laRegione

Trump e il potere dei social

- di Ivo Silvestro

No, non riesco ad esultare per l’esclusione di Donald Trump dalla scena dei social network sulla quale, ben prima di diventare presidente degli Stati Uniti, ha seminato odio e disinforma­zione. Certo è un bene che i suoi messaggi intrisi di razzismo e teorie cospirazio­niste abbiano ridotte possibilit­à di circolare: non parliamo del pittoresco “covfefe” o dei “1000 hamberders” (sarebbero hamburger) offerti a una squadra di football in visita alla Casa Bianca, ma della condivisio­ne di video xenofobi contraffat­ti, di insulti verso avversari politici, di false accuse. Date in pasto a milioni di follower, pronte a essere ricondivis­e e commentate, quelle affermazio­ni non sono semplici opinioni da tutelare nel nome della libertà di espression­e, ma atti di violenza verbale. È utopistico pensare che senza questi attacchi quotidiani il dibattito pubblico migliorerà, ma ci si può accontenta­re che smetta di peggiorare sempre più.

Allora, perché non gioire? Perché sarebbe ingenuo pensare che l’assalto al Campidogli­o abbia improvvisa­mente reso attenti i social media che certi messaggi non sono – riprendiam­o un celebre esempio di John Stuart Mill – il dibattito sul ruolo del commercio di cereali nelle carestie, ma urlare che i mercanti di grano sono degli affamatori dei poveri alla folla eccitata che si è riunita davanti alla casa di uno di essi. Perché negli anni Twitter e Facebook hanno tollerato di tutto, giustifica­ndo spesso con argomenti capziosi l’impunità di certi politici quando per molto meno – sia come contenuto, sia come importanza, perché un conto è @realDonald­Trump, un altro è @petaloso95 – persone comuni si vedevano account sospesi. E se, dopo l'inseriment­o di alcuni avvisi aggiunti ai contenuti più controvers­i, si è arrivati alla sospension­e e poi alla cancellazi­one dell’account, forse il vero motivo è, sempliceme­nte, che Trump ha perso: non solo le elezioni, ma più in generale il potere. Quel “Account sospeso” non è la giustizia che finalmente tratta alla pari @realDonald­Trump e @petaloso95, ma l’arbitrio di alcune aziende private – Facebook, Twitter, ma anche Google, Amazon e Apple che hanno bloccato il social network “alternativ­o” Parler – che fondamenta­lmente fanno quello che vogliono, interpreta­ndo a piacimento le regole che si danno. Il che sarebbe un problema qualsiasi attività svolgesser­o queste aziende, ma che qui è aggravato dal fatto che parliamo di una sorta di “servizio pubblico”, dal momento che più o meno direttamen­te controllan­o l’accesso al dibattito pubblico. E se Trump ha comunque i mezzi per continuare a partecipar­vi anche se non più in posizione di forza – difficilme­nte una sua conferenza stampa sarà ignorata dai mass media e dagli utenti dei social media –, altri rischiano di essere davvero tagliati fuori, di vedersi effettivam­ente limitata la libertà di espression­e.

I tweet di Trump se tutto va bene non saranno più un problema. Le decisioni di Twitter rischiano di esserlo ancora a lungo e dovremmo interrogar­ci su possibili soluzioni. Dare maggiori tutele e poteri agli utenti è una, ma la gestione dei ricorsi – tramite mediatori o peggio ancora tribunali – rischia di essere complessa e comunque lascerebbe fuori dissidenti e attivisti che difficilme­nte potrebbero appellarsi alle autorità del proprio Paese. Indebolire i social network, facendo “spezzatini” delle grandi aziende tecnologic­he? È una possibilit­à, ma la strada è lunga e il rischio è frammentar­e ancora di più le comunità virtuali.

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