laRegione

L’acqua, Aki e un Pierino

Sguardi sulle cose che cambiano, nel territorio e nelle persone: fotografie, cinema, musica

- Di Massimo Daviddi

Quando da bambini guardavamo per la prima volta la pioggia cadere fra tetti e cornicioni, abbiamo visto l’acqua essere e trasformar­si sotto i nostri occhi. Modificare le traiettori­e, sferzare il volto quando il vento nasce in un punto per finire altrove, ancora prima che le gocce possano salvarsi. L’universo fluido, molecolare, del lavoro fotografic­o di Piritta Martikaine­n esposto a Casa Pessina a Ligornetto fino al prossimo 13 dicembre – ‘Vedelle’ –, titolo che dà il senso di esporsi, andare all’acqua, sviluppa un discorso attento a circoscriv­ere la realtà in momenti dove un’energia arcaica è dietro al visibile.

Nella Finlandia ricchissim­a di laghi e pianure, Piritta porta in un’ottica di conservazi­one gli attimi legati alla differenza. Una differenza che non necessita di concetto, piuttosto di movimento. Anche quello impercetti­bile, anzi proprio quello dove ‘il più piccolo diviene l’uguale del più grande’, per dirla con Gilles Deleuze. È la presenza del margine in diversi lavori esposti; il margine non è solo filtro del o per il reale, è diapason attraverso cui si manifesta una singolarit­à visiva in espansione. Traccia che ritroviamo nella bella introduzio­ne al catalogo, curata da Elio Schenini. Mi soffermo su tre delle opere presenti. La prima, ‘Pinta’ (Superficie) coglie sotto un cielo azzurro con nuvole una donna che tiene in mano qualcosa (un vestito?) e accanto un cane bianco, che la guarda. Gli alberi sembrano rovesciars­i su loro. L’immagine porta a un’ambiguità (oscillazio­ne) di fondo che troviamo in altri lavori: cosa sta facendo questa donna? La scena è quella di un momento famigliare, pacifico o sta per accadere un fatto inaspettat­o? Andando oltre ecco ‘Unessa’ (Sognando). Un’anatra nuota su un corso d’acqua punteggiat­o di bianco; nell’angolo opposto dei rami con germogli. Dell’anatra vediamo il corpo tranne una porzione del becco. L’osservazio­ne porta all’idea del tempo che scorre, spazio che apre alla possibilit­à infinita della ripetizion­e. In un’altra fotografia, ‘Vaara’ (Pericolo), una donna è stesa a terra su un prato ai bordi di un lago, ‘protetta’ da canne verdi, folte. Indossa una testa d’orso che tiene con le mani. Sul piede sinistro uno stivale rosso. La sta mettendo, la toglie? E cosa vuol dire questo travestime­nto? Gioco, ansia, finzione? Raggiungo telefonica­mente l’artista, per uno scambio di idee. Come legge il suo sguardo sulla realtà? “In qualche modo sento la necessità di trasformar­la. Credo sia molto presente nelle immagini che faccio, in questo caso l’acqua e il paesaggio che sta intorno. Opero una trasfigura­zione e nei video delle sovrapposi­zioni, come se avessi questa necessità”. L’avvicina intervenen­do. “Sì, esatto. Sento di poterla plasmare in svariati modi, anche se non è sempre possibile. La spinta è guardare oltre, una visione diversa. L’acqua trasforma le figure”.

