Negozi chiusi Aiuti più ‘facili’
Da lunedì commerci chiusi, obbligo di telelavoro e incontri privati limitati a 5 persone
Da un confinamento light, circoscritto a bar, ristoranti e strutture per la cultura, il tempo libero e lo sport, a uno più severo: è la fine della ‘via svizzera’. Di fronte a una situazione epidemiologica “estremamente tesa”, alle prese con le varianti anglosassoni del coronavirus che si diffondono a gran velocità, il Consiglio federale è giunto alla conclusione che le mezze misure non bastano più. E allora: chi avrebbe dovuto riaprire il 22 gennaio non lo potrà fare fino al 28 febbraio; e dal prossimo lunedì sarà obbligatorio lavorare da casa (vedi sotto), le persone a rischio andranno maggiormente protette (idem), i negozi che non vendono beni di prima necessità dovranno abbassare la serranda, per gli incontri privati e gli assembramenti nei luoghi pubblici varrà il limite di cinque persone. Al termine di una lunga seduta, ieri l’esecutivo ha anche deciso di allentare le condizioni che un’impresa deve soddisfare per percepire gli aiuti destinati ai cosiddetti casi di rigore (vedi p. 3).
«Non è stata una decisione facile» e le misure «non sono state prese a cuor leggero», ha subito messo in chiaro Guy Parmelin (Udc). Il prolungamento dei provvedimenti in vigore e le restrizioni supplementari sono però «assolutamente necessari», ha sottolineato il presidente della Confederazione parlando ai giornalisti di Palazzo federale. Il fattore «chiave» è la mutazione del virus e le «incertezze» che questa porta con sé.
Siamo «in un momento cruciale nella lotta alla pandemia e nel sostegno al personale sanitario e agli imprenditori», ha detto il vodese. «La sofferenza è ovunque: soffrono i malati, le famiglie che hanno perso i loro cari, gli artisti e anche chi vede gli sforzi di tutta una vita divorati dalla crisi». Adesso è «indispensabile» uno «sforzo supplementare»: uno sforzo «collettivo», «solidarietà» e una «disciplina impeccabile».
La ‘cattiva notizia’
Alla conferenza stampa gli oratori erano separati l’uno dall’altro da pannelli di plexiglas. Munito, come gli altri, di mascherina protettiva, Alain Berset (Ps) ha portato la «cattiva notizia» (notizia per modo di dire): le nuove varianti inglese e sudafricana del coronavirus, altamente contagiose (dal 50 al 70% più del ceppo originario), si stanno sviluppando rapidamente; con le misure attualmente in vigore c’è da attendersi un raddoppiamento dei casi ogni settimana, e una terza ondata in febbraio. Il Consiglio federale – ha spiegato Berset – non dispone di dati secondo cui, in Svizzera, la situazione potrebbe evolvere in modo diverso rispetto a quanto avviene in altri Paesi, dove queste varianti circolano da più tempo e hanno provocato in poche settimane un’impennata dei contagi e delle ospedalizzazioni.
Questi scenari – scrive il governo in una nota – sono “estremamente preoccupanti”. Anche perché le infezioni rimangono a un livello elevato e nonostante le restrizioni introdotte non si osserva una chiara tendenza al ribasso. Il tasso di riproduzione resta superiore a 1, soglia oltre la quale il virus si propaga. L’esecutivo è confrontato con un «dilemma» (Berset): «O adottiamo misure ora, prima che esplodano i contagi, sperando di minimizzare le conseguenze negative a livello socioeconomico e sanitario; oppure aspettiamo, col rischio di dover poi adottare misure più drastiche fra 5-6 settimane. Non si tratta di decidere se adottare nuove misure, ma quando farlo». E prima lo si fa, meno pesanti saranno le conseguenze sull’economia e la società, ha affermato il consigliere federale.
Divieto di contatto per famiglie numerose
Le misure decretate ieri sono «molto dure» (Berset). Dovrebbero però consentire, tra l’altro, di scongiurare il rischio di una terza ondata, così come di evitare che efficacia e tempistica della campagna di vaccinazione appena avviata vengano pregiudicate (chi ha sintomi, infatti, non può essere vaccinato). Seguendo la linea dettata dal ministro della sanità, il Consiglio federale ha stabilito che dovranno chiudere i negozi che non vendono prodotti di prima necessità (ma la lista delle eccezioni è piuttosto lunga; inoltre viene revocata la regola della chiusura alle 19 e la domenica), una scelta sulla quale pochi alla vigilia erano pronti a scommettere. Severa è anche la limitazione a cinque persone per gli incontri tra parenti e amici. In pratica, per una famiglia con tre figli ciò equivale a un divieto di contatto.
Nulla cambia, invece, per quanto riguarda due ambiti di competenza cantonale: le stazioni sciistiche e le scuole dell’obbligo. Per queste ultime, la chiusura – come già avvenuto in primavera – resta un’opzione, visto il diffondersi delle nuove varianti di coronavirus. Berset ha detto di essere in attesa di un riscontro da parte dei responsabili cantonali dell’istruzione. Secondo Guy Parmelin, potrebbe delinearsi una via di mezzo, con ulteriori, provvisorie misure di protezione.
‘Problema esistenziale’ per i commerci
Tutti i partiti, tranne l’Udc, accolgono con favore le decisioni del Consiglio federale. Ps e Verdi si dicono soddisfatti. Anche il Ppd plaude all’inasprimento delle misure, pur deplorando che non sia stato riattivato il programma di crediti Covid-19. Il Plr loda il sostegno alle piccole e medie imprese, ma chiede vaccinazioni rapide per evitare fallimenti. L’Udc invece spara a zero sul Consiglio federale, che a suo avviso ha ormai perso il contatto con la realtà e il sostegno del popolo. Il partito lo invita a revocare tutte le misure decretate. La Conferenza dei direttori cantonali della sanità, dal canto suo, ritiene comprensibile l’inasprimento dei provvedimenti, in considerazione della situazione epidemiologica.
Sul fronte dell’economia, invece, le critiche non mancano. La chiusura di numerosi commerci, malgrado concetti di protezione funzionanti, crea grossi problemi, afferma Economiesuisse, favorevole peraltro al prolungamento delle misure in vigore. Il commercio al dettaglio applica i piani di protezione con rigore da diversi mesi, si lamenta l’organizzazione. L’Unione svizzera degli imprenditori (Usi), pur non condividendo la valutazione del Consiglio federale, “può comprendere” l’inasprimento delle misure. Per l’Unione svizzera delle arti e mestieri (Usam), le misure (“sproporzionate”) sono state decise senza alcuna prova di un rischio di infezione accresciuto negli ambiti interessati.
La chiusura dei negozi non alimentari (che comporta una perdita mensile di un volume d’affari di circa 3,2 miliardi di franchi in tutta la Svizzera) è “una stangata” per i dettaglianti: molti commerci andranno incontro a problemi esistenziali, scrive Swiss Retail. Malgrado il commercio al dettaglio si sia dimostrato capace di adattarsi, proattivo ed esemplare durante la chiusura parziale, ora viene punito in modo sproporzionato con un blocco totale, si legge in un comunicato. Le valutazioni interne sulle assenze per malattia confermano che l’attività dei dettaglianti non è fonte di contagio, aggiunge la nota.