La democrazia liberale è ancora in salute?
La democrazia è in pericolo? È ancora adeguata ai tempi? Il Covid la sta uccidendo?
La democrazia è in pericolo? La democrazia è in salute? È ancora adeguata ai nuovi tempi?
E il Covid sta uccidendo la democrazia? Questi interrogativi li ritroviamo ovunque e non si risparmiano convegni e seminari sull’argomento. Ma solo pochi decenni fa queste domande sarebbero state considerate delle stupide provocazioni perché la risposta era scontata.
Ce lo disse nel 1989 un politologo quarantenne di Chicago: caduto il muro di Berlino, sconfitti i vari totalitarismi di destra e di sinistra, finita la guerra fredda, la democrazia liberale non aveva più da temere ed era diventata la forma definitiva di governo destinata a conquistare il mondo. Il politologo lo raccontò in un best seller di successo, ‘La fine della storia e l’ultimo uomo’. Numerosi gli applausi entusiasti e ci fu chi pensò di affrettare i tempi e di esportare il ‘prodotto’, magari con qualche fucile in bella vista per convincere i refrattari. Ma gli assertori della teoria si sbagliarono e oggi i pareri volgono al pessimismo perché si consolidano alternative non particolarmente allettanti.
Gli studiosi vedono nero
I titoli di recenti saggi sull’argomento sono eloquenti: ‘Come la democrazia fallisce’, ‘Così finisce la democrazia’, ‘Come muoiono le democrazie’, ‘Democrazia senza’, ‘L’autunno della liberaldemocrazia’, ‘Contro la democrazia’, ‘Deficit democratici’, ‘Democrazia avvelenata’, ‘Guerra alla democrazia’, ‘Democrazie senza democrazia’, ‘La minaccia populista alla democrazia liberale’. Perfino Sabino Cassese, insigne giurista sempre equilibrato nei giudizi, pur ribadendo che la democrazia ‘è il solo modo di continuare a guardare con fiducia al futuro’, ne ammette l’estrema fragilità: parecchi segnali ci indicano che la democrazia liberale ha la febbre alta. C’è tuttavia qualche raro ottimista che cerca di confortarci: fa la conta delle democrazie nel mondo e conclude che il loro numero non è diminuito. La deduzione è fallace, tralascia un dettaglio: sono tanti i paesi a mettersi il cappello della democrazia, ma a fare la differenza è quello che sta sotto, il contenuto. Dopo puntuale verifica, Democracy Index, piattaforma dell’Economist, ci conferma che solo 22 paesi su 167 possono dirsi veramente democrazie complete, che, oltre al rispetto della volontà popolare, garantiscono le libertà individuali ed è effettiva la separazione dei poteri. Quindi meno del 6% della popolazione mondiale vive in un sistema politico in cui la sovranità dei cittadini è limitata dai ‘vincoli eterni’ dei diritti fondamentali che nessuna legge può scavalcare.
Il neoliberismo vs la democrazia liberale Questi diritti la Costituzione svizzera li condensa in una frasetta all’art. 7: ‘La dignità della persona va rispettata e protetta’. E all’articolo 8 precisa che ‘Nessuno può essere discriminato, in particolare a causa dell’origine, della razza, del sesso, dell’età, della lingua, della posizione sociale, del modo di vita, delle convinzioni religiose, filosofiche o politiche, e di menomazioni fisiche, mentali o psichiche’. Non sono ammesse eccezioni. È questa l’essenza della democrazia liberale e dello Stato di diritto.
Ma oggi crescono gli Stati che fanno del primanostrismo una filosofia, e sono proprio questi gli articoli costituzionali più disattesi. Perché? Perché è venuto meno il fine ultimo di ogni democrazia liberale, che è il felice connubio fra libertà individuali e leggi eque che riducano le diseguaglianze e diano a tutti i cittadini i mezzi materiali per una vita dignitosa.
Purtroppo con il nuovo secolo questi obiettivi sono falliti e perfino le democrazie liberali qualche vistosa crepa in materia di scrupoloso rispetto della dignità delle persone l’hanno pure mostrata, e noi svizzeri non facciamo eccezione (sul trattamento dei migranti la prassi svizzera viola spesso i diritti umani: ce lo dice l’Osservatorio svizzero sul diritto d’asilo; e pure il Ticino ha avuto comportamenti indegni). La legge intoccabile del neoliberismo – che prometteva lo sgocciolamento benefico della ricchezza anche sui meno agiati – ha ingannevolmente sedotto, chi più chi meno, tutti i partiti e il contraccolpo negativo sulle democrazie liberali è stato devastante: non meno diseguaglianze ma più diseguaglianze, non più welfare ma meno welfare, non più solidarietà ma meno solidarietà, non più attenzione ai diritti umani ma meno attenzione ai diritti umani. In questi anni le democrazie liberali hanno tradito se stesse e sono state tradite dal neoliberismo che persegue finalità contrarie ai principi liberali. Stefano Rodotà ha sintetizzato: la democrazia regge male senza la solidarietà, e aveva ragione. Il neoliberismo si è rivelato antipolitico per definizione perché il suo fine non è il bene pubblico e il benessere generale come vuole la buona politica. In definitiva, il neoliberismo senza freni è una delle principali cause – sottaciute, lasciate in ombra, appena sussurrate – della perdita di credibilità della democrazia liberale.
