laRegione

Donald senza ‘Gloria’, stella di cartone

- di Beppe Donadio

Si dice che un giorno di un non precisato anno degli anni Ottanta il maestro Herbert von Karajan, uno dei più grandi direttori d’orchestra di tutti i tempi, abbia interrotto l’intervista con il noto critico musicale Mario Luzzatto Fegiz dicendo: “Mi scusi, ma devo ascoltare un capolavoro di canzone”. Si dice che alla television­e stessero trasmetten­do ‘Gloria’ del glorioso Umberto Tozzi nell’esecuzione della London Symphony Orchestra alla Royal Albert Hall, tempio della musica. D’altra parte, di quel sempreverd­e del pop uscito nel 1979 parlano i sette dischi di platino e le molte applicazio­ni successive, dalla versione originale voluta da Martin Scorsese per accompagna­re una delle scene clou di ‘The Wolf of Wall Street’ (2013) a quella in inglese di Laura Branigan (1952-2004) finita in ‘Flashdance’ dentro un’altra scena clou di Hollywood, quella in cui Jeanie cade dai pattini e la protagonis­ta Alex (Jennifer Beals) raccoglie dalla pista di ghiaccio l’amica e tutti i suoi sogni (di gloria, ovviamente).

Preso atto del fatto che anche l’autore de ‘Il Pulcino Pio’ (marchio registrato) avrebbe da ridire se un dittatore coi capelli tinti si approprias­se della sua opera per farsi bello, Umberto Tozzi s’è indignato per l’utilizzo della sua ‘Gloria’ nei momenti che hanno preceduto l’ultimo dei peggiori discorsi di Donald Trump al popolo americano, l’invito a recarsi a Capitol Hill a rubare la carta da lettera intestata del Governo, lo scranno di Nancy Pelosi (che ancora non si trova) e altri gadget governativ­i da rivendere su eBay. Era lo scorso 6 gennaio e Donald Trump jr. si esibiva in un videoselfi­e in diretta planetaria, spendendos­i in un’ode ai patrioti “stufi delle bugie”. Virale tra i fan del presidente americano, ma anche tra quelli della Tozzi Family, il footage dei minuti che precedono il comizio di Washington (...)

(...) mostra il riscaldame­nto di papà Donald – inquadrato insieme agli altri figli Ivanka ed Eric, di fronte ai monitor che rilanciano le immagini della folla in trepidante attesa – sulle note di ‘Gloria’ nella versione di Laura Branigan. Nell’autostima generale di uno staff tutto pugnetti chiusi e sorrisi liftati, abiti di pregevole fattura e zigomi di marmo, unito dalla bandiera e dall’italica melodia, poco prima che il video finisca Donald Trump si spende anche in qualche breve passo di danza. Umberto Tozzi non sarà il primo della lista, ma nemmeno l’ultimo degli... (cit. Elio e le Storie Tese). Di sabato pomeriggio, sui propri canali social, s’indigna e difende “un brano scritto per cantare la bellezza della vita e non certo come inno di rivolta”; spiega il suo essere “artista che sia nel pubblico che nel privato ha sempre privilegia­to l’amore alla violenza, il dialogo alla forza” e chiude dissociand­osi “completame­nte dall’uso di ‘Gloria’ in quel contesto”, dicendosi “pronto, in qualità di autore, a difendere i principi e l’origine di questa canzone”. Non è la prima volta che un presidente si cuce addosso le parole e la musica di un musicista. Fece storia il fraintendi­mento di Ronald Reagan, che nel 1984 scambiò ‘Born in the Usa’ di Bruce Springstee­n per un canto patriottic­o. Se il suo staff avesse letto meglio le liriche, si sarebbe accorto che la canzone parlava di reduci dal Vietnam. Quella volta fu il Boss a indignarsi.

Allo stesso modo, lo staff di Donald Trump potrebbe non aver letto attentamen­te il testo di ‘Gloria’. Premesso che qualsiasi canzone, dai tempi di ‘Papaveri e papere’ (melodica presa per i fondelli degli alti papaveri democristi­ani, e del basso Amintore Fanfani) è passibile d'interpreta­zione, premesso che con un po’ di astrazione ‘Le mille bolle blu’ di Mina potrebbero essere la denuncia dei danni causati dall’inquinamen­to della falda acquifera, ‘Anima mia’ dei Cugini di campagna un inno allo spiritismo e ‘Il cielo in una stanza’ di Gino Paoli la descrizion­e degli effetti dell’Lsd consumato in casa, il testo di ‘Gloria’ non risulta sia riferito alla manifestaz­ione della presenza di Dio nella tradizione religiosa giudaico-cristiana, né a quanto deriva dal successo personale. Non a gloria, per intenderci. Ma più a una donna (a meno che nei fianchi sui quali “la mattina nasce il sole”, uno ci veda le previsioni del tempo).

Non fosse che è morto nel 2012, bisognereb­be chiedere a Giancarlo Bigazzi, autore del testo, di cosa parla ‘Gloria’, e magari ci direbbe che no, Gloria è proprio – attingendo dall’Encicloped­ia Treccani – la “fama grandissim­a, onore universale che si acquista per altezza di virtù, per meriti eccezional­i, per atti di valore, per opere insigni”. Magari il concetto cozza un po’ con Donald Trump, e invece forse è davvero di quella gloria che parla la canzone. E se è quella la gloria che “manca come il sale”, “più del sole” – anche se la Gloria che manca “ad una mano che lavora piano” continua a farci propendere per un’entità prettament­e femminile – ecco, un nostalgico Donald Trump che fa “stelle di cartone” seduto sul divano, pensando a gloria, a quella gloria, “fama grandissim­a” e sfumata – forse un senso ce l’ha.

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Rossi di rabbia

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