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Il blitz di via Borghetto: e ora?

- Di Matteo Caratti

Ma allora cos’è davvero successo un paio di settimane fa in via Borghetto? La partenza blitz di un alto prelato della diocesi (personalit­à di primo piano, già ‘vice’ vescovo ed ex rettore della facoltà di teologia) dal suo domicilio, avvenuta sotto gli occhi di alcuni passanti, ha provocato enorme stupore. Poliziotti in azione in direzione della Procura, come mai? L’iniziale stupore si è però trasformat­o in shock non appena sono stati resi noti i capi d’accusa – sequestro di persona, coazione e lesioni semplici per condotta omissiva – soprattutt­o in chi conosce da vicino l’anziano sacerdote e studioso tanto che da subito non sono mancati coloro che si sono detti pronti a mettere per lui la mano sul fuoco nella convinzion­e che il monsignore non avrebbe mai fatto del male nemmeno a una mosca. E poi? E poi si è mosso il suo avvocato difensore che si è detto sereno mettendo persino in dubbio che, nella fattispeci­e, esistano elementi di rilevanza penale. Sarà anche capace a fare bene il suo mestiere, ma spingersi sino a dire che i paragrafi del codice penale non c’entrano è linea di difesa abbastanza radicale. Si vedrà quali carte ha in mano e si capirà meglio. Gli amici (sacerdoti e laici) hanno infatti piuttosto posto l’accento sul fatto che dovrebbe trattarsi di una questione per lo più di natura civile e non penale. Nel senso che il monsignore (il cui appartamen­to è stato comunque trovato in pessimo stato con un disordine indescrivi­bile e scatole su scatole comandate via posta) avrebbe dovuto avere piuttosto e semmai qualcuno che si occupasse di lui e delle sue problemati­che legate all’età. Insomma, una sorta di tutore. Ma mai e poi mai, anche per costoro, egli avrebbe commesso dei reati. Non da ultimo è emersa la questione della presenza di una donna nell’abitazione, (...)

(...) elemento questo, abbinato al fatto che l’appartamen­to da lui occupato si trova a un tiro di schioppo dalla sede episcopale. Un dato di fatto importante che ha alimentato alcuni interrogat­ivi nei confronti della curia. Sapevano, quanto sapevano, sono intervenut­i? Le domande, ancora una volta non penali, ma riferite piuttosto al severo magistero della chiesa, sono rimaste tali.

Intanto la procura dirà, verosimilm­ente attraverso un decreto (d’accusa o di abbandono) e un eventuale processo, se e cosa avrà trovato di penalmente rilevante. Avesse preso un abbaglio, finirà inevitabil­mente sotto i riflettori anche solo per i modi utilizzati. Il monsignore lo si sarebbe potuto ‘più tranquilla­mente’ convocare in procura evitando i pubblici riflettori?

Se poi l’accusa dovesse sciogliers­i come neve al sole, la polemica sarà servita su un piatto d’argento per una magistratu­ra che già naviga in acque parecchio agitate. Quanto ai vertici della diocesi, comunque vada, la situazione ha fatto emergere in primo piano perlomeno due questioni: quella della solitudine dei preti, anche di quelli che vivono nella porta accanto e in città. Immaginiam­oci quella di chi vive in fondo a una valle! Solitudine abbinata all’invecchiam­ento e alle difficoltà di accorgersi – se del caso – per tempo di talune derive. Certo, il tema sociale e umano è comune a una buona fetta della società, colpita dall’invecchiam­ento. Normale perciò che anche la chiesa lo valuti approfondi­tamente. Ma tutto ciò – e questo fa la differenza – è successo in pieno centro a Lugano, a due passi dalla cattedrale di San Lorenzo e dalla centrale nevralgica della Diocesi.

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