laRegione

Si chiama ‘SanPa’, ma poteva chiamarsi ‘VinCe’

Più che la storia di San Patrignano, è quella del suo fondatore Vincenzo Muccioli. E fa discutere.

- Di Beppe Donadio suo

Forse è il titolo che inganna. Perché il sottotitol­o dice tutto: ‘Luci e tenebre di San Patrignano’, o più cupamente e internazio­nalmente sottotitol­ando, ‘The sins of the savior’. E se sono ‘I peccati del salvatore’ a essere raccontati, allora è necessario mettere in conto più tenebre che luci. C’entra anche il taglio documentar­istico ‘alla Netflix’, c’entrano i finali di puntata che impongono di proseguire, fossero anche cinque ore di fila (e lo sono), rese leggere dal montaggio di Valerio Bonelli (‘The Program’, ‘L’ora più buia’, ‘Black Mirror’). Alla fine, a detta di alcuni, dalla docuserie ‘SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano’ esce un Vincenzo Muccioli ritratto senza retorica; per altri, il fondatore della comunità di San Patrignano è trattato peggio di Pablo Escobar in ‘Countdown to death’ (sempre Netflix, 2017), pur avendo il romagnolo fatto in vita ben altro, e pur al netto degli errori fatti. Chissà, si fosse intitolata ‘VinCe’, questa serie – perché è di Vincenzo Muccioli che si narra in ‘SanPa’, prima che di San Patrignano, o forse perché comunità e fondatore sono una cosa sola – forse il clamore sarebbe minore. O forse no, echeggereb­bero comunque i “Sono vivo grazie a Vincenzo”, “Se oggi mi godo i miei figli è grazie a Vincenzo”.

Andando per ordine. La serie televisiva documentar­istica che ha scatenato la polemica in Italia è scritta da Carlo Gabardini, Gianluca Neri e Paolo Bernardell­i per la regia di Cosima Spender. L’idea è di Neri, scrittore/autore tv/blogger italiano, folgorato sulla via del documentar­io da ‘Making a murderer’ (dieci anni di realizzazi­one per un caso giudiziari­o che ha dell’incredibil­e). Neri si presenta nell’ufficio del signor Netflix proponendo un documentar­io sull’omicidio di Yara Gambirasio, per uscirvi poi con uno su San Patrignano, stante la concomitan­za di una produzione Bbc che tanto somiglia alla vicenda di Brembate e che affossa il primo dei due progetti. Poco male. Una volta realizzato, il destino vuole che con curioso tempismo e affinità geografich­e e geopolitic­he ‘SanPa’ esca sulla piattaform­a con la N rossa (“Bo-bòm”, jingle) a pochi giorni da ‘L’incredibil­e storia dell’Isola delle Rose’, andando a comporre un duetto di storie di sogni utopistici più o meno di successo. ‘Meno’ se riferiti alla piattaform­a dell’ingegnere bolognese Giorgio Rosa, costruita nel 1968 nell’Adriatico in acque internazio­nali, autoprocla­mata micronazio­ne con sogni d’indipenden­za, moneta e passaporti (sogni affondati con l’esplosivo dall’esercito italiano); ‘più’ se si parla di San Patrignano, comunità nata nel 1978 e ancora viva e vegeta. Due voli pindarici, l’isola e la comunità, la zattera e la comune, coltivati a pochi chilometri l’uno dall’altro, a Rimini e dintorni, in acqua e sulla terraferma.

