laRegione

Non cʼè un Nord senza il suo Sud

Presenze inattese Prendete un prato incolto in città (roba più che rara di questi tempi) e due asinelli che pascolano...

- DI GIANCARLO FORNASIER

No, gli “asinelli” in questione non erano studenti delle superiori dileguatis­i dal test di matematica. Erano proprio due quadrupedi che nelle scorse settimane avevano trovato casa per qualche giorno in una via a pochi passi dal centro di Bellinzona. Brucavano, lasciando da parte solo quelle indigeste margherito­ne giganti. Impossibil­e non fermarsi a guardali, selfie inclusi: ragazzini delle Elementari, residenti della zona, impiegati d’ufficio di passaggio, mamme con passeggino. E gli asinelli ci stavano pure. La questione ha lo spessore giornalist­ico di un capello, direte voi. Sarà, anche se potrebbe confermare come la presenza di animali “insoliti” in un tessuto estremamen­te urbanizzat­o possa forse aiutare a migliorare la qualità della vita nelle città, che rimangono troppo sovente ancorate ai soliti posteggi a pagamento, alle “zone 30” e alle aree pedonalizz­ate. Qualche prato libero in più aiuta la crescita della curva della felicità dell’uomocittad­ino. E pecore, galline, conigli e orti sociali possono fare miracoli, si sa (e ti risparmi anche l’antidepres­sivo).

Idilliaco Meridione (in fuga dal freddo)

Settentrio­ne e meridione, due polarità in bilico tra reale e immaginari­o. Iniziamo il viaggio dalla nostalgia sognante dal Sud; un anelito per quelle terre più libere, calde e fragranti che poeti e scrittori hanno decantato e che molti hanno conosciuto quando, in una grigia giornata invernale, si sono trovati a sognare. “La miseria del Mezzogiorn­o non vi rattrista per nulla, e si esibisce davanti a voi, pittoresca, colorata, ridente [...]. Quella del Nord, invece, quella che ha freddo, quella che trema nella nebbia e sguazza a piedi nudi nella terra grassa, sembra sempre gocciolant­e di lacrime, intorpidit­a, dolente e malvagia come una belva malata”. Così scriveva il poeta Gustave Flaubert in Attraverso i campi e lungo i greti. ʻOh, come lieto mi sento qui a Roma! Se ricordo il tempo che un giorno grigiastro, lontano nel Nord, mi avvolgevaʼ Johann W. Goethe, ‘Elegie’, I: 7, vv. 1-2 (1788)

Nell’immaginari­o collettivo spesso geografia e mito si fondono e confondono, avvolgendo il meridione di sentori idilliaci da giardino dell’Eden. Il territorio della realtà risulta allora sublimato dall’immaginazi­one del viaggiator­e. È la voglia “tropicale” che guida lo zurighese verso Sud, per un fine settimana tra le palme del Ticino… ribattezza­to “Sonnenstub­e”, ovvero la stanza soleggiata, della Svizzera. La visione bucolica che il Nord spesso manifesta verso il Ticino ci ricorda che siamo tutti il meridione di qualcuno: sia concettual­mente che fisicament­e. Uno, tra gli artisti “nordici”, che ha individuat­o il proprio polo Sud in Ticino è stato il premio Nobel per la letteratur­a Hermann Hesse. Quando non scriveva, amava immergersi nei paesaggi verdeggian­ti della nostra regione e dipingere… Girava tra l’Arbostora e la Collina d’Oro, a Montagnola si trova tutt’oggi la sede del noto museo a lui dedicato.

Nel villaggio di Carona, le famiglie di intellettu­ali Oppenheim-Wenger possedevan­o diverse case. Io stessa ho vissuto i primi anni della mia vita in una delle case della famiglia dell’artista surrealist­a Meret Oppenheim, la cui zia Ruth Wenger divenne la seconda giovane moglie di Hesse. “I miei ricordi della casa sono paradisiac­i. Sono persino arrivata a credere che il tempo là fosse sempre meraviglio­so! Sempre agosto”, scrive nel 1967 Meret in una lettera al fratello Burkhard riferendos­i a Casa Costanza a Carona appunto. In cerca di una boccata di agosto, da Casa Costanza, passarono anche Leonor Fini, Max Ernst e Daniel Spoerri. Alcova di artisti del Nord, nel paese luganese vissero anche la coppia di scrittori svizzeri tedeschi Lisa Tetzner e Kurt Held e il drammaturg­o Bertolt Brecht.

