Pisani-Ferry: ‘Va data priorità alle riforme’
Fondi Ue per trasformare realmente l’economia
Una cosa è certa: «È stato rotto il tabù dell’indebitamento dell’Unione e dei trasferimenti. Questo cambierà profondamente il sistema europeo ma a una condizione: che il sostegno europeo sia efficace, così da poter dire che con questo piano è stata raddrizzata l’economia europea e di Paesi come l’Italia». Per Jean PisaniFerry, professore all’European University Institute e senior fellow al think tank Bruegel (ha anche coordinato il programma economico di Emmanuel Macron durante la campagna presidenziale), bisogna dare priorità alle riforme che permetteranno ai fondi Ue di trasformare in modo reale l’economia.
«Non penso – osserva – che le Raccomandazioni Paese della Commissione Ue siano molto utili, bisogna ragionare sulle priorità di oggi».
Qual è ora il rischio più grande per la ripresa economica europea?
La gestione molto delicata dell’emergenza sanitaria. Stiamo gestendo meglio la seconda ondata dal punto di vista economico, ma le imprese e le attività colpite sono le stesse già colpite durante la prima ondata e sono già indebolite. Bisogna trovare il buon equilibrio tra aperture e rischio sanitario. Poi evitare di prendere decisioni premature in materia di bilancio: bisogna continuare a portare avanti una politica espansiva in maniera forte fino all’assorbimento completo dello shock. Nel lungo termine c’è un rischio che aumenti la frammentazione europea.
In un paper per Bruegel ha scritto che l’Ue non dovrebbe cercare di imporre agli Stati membri, attraverso la condizionalità del Recovery Plan, il suo programma di riforme. Cosa intende?
Stiamo parlando di un piano ingente, molto più grande del Piano Marshall. È chiaro che non si possono distribuire dei soldi senza condizioni. Ci sono due approcci possibili. Il primo dice: ecco l’elenco di riforme che dovete fare in base alle liste passate di priorità. Ma questa non è una buona idea perché le priorità di oggi non sono quelle di ieri. Poi c’è un approccio che parte dalle priorità della Commissione – la transizione ecologica e digitale – e da quelle degli Stati per raddrizzare l’economia. Bisogna ragionare su riforme che permettano ai fondi di raggiungere l’effetto massimo. Ad esempio se perseguo la trasformazione ecologica non posso continuare a sovvenzionare le fonti fossili. Questo vale per tanti settori: il mercato del lavoro, la digitalizzazione, il sistema educativo, la concorrenza. In breve, non si deve dire agli Stati “prima riformate le pensioni”, bensì “fate settore per settore ciò che consentirà ai fondi di raggiungere gli obiettivi”.
Ungheria e Polonia contestano la condizionalità legata allo Stato di diritto. Il Parlamento Ue ha detto che non ha intenzione di indietreggiare. Quale può essere una exit strategy?
Il compromesso raggiunto tra Consiglio e Parlamento Ue va già incontro a Polonia e Ungheria perché il meccanismo sullo Stato di diritto prevede sanzioni in caso si verifichino due condizioni: infrazioni limitate del principio dello Stato di diritto, che colpiscono direttamente gli interessi finanziari dell’Ue. Il meccanismo non potrà essere usato per obbligare ad applicare i valori generali dell’Unione europea, ad esempio la protezione delle minoranze o la libertà di stampa. Questo accordo è già una concessione importante, Ungheria e Polonia lo devono accettare.
Il regolamento sulla Recovery and Resilience Facility è ancora in fase di negoziato. Ci sono degli aspetti controversi che è necessario chiarire?
Bisogna evitare che si crei un procedimento formale senza contenuto. Bisogna mettere l’accento su tre cose: la chiarezza delle priorità, la rapidità di esecuzione e la dimensione pan-europea, che è stata dimenticata nella trattativa di luglio. I progetti con una dimensione transfrontaliera vanno recuperati.
Il Recovery Fund come aiuterà l’Italia?
L’Italia è beneficiaria netta, certo non come la Grecia o i Paesi dell’Europa Centrale. Questo piano offre l’occasione di investire nella trasformazione dell’economia, per la soluzione di problemi vecchi, come quello della scarsa produttività delle Pmi, che indebolisce il potenziale economico del Paese.
L’approccio top-down è il modo migliore per definire i piani nazionali?
È indispensabile avere delle priorità definite a livello nazionale altrimenti si cade nella pura distribuzione. Gli investimenti devono avere degli effetti misurabili sul piano economico. È stato rotto il tabù dell’indebitamento dell’Unione e dei trasferimenti. Questo piano cambierà profondamente il sistema europeo se sarà efficace, se potremo dire tra qualche anno che con questo piano è stata raddrizzata l’economia europea e di Paesi come l’Italia. Allora si riuserà certamente il bilancio dell’Ue. Ma se non cambierà nulla la conclusione sarà che non vale la pensa usare questo bilancio.
Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro, ha ipotizzato un’eventuale cancellazione del debito acquistato dalla Bce durante la pandemia. Il presidente del Parlamento Ue, David Sassoli, ha definito un’‘ipotesi di lavoro interessante’ l’eventuale cancellazione dei debiti contratti dai governi per rispondere al Covid. Cosa ne pensa?
L’idea che le banche centrali possano annullare il debito degli Stati contratto durante il Covid è giuridicamente impossibile, è escluso dai trattati. È un’illusione economica, perché gli utili della Banca d’Italia vanno allo Stato. Non è che impoverendo la Banca d’Italia si arricchirà lo Stato. È un dibattito inappropriato che crea sfiducia in un momento in cui abbiamo bisogno che la Bce continui a sostenere l’azione degli Stati. Ora si è un po’ più ottimisti grazie ai vaccini. La prossima estate i problemi principali saranno superati e l’indebitamento supplementare dei Paesi sarà limitato. Ma intanto la politica espansiva deve continuare finché serve.