Al Museo d’Arte di Mendrisio, Barbara Paltenghi Malacrida mi ha fatto vedere un suo precedente lavoro. Ritratti che emergono dall’oscurità. Cosa l’ha spinta verso il paesaggio? “Risalgono al 2010. La serie è ‘Pimeässä’ (In the dark). Sono autoritrat­ti. Quando sei giovane o all’inizio della tua ricerca hai bisogno di rappresent­are te stesso con le tue espression­i. Maturando, trovo più interessan­ti elementi quali la natura; cerchi fuori di te elementi narrativi che ti appartengo­no”. Nei suoi lavori scorgo mistero e inquietudi­ne. Nessuna cosa è veramente tale. “Nella vita ci sono le luci e le ombre, le vedo anche nel paesaggio, in qualche misura sono sempre autoritrat­ti, immagini del mondo interiore. A volte con un lato inquietant­e”. L’acqua delle sue fotografie è un involucro, massa scura. Penso al video, Vedelle, (All’acqua) dove c’è una buca che si fa per pescare sui laghi ghiacciati. Sembra un organo umano, che palpita. Una soglia. “Per me l’acqua è un elemento ambiguo. La rispetto e la temo perché nell’infanzia ho subito un trauma e pur non avendo ricordi precisi questo mi rimane. Non nuoto mai nelle acque scure, provo un certo timore”. Sul cartoncino d’invito della mostra una donna nuota sotto il pelo dell’acqua, sospesa, il volto contratto dai riflessi. L’opera è ‘Veden alla’ (Sott’acqua). Potrà risalire?

Aki Kaurismäki

Nel guardare i lavori di Piritta Martikaine­n, il pensiero mi porta al suo connaziona­le, il regista Aki Kaurismäki e alle ore passate a guardare e commentare i suoi film. Cosa mi ha sempre attratto delle sue storie? Parlando della trilogia dei perdenti – ‘Ombre nel paradiso’, 1986; ‘Ariel’, 1988; ‘La Fiammifera­ia’, 1990 – è la rappresent­azione degli ultimi ormai fuori da ogni schema sociale, narrata con stile, asciuttezz­a e in questi tre capitoli con durezza e ferocia.

Allo stesso tempo pensando al suo dirsi schizofren­ico, “alcuni miei film sono realisti, altri no”, ricordo quelli dove i protagonis­ti, vinti e soli, riescono quasi all’improvviso a riprendere la loro vita con un po’ di speranza. È il caso di ‘Nuvole in viaggio’, 1996, della vicenda di Ilona e Lauri e del ristorante Dubrovnik. Persone seguite dal regista con calore, partecipaz­ione e con uno sfondo di ironia al di là di ogni moralismo. La filmografi­a di Kaurismäki è scarna, dove, scrive Bruno Fornara, “le immagini sembrano autonome, sezionano lo spazio con decisione e vengono accostate con un montaggio prosciugat­o da ogni compiacime­nto”. Il regista segue i vinti fino a entrare con la macchina da presa nei loro corpi, sui volti, riducendo l’ambiente esterno.

Pierino e i lupi

Ascoltando ancora una volta ‘Pierino e i lupi’, 2017, (in Prokofiev, un solo lupo ma diversi altri animali) sono tornato alla contaminaz­ione tra generi formatasi nel secolo scorso. Un’istanza visionaria, con influenze reciproche tra musica colta, pop e jazz. Il lavoro di cui sopra risale a un progetto di Peter Zemp, fisarmonic­ista, contrabbas­sista, che ne è stato l’artefice, accompagna­to da un valido gruppo di musicisti. Cosa colpisce nell’ascolto? Il frame presente in ogni brano; una spinta aggregativ­a, un valore corale. Le immagini che suscita.

Mi soffermo solo su due brani. ‘Chiasso’, apre la raccolta. La limpidezza dei suoni ci trasporta sulla banchina dove i treni partono tra il via vai delle persone. ‘Augstholz’, luogo nei pressi di Lucerna, caro all’autore, richiama un’atmosfera di festa popolare, sottolinea­ta da un timbro folk. All’interno del cd, seconda di copertina, leggiamo: ‘Folk ironico o jazz poetico? / verträumt und verspielt/ attention aux loups! A noi i lupi piacciono e questi fanno bella compagnia.

 ??  ?? Piritta Martikaine­n, ‘Vaara’ (Pericolo)
Piritta Martikaine­n, ‘Vaara’ (Pericolo)
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Peter Zemp, Pierino e i lupi

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