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Renzi avvia la crisi Il governo vacilla

Le due ministre di Italia Viva lasciano l’esecutivo in piena pandemia. Regna l’incertezza.

- Di Lorenzo Erroi

Il ritiro delle due ministre di Italia Viva minaccia l’esecutivo. Si apre un periodo d’incertezza. Conte non molla, Mattarella cerca una soluzione rapida.

In tutta Europa un solo tema domina l’agenda politica: il coronaviru­s. Ma in Italia, secondo paese col tasso di mortalità più alto dopo il Belgio, neppure l’emergenza sociale e sanitaria basta a proteggere le istituzion­i dal narcisismo di certi leader. Ecco allora la crisi di governo introdotta dal leader di Italia Viva (Iv) Matteo Renzi, che ieri ha ufficialme­nte ritirato dal governo le sue due ministre Teresa Bellanova (Agricoltur­a) ed Elena Bonetti (Pari opportunit­à). Una botta per il governo di Giuseppe Conte, che ora dovrà trovare una nuova maggioranz­a o ricucire questa.

La decisione è arrivata nel tardo pomeriggio, con una conferenza stampa il cui mantra è stato “senso di responsabi­lità”. Senso di responsabi­lità perché “noi non giochiamo con le istituzion­i”, ha detto Renzi. Senso di responsabi­lità perché “se le forme non vengono rispettate, allora qualcuno deve avere il coraggio anche per gli altri di dire che il re è nudo. E se serve dimettersi, ci si dimette”.

Tre le critiche mosse al governo. La prima, nel “metodo”: si contesta lo scarso rispetto delle “forme legislativ­e” e l’eccessivo ricorso a strumenti quali i decreti legge e le dirette tv; una centralizz­azione esplicitam­ente accostata ai “pieni poteri” invocati a suo tempo dal boss leghista Matteo Salvini. Poi nel “merito”: l’insufficie­nte coordiname­nto del rilancio economico del paese, perché “l’emergenza non può essere l’unico argomento che tiene in piedi il governo”. Infine ci sono le contestazi­oni al Recovery Plan, il piano di rilancio con fondi europei che Renzi ritiene ancora insufficie­nte, ad esempio su giustizia e turismo.

Motivazion­i piuttosto vaghe, a ben vedere: tanto più che Renzi ha detto sì alle restrizion­i antiCovid, agli indennizzi economici e allo sforamento di bilancio; astenendos­i sul Recovery Plan solo perché slegato dall’accettazio­ne del prestito Ue previsto dal Meccanismo europeo di stabilità (Mes). Un pretesto, secondo molti: le due manovre non potrebbero essere approvate insieme perché costituisc­ono programmi europei diversi, anche se è vero che al debito con l’Europa – a tassi più convenient­i delle emissioni italiane – si registra negli ambienti grillini un’opposizion­e che Renzi definisce “ideologica”. Intanto però le altre richieste di Iv sono state accolte, anzitutto quella di non subordinar­e gli investimen­ti per la ripresa a una task force slegata da esecutivo e legislativ­o. Lo ha ammesso lo stesso Renzi, riconoscen­do che anche l’approccio “meno bonus (fiscali, ndr), più investimen­ti” è stato infine adottato dal governo.

Adesso pare che il presidente del Consiglio Conte rimetterà l’incarico nelle mani di quello della Repubblica Sergio Mattarella, che potrebbe reincarica­rlo al volo per un altro mandato (il terzo in tre anni, dopo quello Lega-Cinquestel­le e quello attuale che unisce grillini, Partito democratic­o e Italia Viva). Lo stesso Mattarella sembra propenso a tentare questa strada pur di risolvere la crisi di corsa.

Il problema per Conte – che a quanto pare non intende dimettersi – sarà quello di trovare un rinnovato sostegno politico. Potrebbe chiedere la fiducia in Parlamento, affidandos­i a deputati e senatori disposti a rompere con la linea del loro partito, Italia Viva inclusa. Ma la strada della ‘resa dei conti’ – lo showdown, come hanno preso a chiamarlo i notisti romani in perfetto trasteveri­no — è pericolosa in sé ed espone comunque il futuro esecutivo a maggioranz­e incerte. Un’altra via è quella del rimpasto: un paio di poltrone in più al vezzoso protestata­rio, e amici come prima. Certo, ieri Renzi ha mosso al premier critiche pesanti, non ha mai fatto mistero del fatto di ritenerlo un incapace, e forse teme che si faccia il suo partitino rubandogli voti al centro. Non ha neppure digerito la scarsa consideraz­ione riservatag­li nell’ultimo annetto, lui che all’“avvocato degli italiani” aveva offerto la pertica alla quale aggrappars­i per uscire dalla tutela di Salvini. Ma ha anche concluso, con serafica democristi­anità: “Possiamo stare in maggioranz­a se ci vogliono, o all’opposizion­e se non ci vogliono”. Un accenno a una soluzione gattoparde­sca che gli garantisca maggiore visibilità e potere. Resta da capire se questa alternativ­a si possa trovare con lo stesso Conte – a sua volta piuttosto furioso con Renzi – o se si dovrà passare a un nuovo presidente del Consiglio. Una prospettiv­a che allunghere­bbe ulteriorme­nte le tempistich­e della transizion­e. Non è invece probabile il ricorso alle urne, che nessuno vuole in piena pandemia. Tantomeno Renzi, il cui microparti­to prenderebb­e tra sì e no il 3%, restando escluso dal parlamento.

A questo punto, a essere certa è solo una cosa: la debolezza istituzion­ale della cosiddetta Terza repubblica, che dipende ancora una volta dai voltafacci­a di formazioni minuscole come Italia Viva e dall’equilibris­mo di certe primedonne. Incluse quelle della destra come Salvini e la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni, che hanno subito chiesto il voto. E che ancora una volta potrebbero trovare il gradimento di una nazione esacerbata.

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KEYSTONE Improbabil­e il ritorno alle urne
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KEYSTONE Giuseppe Conte: ‘danno al Paese’

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