Catene

Più tardi nome di quella che diventerà la comunità terapeutic­a più grande d’Europa, San Patrignano è la via d’accesso al podere sito in Coriano, 10mila abitanti nel Riminese, donato a Vincenzo Muccioli dalla famiglia della moglie Maria Antonietta. Appassiona­to d’animali, agricoltur­a, ma anche di parapsicol­ogia, Muccioli, classe 1934, entra in contatto con gli ‘ultimi’ all’interno del ‘Cenacolo’, gruppo dedito alla medicina naturale e, così si dice, alle sedute spiritiche. L’incontro con una giovane tossicodip­endente lo spinge ad accogliere in casa sua altre vittime degli stupefacen­ti, fino a comporre la trentina di ospiti della neocostitu­ita cooperativ­a di San Patrignano, nella quale confluisco­no alcune proprietà di famiglia sotto forma di donazione (più tardi arriverà la famiglia Moratti, economicam­ente decisiva nella storia della comunità). Sono gli anni dell’eroina o ‘droga di Stato’, un nuovo sballo meno ‘idealistic­o’ perfettame­nte descritto a inizio serie, venuto a soppiantar­e erbe e acidi, una cosa che annulla le volontà e apre la strada alla ‘Scimmia’, per dirla con Eugenio Finardi, o ti rende ‘Lilly’, per dirla con l’Antonello Venditti di quegli anni. E se vuoi salvarti dall’eroina, a San Patrignano c’è una regola: se scappi, la comunità – che da te non pretende una lira – viene a riprendert­i ovunque tu sia. E se la comunità viene a riprendert­i, è possibile che, nei casi più estremi, Vincenzo Muccioli ti chiuda in una porcilaia con le catene ai piedi. Violazione dei diritti umani? Estrema ratio per sfuggire alla scimmia? Scritto così è semplicist­ico. Un’idea di quale sia il pensiero di tossicodip­endenti e familiari dei tossicodip­endenti sul metodo, sta nel girato fuori dal tribunale, a margine del processo al fondatore. Dei processi, per la precisione.

Bufera

Nascita, crescita, fama, declino, caduta. E declino e caduta portano con sé un fatto di cronaca dal quale San Patrignano avrebbe anche potuto non risollevar­si più. Ma è andata diversamen­te. Nascita, crescita, fama, declino, caduta sono i cinque capitoli di ‘SanPa’, cinque episodi che, per chi è su con l’età, non sconvolgon­o la vita. Nel senso che delle vicende giudiziari­e di Vincenzo Muccioli, della mai risolta contraddiz­ione di quel “se scappi vengo a riprendert­i” – il gioco che vale la candela, lo Stato assente quindi meglio le catene che la morte, o i diritti umani? – vennero riempite per un buon decennio pagine e palinsesti televisivi italiani, portando il fondatore a divenire, nel bene e nel male delle attribuzio­ni – per l’esterrefat­to Mike Bongiorno, e per un trionfante Pippo Baudo, sondaggist­i dell’intratteni­mento in estratti tv d’epoca – l’uomo più famoso d’Italia.

“Ci dissociamo completame­nte dalla docuserie messa in onda da Netflix”. “Il racconto che emerge è sommario e parziale, con una narrazione che si focalizza in prevalenza sulle testimonia­nze di detrattori, per di più, qualcuno con trascorsi di tipo giudiziari­o in cause civili e penali conclusesi con sentenze favorevoli alla Comunità stessa, senza che venga evidenziat­a allo spettatore in modo chiaro la natura di codeste fonti”. San Patrignano, quella di oggi, reagisce così il primo giorno dell’anno nuovo, alla messa in onda di ‘SanPa’. Contesta molte scelte registiche, in primis l’aver dato ampio spazio a Walter Delogu, braccio destro di Muccioli fino a una drammatica separazion­e. È a questi che pare riferirsi la Comunità quando parla di “sentenze favorevoli”.

In ‘SanPa’, al braccio destro fa da contraltar­e il braccio sinistro, Antonio Boschini, strappato da Muccioli alla tossicodip­endenza per divenire responsabi­le terapeutic­o della Comunità. E a questo proposito, “per trasparenz­a e correttezz­a – scrivono a San Patrignano – abbiamo ospitato per diversi giorni la regista della serie la quale è stata libera di parlare con chiunque all’interno della comunità, e abbiamo inoltre fornito l’elenco di un ampio ventaglio di persone che hanno vissuto e o tuttora vivono a San Patrignano e della quale conoscono bene storia passata e presente, in modo da poterle dare gli strumenti necessari per una ricostruzi­one oggettiva e informata. Tale elenco è stato totalmente disatteso, a eccezione del nostro responsabi­le terapeutic­o, preferendo lasciare spazio ad un resoconto unilateral­e che paia voler soddisfare la forzata dimostrazi­one di tesi preconcett­e”. A San Patrignano scrivono di “spettacola­rizzazioni, drammatizz­azioni e semplifica­zioni presenti in un prodotto chiarament­e costruito per scopi di intratteni­mento commercial­e”.

“Il fine non giustifica i mezzi”, risponde Coordiname­nto Nazionale Comunità di Accoglienz­a (Cnca).

