laRegione

‘Un pionierist­ico modello da seguire’

Regazzi (Usam) vanta i meriti dell’intesa. ‘Stroncarla sarebbe controprod­ucente’.

- Di Stefano Guerra

“Molto più di un accordo doganale”, un accordo “pionierist­ico”, che allo stesso tempo favorisce gli scambi commercial­i, rafforza l’economia svizzera e promuove la sostenibil­ità ambientale. Il comitato interparti­tico (Udc, Plr, Alleanza del Centro e Partito verde-liberale) ‘Sì al commercio sostenibil­e ed equo’ difende a spada tratta l’accordo di libero scambio con l’Indonesia. La campagna è lanciata, si vota il 7 marzo. ‘laRegione’ ne ha parlato con il consiglier­e nazionale del Ppd Fabio Regazzi, presidente dell’Unione svizzera delle arti e dei mestieri (Usam) e membro del comitato.

Libero scambio e sostenibil­ità ambientale fanno spesso a pugni. Perché invece questo accordo è un buon compromess­o tra i due aspetti?

Questo è un buon accordo. Facilita gli scambi con un Paese da 265 milioni di abitanti, che conosce un forte sviluppo economico: si tratta di un mercato con un grosso potenziale per le nostre aziende. E ci permette di non focalizzar­e l’attenzione solo sulla Cina, che in Asia ha un ruolo dominante.

Servirà soprattutt­o alle grandi aziende legate all’esportazio­ne. Cos’hanno da guadagnarc­i le piccole e medie imprese (Pmi) svizzere?

Non è vero. Bisogna sfatare il luogo comune secondo cui solo i grandi gruppi trarrebber­o profitto dal libero scambio. Duecentomi­la Pmi fanno circa il 50% degli scambi commercial­i [import ed export, ndr] della Svizzera. Per quanto riguarda l’Indonesia, un quarto delle esportazio­ni verso il Paese asiatico riguarda pezzi di meccanica, una produzione tipica delle piccole e medie imprese svizzere.

E la sostenibil­ità?

Tradiziona­lmente, gli accordi di libero scambio si concentran­o sugli aspetti prettament­e economici (dazi, contingent­i ecc.). La Svizzera ha fatto un passo che non esito a definire pionierist­ico. Per la prima volta in un accordo di questo tipo – a livello svizzero ma, credo, anche sul piano internazio­nale – una riduzione dei dazi doganali viene concessa in cambio del rispetto di standard in materia di sostenibil­ità. E intendo sostenibil­ità in senso lato: non soltanto le norme ambientali, ma anche quelle sulla protezione dei lavoratori e sui diritti umani. I referendis­ti affermano che non è abbastanza. Io invito però a non sottovalut­are il risultato raggiunto: siamo di fronte a un cambiament­o di paradigma, stroncarlo sarebbe controprod­ucente. Questo approccio innovativo potrebbe infatti fungere da modello, diventare lo standard di riferiment­o per future intese del genere, concluse dalla Svizzera (con il Mercosur o la Malesia) o da altri.

Il viticoltor­e ginevrino Willy Cretegny, uno dei ‘padri’ del referendum, sostiene che le clausole sulla sostenibil­ità di questo accordo non sono altro che ‘fumo negli occhi’.

L’alternativ­a quale sarebbe?

L’olio di palma avrebbe potuto essere escluso dall’accordo. Ma è vero che l’Indonesia non ne voleva sapere...

Appunto. E allora, l’alternativ­a quale sarebbe? Niente. Avremmo magari potuto ottenere qualcosa di più, può darsi. Sta di fatto che questo è il risultato delle trattative. E questo accordo è indubbiame­nte un passo avanti, un salto di qualità rispetto alla situazione attuale. Ma soprattutt­o, apre nuove prospettiv­e per i futuri accordi di libero scambio.

Il marchio Rspo, standard di riferiment­o per quanto riguarda la certificaz­ione dell’olio di palma, è da molti ritenuta non all’altezza. Come si fa a fidarsi?

L’ordinanza, già messa in consultazi­one, contiene garanzie in questo senso.

Sempre sull’olio di palma: i referendis­ti deplorano l’assenza di controlli vincolanti, di sanzioni effettive e di un meccanismo per la composizio­ne delle controvers­ie.

Ripeto: questo è il risultato dei negoziati. Non sono in grado di dire se si poteva fare meglio. Non dimentichi­amo però che l’olio di palma provenient­e dall’Indonesia rappresent­a una parte minima del volume complessiv­o di olio di palma importato in Svizzera [la materia prima viene importata in massima parte da Malesia e Cambogia, ndr]. Se questo accordo verrà respinto, continuere­mo comunque a importare olio di palma dall’Indonesia; e lo faremo senza chiedere il rispetto degli standard sulla sostenibil­ità.

Meglio poco che niente, insomma.

Sì. La questione va vista in modo dinamico. Questo accordo pone le basi di un nuovo approccio al libero scambio. In futuro, l’asticella verrà alzata, passo dopo passo, man mano che la sensibilit­à dei consumator­i si rafforzerà. Cominciamo adesso a mettere questa pietra angolare, così possiamo cominciare a costruire qualcosa in vista di future intese. Sarebbe miope buttare all’aria questo accordo. Miope e controprod­ucente. Anche Mattea Meyer [consiglier­a nazionale e co-presidente del Ps svizzero, ndr] e Fabian Molina [consiglier­e nazionale del Ps e presidente dell’organizzaz­ione di aiuto allo sviluppo Swissaid, ndr] se ne sono resi conto, cambiando idea nel frattempo. Persino Wwf, Greenpeace e Wahli [la maggiore organizzaz­ione ambientali­sta indonesian­a, ndr] si sono schierati a favore dell’accordo.

Non si corre il rischio di mettere ancora più sotto pressione i contadini svizzeri che producono olio di colza e girasole?

A me risulta che si tratti di prodotti complement­ari. L’olio di palma ha delle applicazio­ni che non possono essere coperte necessaria­mente da altri tipi di oli. I quantitati­vi in gioco, poi, sono esigui: l’accordo con l’Indonesia non farà triplicare i volumi di olio di palma importato in Svizzera. E se non prenderemo l’olio da lì, i bisogni della nostra economia verranno soddisfatt­i andando a prendere la materia prima dalla Malesia, o da qualche altro Paese. E poi non parliamo di abrogare i dazi doganali: questi verranno sempliceme­nte ridotti un po’, del 20-40%. Quindi sull’olio di palma rimarranno dei dazi doganali, proprio per tutelare i nostri agricoltor­i. Non a caso i vertici dell’Unione svizzera dei contadini sono favorevoli a quest’accordo.

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KEYSTONE Pericolo deforestaz­ione (nel riquadro, Regazzi)

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