Avanza l’autoritarismo antiliberale
Il futuro roseo immaginato ieri per la democrazia liberale è definitivamente tramontato e con la disillusione si è dissolta una cospicua fetta del consenso al sistema. Del resto quando il benessere si contrae, e, quando si fa strada la sensazione che figli e nipoti avranno un futuro peggiore del nostro, iniziano i guai per le istituzioni democratiche: la gente comincia a guardare altrove, là dove c’è chi promette un futuro radioso. In questi anni l’hanno fatto in tanti, soprattutto l’ha fatto quella classe media impoverita e maltrattata che è andata a gonfiare con la sua rabbia e le sue frustrazioni le ondate populiste. Una cosa mi pare evidente: la rottura del rapporto di amicizia, di fiducia fra governati e governanti ha fra le varie cause pure la propensione di troppi politici a trasformarsi in una casta autoreferenziale dominata da interessi corporativi, condizionata dalle lobbys economiche, con un’agenda di priorità che non è quella auspicata dai cittadini. Ed ecco allora che c’è, fra i cittadini disillusi, chi propone di fare pulizia, di spazzar via la casta politica, abolendo le elezioni manovrate dai partiti ‘per abbindolare gli sciocchi’ e di affidare la selezione dei governanti al sorteggio e al caso. La proposta ha una lunga tradizione alle spalle e qualche argomento forte. Mi pare poco praticabile ma resta un dichiarato atto di sfiducia verso la classe politica e la democrazia rappresentativa. Lo testimoniano inchieste e sondaggi: ci indicano che il discredito dei governi rappresentativi è coinciso con il diffondersi di tentazioni autoritarie e tanti invocano l’uomo forte, che decide in nome della nazione e promette di procedere senza indugi. Eccole, sono lì ben presenti le nuove e temute alternative alla democrazia liberale: sono quelli dell’antiliberalismo autoritario, sono quelli delle democrazie illiberali, alla Erdogan, alla Putin, alla Lukashenko, alla Bolsonaro, alla Orbán, alla Duterte. Sono quelli che in nome della democrazia aspirano a sostituire sé stessi alla costituzione liberale.
Infatti la caratteristica di tutti questi regimi autoritari è la spudorata esaltazione della democrazia, quella però amputata delle credenziali liberali. È la democrazia della volontà popolare illimitata (ossia quella del leader), è la democrazia che non contempla il rispetto delle libertà individuali e dello Stato di diritto. Viktor Orbán, ad esempio, ha paralizzato l’Unione europea perché non vuole che la concessione di aiuti finanziari ai paesi membri sia vincolata al rispetto dello Stato di diritto. Deduzione elementare: una democrazia priva dei principi liberali non è vera democrazia perché misconosce ogni forma di pluralismo istituzionale, sociale, culturale, etnico, religioso. I leader delle democrazie illiberali – dicevo – vogliono sostituire la volontà popolare, ossia sé stessi, alla costituzione. La loro nozione di democrazia è strumentale: fanno appello alla volontà popolare per confermare sé stessi. Lo fa Donald Trump, il narcisista malefico, il peggio del peggio della politica americana che disprezza e ignora i principi più elementari della decenza democratica. Semplicemente perché li ignora; semplicemente perché la politica non è la ricerca del bene pubblico ma del bene personale; semplicemente perché ‘L’Etat c’est moi’. Di fronte a un tale personaggio non ci si può che rattristare – lo dico con amarissima ironia – del fatto che la democrazia per sua natura non discrimini sulla base del grado di stupidità e di ignoranza dei candidati al governo. La giornalista e scrittrice Naomi Klein ha pubblicato ‘Shock Politics’ e il saggista Michael Lewis ha titolato il suo libro ‘Il quinto rischio’: il loro è un richiamo disperato alla competenza e al senso dello Stato e vi lascio intuire qual è il giudizio sul protagonista.
Alla ricerca della memoria
e dell’amicizia perdute
La mia impressione è che da qualche anno stiamo scivolando su un piano inclinato che ci allontana progressivamente dallo Stato di diritto e ci avvicina ad alternative autoritarie e illiberali che rappresentano la distruzione del faticoso cammino che i nostri padri, dal 1945 in poi, hanno intrapreso nel tentativo di non ritornare alla barbarie del passato. Non conosco i rimedi, ma so che se vogliamo frenare la deriva antiliberale e la progressiva demolizione dello Stato di diritto, la prima cosa da fare, la più urgente, è recuperare la memoria del passato e risvegliare la consapevolezza storica che lo Stato di diritto è una risposta a mali che hanno precipitato il mondo nella barbarie, proprio quei mali – esaltazione nazionalista, ostentazioni identitarie, razzismo, xenofobia, chiusura agli altri – che oggi sono gli ingredienti del futuro radioso immaginato dai nuovi leader delle cosiddette democrazie illiberali. Se lo Stato di diritto è febbricitante è sicuramente per le vistose colpe della politica ma pure per la famigerata indifferenza e l’irresponsabilità di noi tutti nei confronti della dignità delle persone. Lo Stato democratico liberale non vivrà se non saremo in grado di ripulire la casa e ristabilire dei rapporti di amicizia, di collaborazione, di fiducia fra governati e governanti. Ma oggi le condizioni non sono date. Quel gran Signore che sta a Roma, in solitudine, circondato da troppe persone che hanno poco di pio, ci segnala che “la storia sta dando segni di un ritorno all’indietro”, e si sta imponendo “un’indifferenza di comodo, fredda, globalizzata” che conduce al cinismo. È così.