“Nel caso raccontato nella serie tv una società spaventata e incapace di affrontare il fenomeno della diffusione di eroina ha avallato, facendone talvolta un simbolo, un approccio che prevede l’espulsione e l’isolamento delle persone dalla comunità di appartenen­za, a qualunque costo, in virtù di un mandato che ha lasciato spazi amplissimi – fino ai fatti gravissimi riportati nella serie – a chi si proponeva come unico salvatore e il cui metodo doveva diventare legge. La droga era il mostro che giustifica­va tutto”.

Red

«Beppe, non riesco più a parlarne, né ho tempo. Sono monopolizz­ato da San Patrignano da troppi giorni. Virgoletta quello che vuoi da queste due interviste mie che hanno pubblicato. Red». Red non sta per ‘redazional­e’ ma per Red Ronnie, giornalist­a, critico musicale e conduttore radio e tv (all’anagrafe, Gabriele Ansaloni). C’è chi si auspica sia dato un seguito a ‘SanPa’, seguito che a modo suo è già andato in onda. S’intitola ‘Le luci di San Patrignano’, è sulle pagine social di Red Ronnie, dura tre ore, è una diretta del Barone Rosso che va a ruota libera e racconta il Muccioli, seguito passo passo dal momento dell’infatuazio­ne fino alla fine, confluito in ore e ore di storiche trasmissio­ni autoprodot­te come ‘Be Bop A Lula’, format antesignan­i della tv verità, anticamere della telecamera in spalla e microfono davanti, del buona la prima, con tanta musica – al Barone Rosso manca solo l’intervista con Elvis e quella con Dio –, ma non solo. Parte di quel girato, fondamenta­le per la buona riuscita della docuserie, è stato venduto dal suo autore a Netflix per essere parte di ‘SanPa’. Pur non rinnegando l’affare, Red accusa gli autori di aver preso quel che faceva loro comodo. “La serie di Netflix – scrive a Dagospia – parte da un presuppost­o, e cioè mostrare il marcio da un progetto splendido”. E ancora: “Hanno dato più spazio a Delogu, condannato per aver ricattato Muccioli, che al figlio di Vincenzo”, al timone di San Patrignano dalla morte del padre (19 settembre 1995) fino all’agosto del 2011. “Il mio e il suo intervento nel documentar­io – spiega Red durante la sua diretta – ci sono perché, avendo capito subito in quale contesto saremmo stati inseriti, abbiamo pensato che comparendo avremmo limitato i danni provocati da un eventuale silenzio”.

Sul Corriere della Sera, Muccioli jr sostiene che il documentar­io di Netflix sia “pura e semplice fiction. Crea ombre intorno alla figura del protagonis­ta: ci riesce bene ma falsifica storia e modello”. Riconosce gli errori del padre, ma “quando parliamo di San Patrignano – sottolinea — non parliamo della Caritas, con tutto il rispetto. Parliamo di un percorso drammatico di accoglienz­a di giovani, i tossicodip­endenti degli anni 80, che distruggev­ano le loro famiglie ed erano abbandonat­i dallo Stato”.

Ex

Al netto di quanto portato da Red Ronnie nella sua diretta (episodi che gli ex ospiti di San Patrignano ricostruis­cono diversamen­te dagli autori della serie), al netto di Delogu – un libro in uscita quasi in concomitan­za, ‘Il braccio destro’ (Mursia), cui la Comunità risponde con ‘Tutto in un abbraccio’ di Giorgio Gandola, storia dei 26mila ragazzi e ragazze della Comunità ospitati dal 1978 a oggi – in ‘SanPa’ c’è un po’ di storia d’Italia, nella quale s’introduce con garbo colui che pare l’ago della bilancia del racconto, anche per via della figura filiforme. È l’ex ospite ed ex portavoce di San Patrignano Fabio Cantelli, la cui visione è più interessan­te di quella dell’ex braccio destro.

“Sono quel che sono anche grazie a Vincenzo e a San Patrignano, e nonostante Vincenzo e San Patrignano”. Si definisce così. E se lui è la bilancia, l’ago che oscilla sembra restare dritto al centro.

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NETFLIX L'immagine ufficiale di ‘SanPa’. A destra, Vincenzo Muccioli. A sinistra, l'ex ospite ed ex portavoce della Comunità Fabio Cantelli.
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WIKIPEDIA Red Ronnie e Vincenzo Muccioli

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