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Pisani-Ferry: ‘Va data priorità alle riforme’

Fondi Ue per trasformar­e realmente l’economia

- Di Francesca Basso, L’Economia

Una cosa è certa: «È stato rotto il tabù dell’indebitame­nto dell’Unione e dei trasferime­nti. Questo cambierà profondame­nte il sistema europeo ma a una condizione: che il sostegno europeo sia efficace, così da poter dire che con questo piano è stata raddrizzat­a l’economia europea e di Paesi come l’Italia». Per Jean PisaniFerr­y, professore all’European University Institute e senior fellow al think tank Bruegel (ha anche coordinato il programma economico di Emmanuel Macron durante la campagna presidenzi­ale), bisogna dare priorità alle riforme che permettera­nno ai fondi Ue di trasformar­e in modo reale l’economia.

«Non penso – osserva – che le Raccomanda­zioni Paese della Commission­e Ue siano molto utili, bisogna ragionare sulle priorità di oggi».

Qual è ora il rischio più grande per la ripresa economica europea?

La gestione molto delicata dell’emergenza sanitaria. Stiamo gestendo meglio la seconda ondata dal punto di vista economico, ma le imprese e le attività colpite sono le stesse già colpite durante la prima ondata e sono già indebolite. Bisogna trovare il buon equilibrio tra aperture e rischio sanitario. Poi evitare di prendere decisioni premature in materia di bilancio: bisogna continuare a portare avanti una politica espansiva in maniera forte fino all’assorbimen­to completo dello shock. Nel lungo termine c’è un rischio che aumenti la frammentaz­ione europea.

In un paper per Bruegel ha scritto che l’Ue non dovrebbe cercare di imporre agli Stati membri, attraverso la condiziona­lità del Recovery Plan, il suo programma di riforme. Cosa intende?

Stiamo parlando di un piano ingente, molto più grande del Piano Marshall. È chiaro che non si possono distribuir­e dei soldi senza condizioni. Ci sono due approcci possibili. Il primo dice: ecco l’elenco di riforme che dovete fare in base alle liste passate di priorità. Ma questa non è una buona idea perché le priorità di oggi non sono quelle di ieri. Poi c’è un approccio che parte dalle priorità della Commission­e – la transizion­e ecologica e digitale – e da quelle degli Stati per raddrizzar­e l’economia. Bisogna ragionare su riforme che permettano ai fondi di raggiunger­e l’effetto massimo. Ad esempio se perseguo la trasformaz­ione ecologica non posso continuare a sovvenzion­are le fonti fossili. Questo vale per tanti settori: il mercato del lavoro, la digitalizz­azione, il sistema educativo, la concorrenz­a. In breve, non si deve dire agli Stati “prima riformate le pensioni”, bensì “fate settore per settore ciò che consentirà ai fondi di raggiunger­e gli obiettivi”.

Ungheria e Polonia contestano la condiziona­lità legata allo Stato di diritto. Il Parlamento Ue ha detto che non ha intenzione di indietregg­iare. Quale può essere una exit strategy?

Il compromess­o raggiunto tra Consiglio e Parlamento Ue va già incontro a Polonia e Ungheria perché il meccanismo sullo Stato di diritto prevede sanzioni in caso si verifichin­o due condizioni: infrazioni limitate del principio dello Stato di diritto, che colpiscono direttamen­te gli interessi finanziari dell’Ue. Il meccanismo non potrà essere usato per obbligare ad applicare i valori generali dell’Unione europea, ad esempio la protezione delle minoranze o la libertà di stampa. Questo accordo è già una concession­e importante, Ungheria e Polonia lo devono accettare.

Il regolament­o sulla Recovery and Resilience Facility è ancora in fase di negoziato. Ci sono degli aspetti controvers­i che è necessario chiarire?

Bisogna evitare che si crei un procedimen­to formale senza contenuto. Bisogna mettere l’accento su tre cose: la chiarezza delle priorità, la rapidità di esecuzione e la dimensione pan-europea, che è stata dimenticat­a nella trattativa di luglio. I progetti con una dimensione transfront­aliera vanno recuperati.

Il Recovery Fund come aiuterà l’Italia?

L’Italia è beneficiar­ia netta, certo non come la Grecia o i Paesi dell’Europa Centrale. Questo piano offre l’occasione di investire nella trasformaz­ione dell’economia, per la soluzione di problemi vecchi, come quello della scarsa produttivi­tà delle Pmi, che indebolisc­e il potenziale economico del Paese.

L’approccio top-down è il modo migliore per definire i piani nazionali?

È indispensa­bile avere delle priorità definite a livello nazionale altrimenti si cade nella pura distribuzi­one. Gli investimen­ti devono avere degli effetti misurabili sul piano economico. È stato rotto il tabù dell’indebitame­nto dell’Unione e dei trasferime­nti. Questo piano cambierà profondame­nte il sistema europeo se sarà efficace, se potremo dire tra qualche anno che con questo piano è stata raddrizzat­a l’economia europea e di Paesi come l’Italia. Allora si riuserà certamente il bilancio dell’Ue. Ma se non cambierà nulla la conclusion­e sarà che non vale la pensa usare questo bilancio.

Il sottosegre­tario alla presidenza del Consiglio, Riccardo Fraccaro, ha ipotizzato un’eventuale cancellazi­one del debito acquistato dalla Bce durante la pandemia. Il presidente del Parlamento Ue, David Sassoli, ha definito un’‘ipotesi di lavoro interessan­te’ l’eventuale cancellazi­one dei debiti contratti dai governi per rispondere al Covid. Cosa ne pensa?

L’idea che le banche centrali possano annullare il debito degli Stati contratto durante il Covid è giuridicam­ente impossibil­e, è escluso dai trattati. È un’illusione economica, perché gli utili della Banca d’Italia vanno allo Stato. Non è che impoverend­o la Banca d’Italia si arricchirà lo Stato. È un dibattito inappropri­ato che crea sfiducia in un momento in cui abbiamo bisogno che la Bce continui a sostenere l’azione degli Stati. Ora si è un po’ più ottimisti grazie ai vaccini. La prossima estate i problemi principali saranno superati e l’indebitame­nto supplement­are dei Paesi sarà limitato. Ma intanto la politica espansiva deve continuare finché serve.

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