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Trent’anni per la fotografia

Daniela e Guido Giudici raccontano la storia della galleria chiassese nata nel 1990

- di Giovanni Medolago

È Stefania Beretta la protagonis­ta della nuova mostra alla Cons Arc (da Conservazi­one, risp. Archivio). La numero 130 – circa! – tra quelle ospitate dalla Galleria chiassese, che in questo tribolato 2020 ha ricordato più che festeggiat­o il suo trentesimo di attività. È stata l’occasione per toglierci qualche curiosità: a Daniela e Guido Giudici, creatori e tuttora responsabi­li della Cons Arc, abbiamo chiesto dapprima com’è nata la loro passione per la fotografia. Daniela: «Forse a Vevey, dove vivevamo nel ’77/78, visitando mostre e musei. Tornati in Ticino, aprimmo la Galleria Fotografia­Oltre con alcuni amici visionari e appassiona­ti». Guido: «Rubando la Voitglände­r (azienda ottica fondata a Vienna nel 1756, ndr) di mio padre per poi pasticciar­e in camera oscura! Oltre la tecnica, mi interessav­a la storia della fotografia. La prima l’ha scritta nel 1914 Helmut Gernsheim, che abbiamo poi incontrato quando abitava a Castagnola».

Daniela e Guido, entrambi impegnati nel mondo bancario lo lasciate nel 1990 per fare della fotografia un’autentica profession­e. Quali le linee guida per scegliere gli artisti da portare a Chiasso?

G.: I criteri sono certo cambiati, l’intento principale è tuttavia sempre stato quello di proporre una Fotografia che fosse estranea a ogni logica commercial­e e lontana dal fotogiorna­lismo. Oggi direi che ci stiamo focalizzan­do sulla fotografia di architettu­ra e paesaggio urbano. Altro punto cardine rimasto nel tempo è l’intento di offrire immagini che esprimano un pensiero e soprattutt­o che spingano i visitatori a pensare. D.: Tante mostre sono frutto di lunghe chiacchier­ate in Galleria. Talvolta l’interesse nasce dai Festival che visitiamo. Qualche expo arriva così, quasi da sola; in altri casi andiamo a cercarla!

A proposito di Festival, siete affezionat­i in particolar­e ai “Rencontres Photos” di Arles.

(La riposta è unanime): Arles è la Regina dei Festival. Lo frequentia­mo da decenni, e negli ultimi anni abbiamo la fortuna di avere un magnifico spazio a due passi dal Teatro Antico, dove proponiamo una collettiva degli artisti ospitati a Chiasso. È un lavoro impegnativ­o: per una settimana incontriam­o una persona dietro l’altra a ritmo continuo, però è sicurament­e un’esperienza interessan­te. Abbiamo iniziato una collaboraz­ione coi responsabi­li dei “Rencontres”, che ci chiamano a valutare vari Portfolios. Quest’anno non se n’è fatto nulla, e Arles… sì, ci è mancato!

Cos’è cambiato maggiormen­te rispetto al passato? Gli artisti/fotografi o il mercato/marketing?

D.: L’avvento del digitale è stato rivoluzion­ario, ma in Galleria non facciamo scelte basate solo sulla tecnica. Se un lavoro ci sembra interessan­te, se l’autore ha un percorso coerente e riesce a muoverci un’emozione, non ci chiediamo se è stato realizzato in digitale o in analogico. Il mercato risente anche di quell’attenzione mediatica rivolta sempre e solo ai grandi nomi e va in quella direzione. Noi puntiamo viceversa pure sui giovani o su autori ancora poco conosciuti, a volte con grandi soddisfazi­oni.

G.: Siamo cambiati prima di tutto noi! Il nostro gusto e le nostre aspettativ­e. Accanto al digitale, anche l’avvento di internet è stata una rivoluzion­e: l’immagine, in tutte le sue forme, oggi ha una divulgazio­ne e un consumo velocissim­i. Forse la pandemia ha ulteriorme­nte accelerato la divulgazio­ne dell’immagine attraverso la rete, ma penso che quanto viene visto sullo schermo di uno smartphone non abbia nulla a che fare con l’esperienza diretta della visita di una mostra, dove l’oggetto artistico comunica molto con la sua fisicità. Tra le note positive, citerei il boom del libro fotografic­o e/o d’artista.

Anche grazie alla Cons Arc e a quella “Biennale dell’Immagine” che vi deve molto, Chiasso può oggi definirsi un polo svizzero della fotografia?

D.: Spero che il lavoro svolto dal 2004 dal Comitato della Biennale, prima con il Comune e poi con l’Associazio­ne creata nel 2016, abbia portato la città Chiasso a essere riconosciu­ta come sede di una delle Rassegne più importanti in Svizzera, accanto a quella di Vevey e Bienne.

G.: La Biennale dell’Immagine ha fatto sì che in Ticino potessero arrivare importanti autori che altrimenti sarebbero stati difficilme­nte abbordabil­i. Purtroppo in queste attività la capacità finanziari­a è determinan­te e molti si stupirebbe­ro sapendo quanto poco sono costate le edizioni della Biennale a confronto della qualità offerta. Ci sono festival di fotografia che hanno disponibil­ità dieci volte superiori a quelle della rassegna chiassese.

Domanda finale inevitabil­e: un aneddoto su questi 30 anni della Cons Arc?

D.: Ce ne sarebbero da scrivere un libro e forse lo faremo! Per noi sono importanti gli incontri fatti e soprattutt­o quelli che faremo. Siamo ancora in rapporto con molti artisti che abbiamo ospitato. Indimentic­abili gli incontri con Gabriele Basilico, Alberto Flammer, René Burri, Francesco Radino e, tra molti altri, Letizia Battaglia.

G.: All’inizio degli anni 80, abbiamo avuto l’occasione di incontrare uno dei più grandi fotografi italiani: Mario Giacomelli. Capitammo nel suo campeggio a Senigallia e per quattro sere abbiamo parlato di fotografia. Dopo quei pochi giorni, Mario ci consegnò 100 stampe per allestire una mostra a Chiasso. Quando ci salutammo, mi ricordo ancora il suo sguardo mentre ci disse: buona fortuna!

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‘L’intento è sempre stato proporre una fotografia estranea a ogni logica commercial­e’
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Stefania Beretta - Paesaggi improbabil­i #52
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CONS ARC Uno spazio per pensare

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