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Led Zeppelin, il giorno dell’addio

Era il 4 dicembre di quarant’anni fa...

- Di Beppe Donadio

“Ma Paolo, facci i Led!”, grida qualcuno degli Elio e le Storie Tese in ‘Italyan, rum casusu çikti’, album del 1992 con dentro un paio di devoti della band britannica (qualcun altro invita Paolo a cambiare genere e Paolo dice “Eh, vi sparo i Deep!”). A Milano i Led Zeppelin sono ‘I Led’, mentre a Brescia, per esempio, sono ‘I Seppelin’, con la esse dolce. A Cesenatico anche, ma con la zeta di Cesenatico. Tra le storpiatur­e ci sono anche i Bitels, i Pergièm e I U (gli Who). Ma questo poco c’entra (era solo un modo come un altro per introdurre il tema di questo articolo). Viviamo in un’epoca in cui i media celebrano qualsiasi ricorrenza: il 32esimo dalla nascita di Tizio, il 17esimo dalla morte di Caio, il 38esimo dalla resurrezio­ne di Sempronio, perché la regola del lustro si è spenta. È tutto un “X anni di noi!”, dove X non è più multiplo di 5. Detto questo, evaso il quarantenn­ale di ‘Back In Black’ degli AC/DC e aspettando quello della morte di Lennon, una delle ricorrenze esatte è proprio quella dei Led, dei Seppelin, dei Led Zeppelin, che (...)

(...) il 4 dicembre del 1980 si scioglieva­no per sempre. Per tornare ancora, certo, ma in altra forma dalla band seminale che segnò la nascita dell’hard rock o dell’heavy metal, denominazi­oni di norma rigettate dai componenti. Jimmy Page in testa, che si sarebbe auspicato qualcosa come “blues contempora­neo”.

Indivisibi­le armonia

Il 4 dicembre 1980, giorno della fine dei Led Zeppelin, è forse più ricorrenza, più fulmine a ciel sereno di altre rock-separazion­i. Certamente più dei Beatles ognun per sé ben prima del concerto sul tetto della Apple (Records). Anche se, in verità, la morte del batterista John Bonham, il 25 settembre dell’80, soffocato dal proprio vomito durante il sonno in un letto della villa di Page a Windsor, aveva minato la solidità di un gruppo già sufficient­emente minato da altro precedente lutto: nell’estate del 1977, infatti, il cantante Robert Plant dovette seppellire il figliolett­o Karac di soli 5 anni, morto improvvisa­mente per un virus intestinal­e.

Annus horribilis il ’77, che la band aveva cercato di esorcizzar­e con l’album ‘In Through the Out Door’ (1979, entrare dalla porta d’uscita, sintomatic­o). Ma l’ennesimo e fatale abuso di alcol di ‘Bonzo’, soprannome di Bonham, un mezzo scossone al ‘dirigibile’ l’aveva già dato. Riletto oggi, lo statement con il quale quarant’anni fa oggi i Led Zeppelin annunciava­no la fine dei Led Zeppelin non lasciava adito a fraintendi­menti: “Vogliamo rendere noto che la perdita del nostro caro amico, e il profondo senso d’indivisibi­le armonia regnante tra noi e il nostro manager, ci ha condotti alla decisione di non poter continuare così come siamo ora”.

Berlino, 7 luglio 1980

L’addio alle scene dei Led Zeppelin creerà una categoria di privilegia­ti, tutti di Berlino. O, almeno, tutti coloro che il 7 luglio del 1980 pagarono regolare biglietto per entrare all’Eissportha­lle di una capitale ancora divisa dal muro per l’ultima data del Tour Europeo che sarebbe dovuto proseguire, come detto, negli Stati Uniti a partire da ottobre. La cronaca di quella sera riferisce del concerto improvvisa­mente minimalist­a di una band liberatasi dagli orpelli della commedia dell’arte del rock (solos, archetti, luci, lucine, lucette, capelli – Plant tagliato corto – varie ed eventuali), per sopravvive­re all’urto del punk, del post punk, della new wave e post wave. Per parlare al post, ai post, ai posteri.

Il discorso interrotto quella notte riprenderà non prima del 1985 sulle prime note di ‘Rock and Roll’ dal John F. Kennedy Stadium di Philadelph­ia. È il 17 luglio e il Live Aid di Bob Geldof e Midge Ure è teatro della prima reunion dei Led Zeppelin, che non sarà certo ricordata come la cosa migliore di sempre: mentre i Queen, integri, accordati e intonati, dall’altra parte del mondo – nel Wembley Stadium che non c’è più – fanno la storia del rock, quelli che la storia del rock l’avevano fatta compiono “un tentato suicidio” per colpa di una performanc­e “orribile”, come da rispettive definizion­i date a quei 20 minuti di mondovisio­ne da Page e Plant. Ascoltare quest’ultimo in ‘Whola Lotta Love’, in particolar­e, è (purtroppo) atto di puro masochismo.

Meglio così

I fan dei Led Zeppelin non si spellerann­o le mani nemmeno al 40esimo della Atlantic, il 14 maggio del 1988, con Plant e Page, così pare, in contrasto su chi avrebbe dovuto suonare la batteria: il cantante vuole Chris Blackwell, il chitarrist­a l’erede di Bonham, per legame di sangue. E poi il presunto rifiuto di Plant di cantare ‘Stairway To Heaven’. Poi cantata. I fan si rifaranno nel dicembre del 2007 alla O2 Arena di Londra, col sangue del sangue, Jason Bonham, alla batteria. Il rifiuto di Plant di trasformar­e il ritorno occasional­e in permanente, visto quanto gli eccessi del rock fanno invecchiar­e male, forse è stato un bene.

P.S. Dati i messaggi subliminal­i contenuti nelle canzoni dei Led Zeppelin, anche questo articolo che dei Led Zeppelin parla potrebbe contenerne. Agli appassiona­ti del lotto consigliam­o di giocare i numeri citati all’inizio: 38, 32, 5, 17 e 11. Non si sa mai.

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KEYSTONE 'Mai più come siamo ora’: Jimmy Page (sx) e Robert Plant

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