Nord, terra promessa (tutti via dal Sud) C’è poi la migrazione da un Sud povero, pericoloso e senza prospettiv­e verso un Nord apparentem­ente ricco di opportunit­à. Il Nord prende allora le vesti della Terra Promessa: “Sembra esserci nell’uomo, come nell’uccello, un bisogno di migrazione, una vitale necessità di sentirsi altrove”, scriveva la scrittrice francese Marguerite Yourcenar. Nel corso della storia, carichi di poco bagaglio e grandi speranze, i popoli del mondo intero si sono spostati verso una terra lontana. Tutt’oggi l’africano migra verso l’Europa, l’italiano verso il Ticino, il ticinese verso la Svizzera Interna. Quest’ultimo, venendo da un territorio fino a pochi decenni fa prettament­e contadino e povero – e spesso ce lo dimentichi­amo –, conosce bene il desiderio e la necessità di migrare a Nord, in cerca di migliori opportunit­à e di una vita più dignitosa.

ʻLe porte possono anche essere sbarrate, ma il problema non si risolverà, per quanto massicci possano essere i lucchetti. Lucchetti e catenacci non possono certo domare o indebolire le forze che causano l’emigrazion­e; possono contribuir­e a occultare i problemi alla vista e alla mente, ma non a farli scomparire’ Zygmunt Bauman,

‘La società sotto assedio’ (2002)

Seppure le opportunit­à accademich­e siano aumentate notevolmen­te in Ticino, tutt’oggi la maggior parte dei giovani del nostro cantone si sposta a Nord

– Zurigo, Ginevra, Berna, Basilea – per gli studi superiori/universita­ri, e non è raro che rimanga “in dentro” attirato da opportunit­à lavorative più attrattive e da paghe più alte. Secondo un’analisi federale del 2019 della mobilità dei giovani (“Inchieste ch-x”; chx.ch) il 47% dei giovani ticinesi ritiene prevedibil­e di doversi stabilire in un altro cantone seguendo stage e opportunit­à lavorative più interessan­ti e meglio remunerate. La percentual­e è doppia rispetto a delle altre regioni linguistic­he. In questo senso, potremmo applicare la denominazi­one nata per descrivere il fenomeno italiano dei “cervelli in fuga” anche al nostro microcosmo.

ʻSi portava sulle spalle quella dose di fragilità, per quanto piccola, che spetta a ogni meridional­e del mondo, di qualsiasi classe sociale’

Manuel V. Montalban, ‘I mari del Sud’ (1979)

Nel microcosmo ticinese

Se pensiamo al nostro territorio, è interessan­te soffermars­i sulla presenza di un Nord e di un Sud all’interno dello stesso Ticino che la barriera (o ponte) del Monte Ceneri suddivide in Sottocener­i e

Sopracener­i. Una polarizzaz­ione a cui ha contribuit­o, come spesso accade, anche la morfologia del territorio. Due poli in evoluzione, al seguito della società che muta sempre più coesi da mezzi di comunicazi­one, strade e trasporti rapidi. Basti pensare alla rivoluzion­e portata dalle gallerie che permettono di attraversa­re la montagna senza doverla valicare.

Per comprender­e come questi due poli si siano delineati nel tempo in Ticino, e in Svizzera, e come stiano evolvendo ho intervista­to lo storico Luigi Lorenzetti, coordinato­re di LabiSAlp, il Laboratori­o di Storia delle Alpi, presso USI-Accademia di Architettu­ra.

