In Europa in arrivo i guardiani dei cancelli
Per un certo numero di grandi imprese
Le regole antitrust sono nate e hanno dato forma alle economie occidentali in un’epoca di capitale investito tangibile, molto tangibile: si dovevano occupare delle ferrovie nel Nord America alla fine del diciannovesimo secolo, della produzione, distribuzione e vendita di petrolio alla vigilia della prima guerra mondiale e delle telecomunicazioni nel secondo dopoguerra negli Stati Uniti, quando una compagnia dei telefoni era fatta di cavi metallici fisicamente collegati gli uni agli altri su un intero continente. Anche in Europa, dove l’Antitrust ha conosciuto una lunga stagione di influenza globale almeno fino al primo decennio di questo secolo, le regole contro le concentrazioni, i cartelli e gli abusi di posizione dominante sono state concepite in un’epoca in cui il capitalismo si fondava su attività materiali: materie prime e prodotti industriali o anche tecnologie pesanti, come quando nel 2001 il commissario alla Concorrenza Mario Monti decise di bloccare la fusione fra le americane General Electric e Honeywell.
Che fare adesso
Ma guardiamoci intorno oggi. Secondo una stima di Bloomberg la quota d’investimenti intangibili – ricerca, brevetti, idee, software – negli Stati Uniti è passata dal 16% a oltre il 50% del totale nell’ultimo mezzo secolo (al netto degli immobili commerciali) e dall’1% a quasi il 4% del prodotto lordo. Il potere di mercato oggi è un qualcosa che non si può toccare, ma moltiplicato su una traiettoria esponenziale i fatturati e il valore di aziende come Google, Amazon, Facebook o Alibaba. Puntare sul capitale intangibile ha reso la crescita delle aziende rapidissima, gli abusi di mercato più insidiosi e difficili da dimostrare, i criteri con cui valutare una violazione più sfuggenti. La Corte dei conti europea ha appena dichiarato in un suo rapporto che i tempi lunghi delle indagini della Commissione e delle ricadute giudiziarie non riescono più ad arginare lo strapotere delle Big Tech. Il primo caso contro Google, di un decennio fa, si sta ancora trascinando nell’appello alla Corte europea di giustizia. Tommaso Valletti, ex capo economista della direzione generale Concorrenza di Bruxelles e docente all’Imperial College di Londra, concorda: «Il contenzioso Antitrust ha dimostrato di non essere adeguato, sia per i tempi di risposta che per l’incapacità di porre rimedi: le multe, per quanto valgano miliardi, sono inefficaci rispetto ai profitti delle grandi aziende tecnologiche».
La risposta europea
Una risposta europea dovrebbe arrivare entro la fine dell’anno. All’interno della Commissione è in preparazione un Digital Services Act, che mira a imporre da subito nuovi vincoli particolari a un certo numero di grandi imprese del web definite i gatekeepers: i guardiani dei cancelli, quelli attraverso i quali devono passare i consumatori per accedere a certi servizi (per esempio, le ricerche in rete attraverso Google) o i venditori di prodotti e servizi per avere accesso ai consumatori (per esempio, le imprese che passano attraverso Amazon per avere accesso al mercato al dettaglio). Per queste imprese dovrebbero scattare obblighi di condividere i propri dati sul mercato e la clientela con i concorrenti o divieti di promuovere sui propri canali i propri prodotti in concorrenza con quelli di altri venditori.
Il paragone con l’industria ferroviaria dà un’idea di alcuni aspetti del Digital Services Act (Dsa): oggi Ferrovie dello Stato deve tenere separata la gestione della rete, aperta ad altri concorrenti, con l’offerta di servizio di trasporto in proprio; ma Amazon fa i due mestieri senza alcuna separazione, usando i dati raccolti dai concorrenti. Questa caratteristica, secondo le accuse che la stessa Antitrust Ue porta contro il gruppo fondato a Jeff Bezos, porta a squilibri strutturali ai danni dei venditori terzi ad opera della stessa piattaforma che li ospita.
I giganti non vogliono vincoli
Non ci sarà una vera e propria lista di proscrizione nel Dsa. Ci saranno, piuttosto, una serie di caratteristiche che dovrebbero portare a individuare una ventina di gatekeepers. Comprensibilmente è già partita un’azione da parte di molte imprese del web per cercare di non entrare in questa da loro temutissima categoria. Glenn Fogel, amministratore delegato (americano) di Booking.com (basata ad Amsterdam), si ribella all’idea che il suo gruppo possa rientrare tra quelli sottoposti ai vincoli. «L’Europa è molto in ritardo nelle imprese tecnologiche e in quest’industria in genere e le cose devono cambiare in modo che possa competere – spiega Fogel all’Economia –. Ma mettere delle regole che inibiscono Booking.com, una delle poche imprese di successo nel continente, mettendo delle pastoie, farebbe l’opposto e spingerebbe l’intera Europa ancora più indietro». Fogel spiega che solo il 13% dei ricavi degli alberghi in Europa vengono da prenotazioni su Booking, anche se la quota fra le prenotazioni in rete è molto più alta. È chiaro che tutte le imprese potenzialmente coinvolte cercheranno di sottrarsi al Dsa, fortemente voluto dal commissario Ue all’Industria Thierry Breton. Commenta però Valletti, l’ex capo economista dell’Antitrust Ue: “La proposta di normativa coglie nel segno perché può imporre restrizioni prima, senza aspettare il fatto compiuto. Interoperabilità, portabilità, pratiche proibite sono aspetti su cui Bruxelles ha già lavorato con successo per esempio nel campo delle telecomunicazioni».