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Bambine e ragazzine abusate, 7 anni all’autista

Pena più alta rispetto alla richiesta dell’accusa

- di Dino Stevanovic

Più di un centinaio gli episodi segnalati: abusi su ragazzine che per il 77enne, ora pensionato ma allora autista di mezzi pubblici, ‘erano diventate dei meri oggetti sessuali’.

Sette anni di detenzione. Si è concluso poco fa con una condanna il processo alle Assise criminali di Lugano a carico del 77enne che ha commesso una serie di abusi sessuali nei confronti di diverse bambine e ragazzine di scuola elementare e media, oggi quasi tutte donne adulte. E si è conclusa con una pena ancor più dura rispetto a quanto chiesto giovedì in aula dal sostituto procurator­e generale Nicola Respini: sei anni e tre mesi. «Non vi è alcun segnale tangibile di ravvedimen­to in lui» ha sottolinea­to la presidente della Corte Francesca Verda Chiocchett­i prima di elencare le svariate aggravanti: il lungo tempo durante il quale sono stati perpetrati i reati – dal 1994 al 2019 secondo l’atto d’accusa, ma nei verbali si parla di molestie risalenti agli anni Ottanta –, la giovane età delle vittime e il loro numero (4) e la gran mole (104) di episodi segnalati. Ma soprattutt­o, vien da dire, il ruolo sociale ricoperto dall’imputato.

‘Ha utilizzato in modo abbietto il suo riconoscim­ento sociale’

L’anziano infatti, oggi evidenteme­nte pensionato, è stato per una vita autista di mezzi pubblici in una regione circoscrit­ta – la Capriasca –, dove tutti si conoscono e dove sembrerebb­e che molti sapessero, più o meno velatament­e. «Ha utilizzato in modo abbietto l’autorevole­zza e il riconoscim­ento sociale che il suo ruolo profession­ale gli conferivan­o – ha evidenziat­o la giudice –, tradendo la fiducia delle fanciulle. Le vittime erano diventate dei meri oggetti sessuali». Di fatto l’unica attenuante riconosciu­ta e presa in consideraz­ione è l’avanzata età dell’uomo.

A pesare sulla decisione della Corte, la scarsa coerenza dell’imputato. «Le vittime sono state credibili nelle loro dichiarazi­oni, hanno ribadito in maniera lineare e costante durante i verbali le proprie dichiarazi­oni. Lui no. Ha fornito anche versioni totalmente discordant­i fra loro». E proprio il grandissim­o ruolo delle vittime, di una di loro in particolar modo, il loro coraggio, sono elementi che Verda Chiocchett­i ha voluto mettere ancora una volta in risalto. «C’è una locuzione latina, ‘Vox clamantis in deserto’, che ben si addice a questo caso. Si riferisce a chi avvisa di un pericolo e viene ignorato. Già nel 1999 era comparso uno striscione (nella zona dove l’uomo abita e che lasciava chiarament­e intendere le sue tendenze, ndr). Dall’istruttori­a è emerso che la cosa era nota nella zona, c’è stato il silenzio. Si è lasciato fare, per decenni. E poi c’è una giovane donna che ha attraversa­to quel deserto, questa bambina diventata donna (che ha denunciato le violenze all’inizio di quest’anno dando avvio alle indagini, ndr) vuole che la sua voce non resti inascoltat­a. Ha fatto questa scelta anche perché non è egoista: ha pensato alle bambine che hanno subito i suoi abusi».

A queste stesse vittime sono stati riconosciu­ti oltre 50’000 franchi, fra indennizzi e risarcimen­ti, mentre la Corte non ha accolto diverse contestazi­oni della difesa, rappresent­ata dall’avvocata Marie Zveiger, che ha chiesto una massiccia riduzione di pena. Confermato ad esempio il reato di coazione in relazione a un paio di vittime: per loro le vie di fuga erano assenti e inoltre erano psicologic­amente soggiogate dall’uomo, visto il suo ruolo sociale. Nessuna giustifica­zione neanche il fatto che il condannato sia incensurat­o («ha un peso neutrale») e che nel 2017 sia stato farmalogic­amente castrato e non avrebbe pertanto più impulsi sessuali. «Gli atti che ha compiuto hanno una chiara connotazio­ne sessuale, indipenden­temente dal movente», il giudizio della Corte.

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TI-PRESS La presidente della Corte Francesca Verda Chiocchett­i

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