Efg: ‘Buoni i rapporti con il territorio’
Polloni sulla vendita di palazzo Botta: ‘Non abbiamo ricevuto richieste di sconti’
La pandemia di coronavirus ha impattato e rivoluzionato molte attività economiche, compresa quella bancaria. «È stato un modo per testare il cosiddetto ‘disaster recovery’, situazione estrema, in realtà sempre possibile, ma mai attuata prima di ora almeno per la realtà svizzera», ci spiega Franco Polloni, responsabile Svizzera e Italia della banca Efg. «E l’esito, a giudicare dal bilancio dell’attività degli ultimi nove mesi, è più che positivo», aggiunge Polloni che spiega innanzitutto che «la gestione patrimoniale per i nostri clienti non ha risentito della pandemia. Siamo rimasti sempre operativi su questo fronte seguendo attentamente l’evoluzione dei mercati finanziari».
E invece dal punto di vista organizzativo?
Come detto, l’operatività di Efg non è mai stata messa in discussione. Dopo un primo momento di rodaggio, lo scorso marzo, siamo riusciti a permettere alla maggior parte dei nostri collaboratori (in Svizzera e all’estero, ndr) di poter lavorare in remoto. Ci sono stati dei periodi in cui il 90% dei nostri collaboratori in Svizzera lavorava in home office. Nel Regno Unito questa percentuale è salita addirittura al 100%. Si tratta di una modalità di lavoro nuova che ha anche permesso – all’intero settore finanziario – di intensificare i rapporti con la clientela.
In che senso?
Lo spostamento verso il digitale ha permesso all’industria finanziaria di avvicinarsi ulteriormente al cliente. Era una tendenza in atto già da qualche anno e che la pandemia ha accelerato. Posso certamente dire che i rapporti con la clientela si sono rafforzati negli ultimi mesi, come dimostrano del resto i numeri di Efg. Quindi, riassumendo, rispetto ad altri settori non abbiamo subito grandi contraccolpi: l’operatività è sempre stata garantita e quando, alla fine del lockdown primaverile, abbiamo riaperto la ricezione della clientela, questa è tornata con piacere a farci visita.
L’estate scorsa è stato reso noto che Efg ha ceduto a BancaStato la clientela retail ticinese. Come mai questa scelta e perché avete dismesso l’attività a favore di una banca pubblica?
Con l’acquisizione di Bsi, oltre alla storica clientela private banking, abbiamo ereditato anche un portafoglio di clientela privata e commerciale legato al ruolo di banca universale di Bsi. Il focus di Efg è la gestione patrimoniale dove stiamo investendo importanti risorse in termini sia di persone che a livello tecnologico. Questa chiara visione strategica ha portato alla scelta di dismettere i segmenti del retail e del commerciale non legato al private banking. Ci siamo quindi preoccupati di offrire a questi clienti un’alternativa valida. Lo abbiamo fatto aprendo un processo di vendita sulla piazza strutturato e gestito da un advisor esterno. Si sono fatte avanti diverse banche, ma la soluzione offerta da BancaStato ci è apparsa la più interessante per i nostri clienti e collaboratori. Tutto qua. Che poi sia un istituto in mano al Cantone, ci fa piacere perché è anche compito di una realtà come Efg di essere attenta al territorio in cui opera.
I rapporti con l’ente pubblico però non si sono esauriti con l’accordo con BancaStato. Con il Cantone avete siglato un accordo per la compravendita del palazzo Botta in via Stefano Franscini a Lugano. Un concorso pubblico anche in questo caso?
Si è trattato di una trattativa privata ed è stato il Cantone a segnalarci un interesse per il nostro stabile. Non è una novità che ora la banca occupi solo una parte delle superfici degli attuali stabili ticinesi. Con la cessione del palazzo Botta gli spazi occupati salirebbero ma ci lascerebbero ancora una cospicua riserva per gestire la crescita. Ma al di là di ciò, e per riallacciarmi alla responsabilità di Efg nei confronti del territorio, anche questa operazione rientra in questo ambito. Si tratta di un edificio di pregio realizzato dall’architetto Mario Botta. Dopo decenni di uso come banca, è interessante una sua valorizzazione come spazio pubblico.
La richiesta di credito è ancora ferma in Commissione della Gestione. C’è chi chiede una trattativa sul prezzo di acquisto. Siete pronti a uno sconto?
Il prezzo concordato a suo tempo con il Cantone è pari a 80 milioni di franchi ed è frutto di una perizia immobiliare approfondita. Con la Gestione ci siamo già incontrati in due occasioni: la prima la scorsa estate – dove abbiamo confermato la nostra disponibilità a ridiscutere i termini del contratto – e la seconda a metà di ottobre. Efg, non ho bisogno di ribadirlo, è una società quotata e come tale deve rendere conto a un Consiglio di amministrazione e agli azionisti. Per certi versi la nostra situazione è simile a quella del Cantone che deve spendere soldi dei contribuenti. Ufficialmente non abbiamo ricevuto richieste di sconti o di riaperture delle trattative. Sappiamo dai giornali (cfr. laRegione del 14.11.2020, ndr) che il Cantone sta discutendo una simile opzione.
Parliamo di piazza finanziaria ticinese. Negli anni si è ridimensionata molto. Il Ticino ha ancora un ruolo da giocare in questo ambito?
Il Ticino è e rimane importante anche con le problematiche che conosciamo (difficoltà di accesso al mercato italiano). Ma il rapporto con l’Italia rimane fondamentale per lo sviluppo della piazza. Lo abbiamo visto dopo la stagione degli scudi fiscali e della voluntary disclosure: la clientela italiana ci è rimasta fedele. Certo, come settore dobbiamo fare i conti con una competizione aumentata e i clienti sono molto più attenti alle commissioni rispetto al passato, ma in Ticino abbiamo le professionalità per affrontare queste sfide. Rispetto a Zurigo, realtà che conosco bene, c’è meno dinamismo. Lì le masse gestite crescono molto di più che altrove in Svizzera. Per la realtà bancaria ticinese è importante comunque avere regole chiare per accedere al mercato italiano. Dal punto di vista politico vedo un po’ di rassegnazione su questo tema ma come piazza finanziaria ticinese manteniamo una forte pressione sulle nostre autorità. Tuttavia, il peccato originale è stato siglare la roadmap con l’Italia senza formalizzare un accordo sulla libera prestazione di servizi di investimento transfrontalieri.
Il processo di digitalizzazione con il Covid ha fatto un balzo di un decennio rispetto alle attese. Si aspetta ulteriori soppressioni di posti di lavoro?
Il fattore umano nel private banking rimarrà fondamentale, un elemento centrale del rapporto di fiducia tra banchiere e cliente. Quello che sta avvenendo è che stanno cambiando i processi. La filiera operativa e burocratica si sta accorciando molto grazie all’introduzioni di sistemi digitali. La pandemia con il relativo spostamento verso il cosiddetto “work from home” ci ha forzato ad accelerare questi cambiamenti. Pertanto, dovremo aspettarci che l’aumento dell’automazione avrà ripercussioni sulle funzioni amministrative. Tuttavia, il vero problema di tutto il settore bancario si chiama ‘tassi negativi’, un fattore che incide sulla redditività e ci obbliga inevitabilmente a essere i più efficienti possibile.