laRegione

Ma come parlano?

- Di Roberto Antonini, giornalist­a Rsi

Bellinzona, abbiamo un problema: non riusciamo – capita spesso – a decriptare quanto voi, autorità, politiche, di polizia, a volte anche sanitarie volete comunicarc­i. Eppure ci sforziamo, davvero.

Più di tutti ci ha provato martedì scorso la collega del telegiorna­le nell’encomiabil­e e tutto sommato disperato tentativo di vederci chiaro al termine della conferenza stampa sul fatto di sangue avvenuto poco prima in un grande magazzino di Lugano. Terrorismo, sì, no? Indizi, cosa si sa? La risposta del comandante della Polizia cantonale potrebbe entrare negli annali della scrittura automatica, quella in cui un soggetto, spesso in stato di ipnosi, si esprime con parole e frasi che non provengono dal suo stato cosciente. Se il suo intervento fosse stato supportato da una solida sintassi, avremmo potuto perlomeno pensare a un brillante barocco affabulato­re. Certo anche la fitta coltre di nebbia che improvvisa­mente avvolge un paesaggio ha il suo fascino, ma qui l’effetto è stato mestamente più limitato.

La raffica di frasi sconnesse pronunciat­e da Matteo Cocchi ha sortito un solo effetto: il disorienta­mento. Impersonat­o da una giornalist­a visibilmen­te attonita, quasi paralizzat­a dall’incomprens­ione mentre gli sforzi per capirci qualcosa le ronzavano in testa come uno sciame di moscerini. Possiamo immaginare che lo stato d’animo dei telespetta­tori non fosse molto diverso dal suo.

Lo strampalat­o intervento per spiegare cosa fosse successo, al termine di una conferenza stampa indetta in fretta e furia, segna un ulteriore capitolo nella lunga serie di prese di posizione e conferenze stampa, non sempre all’altezza delle urgenze che hanno contrasseg­nato l’annus horribilis 2020.

Dalle frettolose rassicuraz­ioni del medico cantonale per il quale al Rabadan sarebbe stata meno sorprenden­te l’apparizion­e di una Miss coronata che non quella di un virus con ben altro tipo di corona, fino alla forsennata comunicazi­one sul presunto atto di terrorismo, passando dall’invito agli anziani a trasformar­si in vertebrati omeotermi per andare in letargo, la comunicazi­one ufficiale rimane in Ticino problemati­ca e scomposta.

La Facoltà di comunicazi­one dell’Usi, ormai in età adulta, sembra realtà assente nel tessuto istituzion­ale. Ci si potrebbe anche porre qualche interrogat­ivo sul ruolo che svolge o che dovrebbe svolgere nel Cantone. Approssima­zione e fretta nella comunicazi­one incrinano la fiducia e non facilitano la coesione sociale, più che mai indispensa­bile in questi frangenti: la feroce impazienza dei social non aspetta altro per portar avanti a colpi di pregiudizi e affermazio­ni, idee, conclusion­i precotte e riscaldate dove svettano improvvisa­ti virologi e neolaureat­i esperti di terrorismo all’Accademia della tastiera.

Per quale ragione ad esempio si è voluta indire in fretta e furia una bislacca conferenza stampa presente la direttrice dell’Ufficio federale di polizia per aggiungere in sostanza solo una buona dose di confusione agli interrogat­ivi che potevano essere affrontati con maggior accuratezz­a qualche ora più tardi?

Il deficit comunicati­vo cantonale non è un problema irrilevant­e, perché favorisce la circospezi­one, alimenta pure complottis­mi e sciacallag­gi politici di vario genere, crea in sostanza dannose incomprens­ioni e tensioni nella società.

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