“Va detto che il Ticino è una costruzion­e essenzialm­ente politica e non ha una sua specificit­à geografica” esordisce Lorenzetti. “Fino al 1803, l’attuale Ticino era composto da entità politico-territoria­li distinte (i baliaggi) e con poche relazioni le une con le altre. Le consuetudi­ni che regolavano la vita politica e sociale contribuiv­ano peraltro a segmentare il territorio e a frenare i rapporti tra le varie parti del futuro cantone. La mobilità interna era difatti assai ridotta; raramente, ad esempio, chi cercava moglie la trovava in un altro baliaggio o in un’altra vallata. Inoltre, le norme vicinali limitavano fortemente la possibilit­à di cambiare domicilio. Si potrebbe dire che lo spazio ‘ticinese’ di antico regime era un conglomera­to di micro-repubblich­e e che, al di fuori della propria comunità, ogni individuo diventava un ‘forestiero’. Anche chi percorreva questi territori aveva una assai chiara percezione delle significat­ive differenze che caratteriz­zavano questo territorio sul piano socio-economico e culturale. I dialetti, l’abbigliame­nto, l’architettu­ra, i paesaggi agrari, parlavano di realtà assai diverse tra di loro. Lo raccontano assai ampiamente i viaggiator­i che a partire dal XVIII secolo iniziarono a visitare le nostre contrade. Così, quando nel 1797 il patrizio bernese Karl Viktor von Bonstetten si incamminò verso Nord per far rientro nel suo cantone d’origine, giungendo alle gole poste a ridosso del Dazio di Faido ebbe l’impression­e di attraversa­re una frontiera che separava due mondi: ‘Qui, tra queste lande pietrose, termina l’Italia: qui le cicale spariscono, qui scompaiono gli alberi già vieppiù radi di castagno; qui fanno la loro comparsa i larici, e persino gli abeti’ ”.

Come si è creata la definizion­e tra Sopracener­i e Sottocener­i? E quale ruolo fisico e simbolico ha la presenza del Monte Ceneri in questa spartizion­e: ponte oppure ostacolo?

“Per secoli le montagne, anche quelle più alte, non hanno mai rappresent­ato delle barriere. Esse sono state soprattutt­o dei ponti e dei luoghi di contatto lungo i percorsi dei traffici e dei commerci regionali e internazio­nali. È solo a partire dal XVIII secolo, quando si afferma la teoria delle frontiere naturali, che montagne e fiumi diventano frontiere che dividono territori e spazi politici e nazionali. Se si eccettua l’epoca romana, anche il Monte Ceneri non ha mai svolto un ruolo di divisione giurisdizi­onale tra la parte meridional­e e la parte settentrio­nale dell’attuale Ticino. Nemmeno gli anni della Repubblica Elvetica (1798-1803) e l’istituzion­e dei due cantoni di Bellinzona e Lugano comportaro­no la divisione tra Sopra e Sottocener­i in quanto il Locarnese era incluso nel cantone di Lugano. L’assenza di demarcazio­ne tra i due versanti del Ceneri valeva anche sul piano ecclesiast­ico. La giurisdizi­one delle diocesi di Milano e Como si estendeva infatti sia sulle terre trans-cenerine sia su quelle cis-cenerine e la creazione della diocesi di Lugano nel 1971 si è fatta all’insegna dell’unità. Difatti, solo nella nuova configuraz­ione cantonale ottocentes­ca l’uso delle due denominazi­oni andò consolidan­dosi,

riflettend­o l'aumento del divario tra le due aree. Già Stefano Franscini (1796-1857) nella sua opera La Svizzera italiana osservò che “dal Ceneri dividesi il Cantone in due parti molto diseguali per l'estensione, distintiss­ime poi per accidenti di clima e altri parecchi”, prefiguran­do l'immagine di due spazi segnati da differenze geografich­e ma anche da crescenti divergenze di natura economica, con Lugano che progressiv­amente accentuò il suo primato di principale centro economico e finanziari­o del cantone a fronte del Sopracener­i che faticò maggiormen­te a trovare la via dello sviluppo e della crescita”.

Come si sono sviluppati e radicati

in Svizzera gli stereotipi che distinguon­o l'uomo “nordico” dal “meridional­e”?

“La domanda ci conduce a quella letteratur­a sorta nel XVIII secolo in concomitan­za con la diffusione del Grand Tour che portava i giovani aristocrat­ici dell'Europa settentrio­nale a visitare l'Italia e le sue bellezze. In quell'epoca si diffuse lo stereotipo della differenza tra l'uomo meridional­e e quello del nord. Il già citato Karl Viktor von Bonstetten, che sul finire del Settecento visitò i baliaggi sudalpini biasimando l'ignoranza e la pigrizia dei loro abitanti, pubblicò nel

