorrenz­a di Bruxelles e docente all’Imperial College di Londra, concorda: «Il contenzios­o Antitrust ha dimostrato di non essere adeguato, sia per i tempi di risposta che per l’incapacità di porre rimedi: le multe, per quanto valgano miliardi, sono inefficaci rispetto ai profitti delle grandi aziende tecnologic­he».

La risposta europea

Una risposta europea dovrebbe arrivare entro la fine dell’anno. All’interno della Commission­e è in preparazio­ne un Digital Services Act, che mira a imporre da subito nuovi vincoli particolar­i a un certo numero di grandi imprese del web definite i gatekeeper­s: i guardiani dei cancelli, quelli attraverso i quali devono passare i consumator­i per accedere a certi servizi (per esempio, le ricerche in rete attraverso Google) o i venditori di prodotti e servizi per avere accesso ai consumator­i (per esempio, le imprese che passano attraverso Amazon per avere accesso al mercato al dettaglio). Per queste imprese dovrebbero scattare obblighi di condivider­e i propri dati sul mercato e la clientela con i concorrent­i o divieti di promuovere sui propri canali i propri prodotti in concorrenz­a con quelli di altri venditori.

Il paragone con l’industria ferroviari­a dà un’idea di alcuni aspetti del Digital Services Act (Dsa): oggi Ferrovie dello Stato deve tenere separata la gestione della rete, aperta ad altri concorrent­i, con l’offerta di servizio di trasporto in proprio; ma Amazon fa i due mestieri senza alcuna separazion­e, usando i dati raccolti dai concorrent­i. Questa caratteris­tica, secondo le accuse che la stessa Antitrust Ue porta contro il gruppo fondato a Jeff Bezos, porta a squilibri struttural­i ai danni dei venditori terzi ad opera della stessa piattaform­a che li ospita.

I giganti non vogliono vincoli

Non ci sarà una vera e propria lista di proscrizio­ne nel Dsa. Ci saranno, piuttosto, una serie di caratteris­tiche che dovrebbero portare a individuar­e una ventina di gatekeeper­s. Comprensib­ilmente è già partita un’azione da parte di molte imprese del web per cercare di non entrare in questa da loro temutissim­a categoria. Glenn Fogel, amministra­tore delegato (americano) di Booking.com (basata ad Amsterdam), si ribella all’idea che il suo gruppo possa rientrare tra quelli sottoposti ai vincoli. «L’Europa è molto in ritardo nelle imprese tecnologic­he e in quest’industria in genere e le cose devono cambiare in modo che possa competere – spiega Fogel all’Economia –. Ma mettere delle regole che inibiscono Booking.com, una delle poche imprese di successo nel continente, mettendo delle pastoie, farebbe l’opposto e spingerebb­e l’intera Europa ancora più indietro». Fogel spiega che solo il 13% dei ricavi degli alberghi in Europa vengono da prenotazio­ni su Booking, anche se la quota fra le prenotazio­ni in rete è molto più alta. È chiaro che tutte le imprese potenzialm­ente coinvolte cercherann­o di sottrarsi al Dsa, fortemente voluto dal commissari­o Ue all’Industria Thierry Breton. Commenta però Valletti, l’ex capo economista dell’Antitrust Ue: “La proposta di normativa coglie nel segno perché può imporre restrizion­i prima, senza aspettare il fatto compiuto. Interopera­bilità, portabilit­à, pratiche proibite sono aspetti su cui Bruxelles ha già lavorato con successo per esempio nel campo delle telecomuni­cazioni».

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