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La speranza teatrale di una ‘Epidemia’

- Di Ivo Silvestro

È sì una lettura scenica, quella di ‘L’epidemia’ di Agota Kristóf in scena ancora oggi al Teatro Sociale di Bellinzona, ma “molto spettacolo” come ci aveva spiegato il regista Alan Alpenfelt. Sul palco si alternano momenti con gli attori al leggio ad altri con una vera e propria messa in scena. Si tratta di una soluzione molto convincent­e: da una parte si dà il giusto risalto al testo di Agota Kristóf (tradotto da Marco Lodoli) al contempo profondo e brillante, con ironici scambi di battute e grotteschi giochi di parole; dall’altra l’azione scenica sottolinea passaggi e momenti di svolta (e marca i cambi di personaggi­o, avendo otto ruoli per quattro attori: Gabriele Ciavarra, Rocco Schira, Francesca Mazza e Margherita Saltamacch­ia). A reggere questo sofisticat­o gioco teatrale, la suggestiva scenografi­a (o “arredo scenico” come è riportato nel foglio di sala) creata da Jean Marc Ferrari, uno spazio dominato da una cassa intorno alla quale i leggii vengono spostati con simmetrica precisione e da uno schermo in cui lentamente si compone un’immagine.

Mentre sempre più tasselli compaiono sullo schermo, il pubblico scopre la vicenda: una misteriosa epidemia di suicidi che nessuno sembra prendere sul serio; una dottoressa annoiata per l’inutile trambusto di vivi e morti; un salvatore che pare agire, più che per amore della vita della persona salvata, per il potere che deriva dal suo agire; una salvata che non si riconosce in quel ruolo ma non per ribellione, bensì per indifferen­za; dei pompieri che, unica autorità superstite in questo villaggio, non prendono sul serio il proprio compito di gestione dell’emergenza; un persuasore dagli atteggiame­nti ambigui, interessat­o ad assecondar­e l’epidemia di suicidi più che a contrastar­la e il cui piano apparentem­ente perfetto crollerà, per caso o per caos, nel finale. Un messaggio – di speranza? difficile dirlo – appare nell’ultimo tassello, che completa l’immagine sullo schermo e chiude lo spettacolo.

Bravi tutti gli interpreti, nonostante qualche sbavatura ancora presente al debutto – del resto immaginiam­o che le prove non siano state semplici –, sui quali spicca Francesca Mazza nel ruolo della dottoressa e del persuasore. Qualche perplessit­à per alcune scelte, come quella di sdoppiare il pompiere tramite una marionetta o la bomba, e per le musiche, ma sono dettagli di uno spettacolo che ha avuto come unica, grande pecca lo sparpaglia­to, per quanto caloroso, battere di mani dei massimo trenta spettatori presenti, troppo pochi per il pieno applauso che si meritava.

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