Antitrust contro Google: quale la via di Biden?
In Europa attesa per oggi una decisione
Secondo un annuncio ufficiale del 20 ottobre, il ministero della Giustizia Usa (DoJ) e undici Procuratori generali di Stato hanno promosso un’azione giudiziaria contro Google per violazioni della legge antitrust fondamentale, lo Sherman Act, che vieta accordi e altre pratiche rivolte a eliminare e restringere la concorrenza. La causa è stata intentata nei confronti di Alphabet, la società che controlla Google, per aver adottato condotte anti competitive finalizzate all’esclusione dei concorrenti sui mercati dei motori di ricerca e della pubblicità online con l’obiettivo di «mantenere la posizione di monopolio di Google», eliminando i possibili sbocchi di mercato ai suoi concorrenti, con grave pregiudizio sia per gli utenti sia per la concorrenza dinamica, basata sull’innovazione. L’iniziativa merita una speciale attenzione al di là degli specifici addebiti mossi a Google.
Scenario e triplice citazione
E ciò per due principali ragioni. Una è di carattere contingente, di «cronaca politica». Sembra paradossale che questa offensiva contro il principale, e storicamente simbolico titano del web, sia stata lanciata da un’amministrazione conservatrice come quella di Donald Trump. Tanto più se la si confronta con la sostanziale «tolleranza» manifestata da quella del progressista Obama.
Sembrano scambiati i ruoli, nevvero?! In effetti la sorpresa è legittima, ma può dissolversi considerando, da un lato, la notoria simpatia e vicinanza di Obama (anche, pare, come investitore privato in blue chip) rispetto ai protagonisti della Silicon Valley, le cui tecnologie aiutarono grandemente il successo delle sue campagne elettorali. E dall’altro, l’antipatia spesso dichiarata di Trump rispetto a giganti dell’informazione prevalentemente ostili alle sue politiche e alla sua stessa immagine, da lui strumentalmente accusati di agevolare la circolazione di fake news nei suoi confronti. La seconda ragione d’interesse è che, dallo stesso annuncio del DoJ, traspare una volontà interventista ben più severa di quella tradizionale cui ci ha sinora abituato, ahimè, anche in Europa, una politica di difesa della concorrenza fatta soprattutto – con rare eccezioni – di «multe» anche cospicue, ma che non scalfiscono il potere dei multati, i quali le scaricano nei loro mega-bilanci come «costi operativi». Sembra molto rivelatore, infatti, che il ministero della Giustizia Usa si richiami esplicitamente a una tradizione interventista, che sembrava archiviata, che ebbe come pilastri gli storici casi Standard Oil (1911), AT&T (1982), citati esplicitamente nel comunicato ufficiale del DoJ, accanto a quello che coinvolse Microsoft (1998/2001).
Che cosa può significare questa triplice citazione? Standard Oil e AT&T comportarono lo smembramento dei colossi coinvolti: dal primo nacquero sette compagnie indipendenti, le cosiddette sette sorelle (che poi, en passant, spesso finirono per colludere scandalosamente). Dal secondo nacquero diverse «baby bells». Idem con patate o quasi, quanto a frequenti collusioni: ma questo dipese dai saliscendi politici dell’antitrust Usa, legato alle amministrazioni di turno, prevalentemente succubi, sul piano economico, dell’era Reagan («re-gun», come scrisse Philip Roth).
Insomma, accanto a interventi di tipo comportamentale, come quelli assunti nei confronti di Microsoft (obbligo di licenza ai concorrenti dei codici sorgente per scopi d’interoperabilità) l’antitrust americano – paradossalmente sotto Trump – sembra considerare interventi di separazione strutturale, lo smembramento in autonome società, dei colossi del web. Come da anni richiesto dalla sinistra democratica di Elizabeth Warren e Bernie Sanders. E come prefigurato, nel 1890 dal Senatore Sherman, che nell’introdurre la sua legge, disse che come gli americani avevano rifiutato monarchi in politica, ugualmente dovevano rifiutare monarchi nella produzione di beni e servizi e in genere nelle «necessaries of life». (Se vivesse oggi, aggiungerebbe informazione alla lista). È il paradosso dei paradossi o più propriamente, una eterogenesi dei mezzi, i fini di Trump non coincidendo verosimilmente con quelli di Warren e Sanders (e di Sherman).
E l’Europa? La Commissaria Vestager annuncia oggi, proprio rispetto alle grandi piattaforme digitali, la creazione di un nuovo strumentario antitrust, che comprenda anche, «when appropriate», rimedi strutturali. Seguiranno i fatti? E in Usa, che politica antitrust rispetto ai web titans seguirà Biden? Quella della mano tollerante di Obama, o quella della scure di Warren e Sanders? Restiamo in ascolto.