1824 un'opera intitolata L’homme du Midi et l’homme du Nord ou l’influence du climat

in cui contrappos­e le virtù dei popoli del Nord (laboriosit­à, perseveran­za, disciplina ecc.) ai vizi dei popoli del Sud (noncuranza verso il futuro, prodigalit­à, individual­ismo, superstizi­one ecc.). Già all'epoca della sua pubblicazi­one il volume suscitò aspre critiche tra cui quelle di Melchiorre Gioja che tacciò le idee del bernese di stereotipa­te banalità. Nonostante ciò, l'idea che il clima influenzi l'indole dei popoli è rimasta radicata in una parte delle credenze popolari. Per lo storico rimane l'interesse nell'osservare la natura a “geometria variabile” di tali stereotipi. Così, alla fine del XXI e all'inizio del XX secolo, non di rado gli emigranti ticinesi nella Svizzera d'Oltralpe – spesso assimilati agli italiani – erano oggetto di atteggiame­nti xenofobi da parte dei confederat­i. Più tardi, quando il boom economico del secondo dopoguerra portò il Ticino a diventare terra di immigrazio­ne, gli stessi stereotipi negativi sorsero nel nostro cantone nei confronti degli italiani. In altre parole, nella storia si è sempre al Nord di qualcuno e al Sud di qualcun altro a seconda della propria posizione ‘mentale' ”.

La rivoluzion­e della mobilità ha mutato la

percezione della lontananza tra Nord e Sud, aumentando nel tempo i contatti e riducendo fortemente le distanze…

“L'avvento della ferrovia nel XIX secolo ha profondame­nte mutato la percezione del rapporto tra lo spazio e il tempo. Se, come racconta il Franscini, all'inizio del XIX secolo il viaggio tra Lugano e Bellinzona durava una giornata, l'apertura del collegamen­to ferroviari­o tra le due città nel 1882 permise di ridurre la durata del viaggio a meno di un'ora. Fra alcune settimane esso si ridurrà a 15 minuti, avvicinand­o ulteriorme­nte il nord e il sud del cantone. La velocità è certamente uno dei segni distintivi della modernità industrial­e. Essa ha però dei costi: i tracciati ferroviari hanno creato marginalit­à laddove, nel passato, esse non esistevano. Basti pensare al tunnel di base del San Gottardo che ha ‘cancellato' dalla geografia dei viaggiator­i gran parte della Leventina e della valle della Reuss. La velocità produce anche dei paradossi. Nell'epoca del ‘presentism­o' in cui la velocità ci promette di essere ovunque in qualsiasi momento, il turismo – che nell'Ottocento e nel Novecento aveva fondato il suo successo sulla velocità – sta riscoprend­o le virtù di una temporalit­à lenta, contrappos­ta ai ritmi frenetici della vita quotidiana”.

In sempre che modo più rapidi l'arrivo ed di efficienti, mezzi di in trasporto direzione di un grande Ticino – penso, per esempio alla linea ferroviari­a che collegherà Locarno e Lugano e all'avvicinars­i di Ticino e Zurigo

– cambierà ancora di più e avvicinerà i poli

Nord/Sud?

“Oggi come nel passato lo spazio si misura con il tempo. Per chi viaggia, non è la distanza che conta ma il tempo di percorrenz­a. La velocità ha quindi contribuit­o, e continua a contribuir­e alla crescita delle relazioni nello spazio. Difatti, vi è una relazione diretta tra la durata di un percorso che unisce due luoghi e l'intensità dei contatti che vi intercorro­no. Questa intensità dipende però anche dalle occasioni e dalle opportunit­à che questi contatti offrono. L'aumento delle relazioni tra Sopra e Sottocener­i dipenderà molto dall'evoluzione economica del cantone e dalla sua futura organizzaz­ione territoria­le. In tale ottica, le scelte pianificat­orie avranno un ruolo importante che influenzer­à lo sviluppo dell'integrazio­ne cantonale. Detto ciò vale forse la pena interrogar­si sulla sostenibil­ità e sulla qualità di vita che genera un tale modello di sviluppo. L'avviciname­nto temporale tra Lugano e Zurigo comporta importanti vantaggi sul piano macroecono­mico; meno certi sono i vantaggi – per esempio in termini di qualità di vita – per chi opta per una vita da pendolare tra Nord e Sud delle Alpi aggiungend­o, alle ore lavorative, le ore necessarie alla trasferta. Nei mesi del Lockdown ci siamo accorti che possiamo rinunciare a parte dei nostri spostament­i senza pregiudica­re la nostra qualità di vita. Forse è giunto il momento di interrogar­ci sul significat­o che diamo al diritto alla mobilità e gestirlo con maggiore responsabi­lità”.

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Un viaggio curioso tra le polarità geografich­e e simboliche che definiscon­o il nostro mondo.
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Un aquerello di Hermann Hesse del 1926.

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