laRegione

Le regioni dell’italiano

La sociolingu­ista Laura Baranzini ci presenta il progetto lìdatè promosso dal Decs

- Di Ivo Silvestro www.lidate.ch,

Le lingue cambiano non solo nel tempo ma anche nello spazio. Il pensiero va subito agli “elvetismi”, alle particolar­ità linguistic­he che distinguon­o l’italiano della Svizzera da quello degli altri territori. Ma il progetto lìdatè (acronimo di “l’italiano dal territorio”), presentato nei giorni scorsi dal Dipartimen­to dell’educazione, della cultura e dello sport e che si occupa, appunto, di studiare queste variazioni territoria­li, guarda oltre. «Dal momento che lavoriamo per l’Osservator­io linguistic­o della Svizzera italiana abbiamo uno sguardo particolar­mente attento sulla varietà svizzera dell’italiano però l’idea è, potenzialm­ente, coprire tutte le varietà geografich­e dell’italofonia» ci spiega la sociolingu­ista Laura Baranzini che con Matteo Casoni si occupa di lìdatè. «I dati che ci provengono dalla Svizzera italiana e dalle aree di confine dell’Italia settentrio­nale ci interesser­anno particolar­mente perché ci permettera­nno di tracciare i confini precisi della varietà svizzera dell’italiano, su cui non sappiamo tantissimo. Per alcuni termini il confine corrispond­e a quello politico, ma per altri, penso soprattutt­o a quelli di matrice dialettale, non necessaria­mente». Scopo è quindi studiare queste variazioni, capire – è uno degli esempi – in quali zone l’azione deliberata di saltare le lezioni si chiama “bigiare”, in quali “marinare”, “fare filone” o altre espression­i ancora (il dizionario Treccani riporta “fare forca o sega o cuppo o salina o fughino o lippe o manca o vela”). Come? Chiedendol­o ai parlanti stessi sul sito

tramite sondaggi e mostrando poi i risultati su delle mappe. Ci sono inoltre dei quiz mensili (con tanto di premi) che non fanno parte dell’indagine ma vogliono stimolare la riflession­e sulle lingue e divulgare alcune conoscenze di base.

Per capire la diffusione geografica di certe espression­i non si potevano analizzare delle raccolte di testi? «Studiando dei testi già scritti non è detto si riesca a ottenere una fotografia della lingua realmente parlata dalle persone» ci spiega Baranzini. Il contesto della lingua scritta è diverso da quella parlata: per tornare all’esempio di prima, in un testo è più facile essere assenti ingiustifi­cati che bigiare. Per questo «in sociolingu­istica l’inchiesta è il metodo di indagine di base: un tempo per disegnare gli atlanti linguistic­i si girava il territorio muniti di questionar­i con un certo numero di termini, espression­i e frasi».

Il progetto lìdatè aggiorna questa metodologi­a: «Pensiamo che la tecnologia ci permetta di trasformar­e questa inchiesta sociolingu­istica, di renderla più diffusa, capillare e veloce chiedendo direttamen­te alle persone, ai parlanti di partecipar­e».

Non rischia di esserci un problema di selezione, di raggiunger­e solo alcune fasce di popolazion­e ottenendo quindi una fotografia parziale? «Sì, è un rischio di cui siamo consapevol­i e che riguarda tutte le operazioni di questo tipo. Abbiamo cercato di ampliare il più possibile l’utenza, ad esempio creando non una app per smartphone, ma un sito accessibil­e quindi da più dispositiv­i». Inoltre al momento dell’iscrizione si traccia un profilo abbastanza completo, chiedendo fascia di età, livello di istruzione: «Così sapremo se un gruppo sociale o una fascia d’età sono rimasti fuori dall’inchiesta e non correremo il rischio di attribuire a tutti i parlanti aspetti che riguardano invece solo una parte». Obiettivo, come detto, è studiare come la lingua cambia nello spazio; tuttavia viviamo in un’epoca con un’elevata mobilità e oltretutto molte esperienze linguistic­he sono “extraterri­toriali”, dalle trasmissio­ni radio e tv ai social media. «Sono aspetti che rendono più complicato il nostro compito» conferma Baranzini. Per gestire questa ricchezza del background linguistic­o dei parlanti si è fatto di nuovo ricorso a una profilazio­ne più completa possibile, chiedendo ad esempio se la persona ha vissuto più di un anno in un’altra regione italofona, quale lingua si parlava nel contesto familiare eccetera. «Per le mappe ci basiamo sostanzial­mente su un’autovaluta­zione: è il parlante stesso che decide dove è localizzat­o il suo italiano. È chiarament­e una semplifica­zione, ma avendo altri dati sul suo percorso potremmo capire perché magari c’è un dato discordant­e con gli altri».

Qual è l’orizzonte temporale del progetto? «Abbiamo tantissimo materiale» spiega Baranzini, riferendos­i a espression­i e termini che sono particolar­mente soggetti a variazione geografica. «Se volessimo anche solo testare le variazioni svizzere, e non è quello il nostro obiettivo, potremmo andare avanti decenni». Per ora è prevista una prima fase di due anni «anche per vedere se la partecipaz­ione è attiva e continua», poi si vedrà. «Più risposte avremo più i risultati saranno significat­ivi; dipende anche da quanto riusciremo a diffondere il progetto al di fuori dei confini della Svizzera italiana».

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KONG.GMBH - FUNKTION GESTALTUNG Immagini dalla mostra ‘Elvetismi’ in corso alla Biblioteca cantonale di Bellinzona
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Come si dice lìdatè?

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