Nuove restrizioni, Udc contro tutti
Tra i partiti solo i democentristi si oppongono alle misure in consultazione
La maggioranza dei partiti sostiene l’inasprimento delle misure di lotta alla pandemia poste in consultazione mercoledì scorso dal Consiglio federale. Solo l’Udc si oppone fermamente al giro di vite, definendolo un “secondo confinamento”. I democentristi criticano in particolare una possibile chiusura di negozi non essenziali, ma non solo. Nel suo comunicato, l’Udc si oppone pure all’obbligo di telelavoro, a quello di indossare le mascherine in luoghi chiusi, alla limitazione degli incontri a due famiglie e alla regola delle 10 persone.
Per combattere le nuove varianti britannica e sudafricana del virus, secondo l’Udc, basterebbe prendere misure alle frontiere, con l’imposizione di test rapidi o quarantene alle persone provenienti da regioni a rischio. Nel suo comunicato diramato ieri auspica che non si mettano a repentaglio le competenze federaliste dei Cantoni e chiede al governo di revocare immediatamente le misure adottate contro i ristoranti e le strutture sportive, ricreative e culturali.
Nel mondo economico, anche l’Unione svizzera delle arti e mestieri (Usam) si è detta contraria a estensione e inasprimento delle attuali misure contro il coronavirus fino al 28 febbraio. Non vi è alcuna prova che disposizioni più severe siano efficaci o efficienti, scrive l’Usam. I dati dell’Ufficio federale della sanità pubblica (Ufsp) mostrano che le nuove infezioni rimangono in gruppi sufficientemente ben definiti. Mentre i dati della Confederazione
evidenziano anche che le attività interessate dalle ulteriori restrizioni, compresi i ristoranti e i fitness club, non sono fonti di infezione, indica l’Usam nella sua risposta – pubblicata ieri – alla consultazione condotta dal Consiglio federale. L’Unione svizzera delle arti e mestieri è dunque espressamente contraria a un lockdown rigido, a un obbligo al telelavoro e a misure nel settore dei commerci non essenziali.
Ma è nel settore della ristorazione dove emergono le voci più critiche nei confronti del Consiglio federale. Più che su nuove restrizioni, afferma GastroSuisse, “mercoledì il governo deciderà se la metà di tutte le aziende del settore dell’ospitalità andrà in fallimento, e se migliaia di dipendenti perderanno o meno il lavoro”. L’associazione di categoria chiede alle autorità di prevedere una compensazione finanziaria “immediata e senza complicazioni”.
“A ogni ondata di coronavirus ne arriva una di licenziamenti”, scrive GastroSuisse in un comunicato. Secondo un sondaggio interno, in assenza di aiuti finanziari immediati la metà delle imprese del settore alberghiero e della ristorazione cesserà l’attività entro fine marzo. L’indagine ha anche rilevato che quasi tutte le aziende agricole hanno urgente bisogno di assistenza finanziaria. “Sette imprese agricole su dieci hanno già presentato una domanda per l’aiuto finanziario o sono certe di farlo”, ha spiegato Casimir Platzer, presidente di GastroSuisse.
Dal canto suo il presidente della Confederazione, Guy Parmelin, ha già anticipato durante il fine settimana la volontà del governo di mitigare le conseguenze economiche delle misure per contrastare il coronavirus. Parmelin ha annunciato un allentamento delle regole per i casi di rigore. “La soluzione per i casi di rigore funziona in alcuni cantoni. I soldi ci sono”, ha affermato. Secondo quanto riferiscono alcuni media, le imprese che sono state chiuse e alle quali di fatto è stato imposto un divieto di lavoro potrebbero essere riconosciute in maniera generalizzata come casi di rigore. Le perdite di fatturato, ad esempio di ristoranti e centri fitness, potrebbero così essere in parte compensate attraverso aiuti di Stato. Inoltre la soglia perché un’azienda venga considerata un caso di rigore verrebbe fortemente abbassata.