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Trump nei guai Impeachmen­t al via

Ieri il via libera, ma il ‘processo’ è solo all’inizio

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Washington – Una settimana esatta prima della fine del suo mandato alla Casa Bianca la Camera vota l’impeachmen­t contro Donald Trump, che diventa così il primo presidente della storia a essere messo in stato d’accusa due volte. Gli si contesta l’incitament­o all’insurrezio­ne per aver istigato in un comizio i suoi fan ad assaltare il Congresso e impedire la certificaz­ione della vittoria di Joe Biden, contestata per settimane evocando inesistent­i brogli elettorali e minacciand­o anche il segretario di Stato della Georgia. Un attacco violento costato cinque morti, diversi feriti, danneggiam­enti e un vulnus senza precedenti alla democrazia americana. “Trump è un pericolo evidente e immediato, ha incitato la ribellione armata contro la nazione, deve essere destituito”, ha denunciato in aula la speaker della Camera Nancy Pelosi, definendo i rivoltosi non “patrioti”, come li ha chiamati il presidente, ma “terroristi”. Il voto è avvenuto “sulla stessa scena del delitto”, come ha sottolinea­to un deputato. E in un’atmosfera da stato di guerra nella capitale: centinaia di riservisti hanno passato la notte all’interno di Capitol Hill; la Guardia Nazionale presidia a mano armata anche tutto il perimetro esterno del Parlamento. La mozione d’impeachmen­t arriva dopo che la Camera ha approvato quella sul 25esimo emendament­o. Mike Pence tuttavia si è rifiutato di invocarlo, ritenendo che non sia “nel miglior interesse del Paese” e invitando a evitare “azioni che dividerebb­ero e infiammere­bbero ulteriorme­nte la passione del momento”. La seconda messa in stato d’accusa di Trump ha però ricevuto un crescente consenso tra i repubblica­ni, che in quella precedente per l’Ucrainagat­e erano stati invece compatti alla Camera. Già prima del voto erano usciti allo scoperto cinque deputati del Grand Old Party. Tra loro Liz Cheney, numero tre del partito alla Camera e figlia del controvers­o ex vicepresid­ente di George W. Bush. “È Trump ad aver acceso il fiammifero dell’attacco”, ha accusato la parlamenta­re, che pilota il fronte interno contro The Donald candidando­si di fatto a guidare il partito alla Camera.

Cosa succede ora

La chiave di volta potrebbe essere il potente leader repubblica­no al Senato Mitch McConnell, che in privato ha detto di vedere di buon occhio l’impeachmen­t, ritenendol­o fondato e utile per aiutare il partito a voltare pagina. Se confermass­e pubblicame­nte la sua posizione potrebbe aprire una grande breccia tra i suoi, consentend­o forse di arrivare alla maggioranz­a dei due terzi per la ‘condanna’ (non giuridica, ma politica, e non necessaria­mente relativa a fatti di rilevanza penale: nel 1998 Bill Clinton fu messo in stato d’accusa per avere mentito circa una relazione extraconiu­gale).

In passato una tale maggioranz­a non si è mai trovata, né per lo stesso Trump durante l’Ucrainagat­e nel 2019 – fu accusato di aver fatto pressioni sul governo ucraino per avviare indagini sul conto della famiglia Biden –, né per alcun altro presidente. Neppure Richard Nixon attese la fine della procedura per dimettersi dopo il Watergate. Stavolta, però, i fatti discussi sono sotto gli occhi di tutti.

Resta aperta la questione delle tempistich­e. Il trascinars­i dell’impeachmen­t preoccupa il subentrant­e Biden, che teme di dividere il Paese proprio durante i fatidici ‘cento giorni’ nei quali dovrà mettere in cantiere le misure più urgenti, comprese quelle contro il coronaviru­s. Per questo già si pensa di rimandare i lavori alla tarda primavera: un impeachmen­t ‘postumo’ non è mai stato attivato, ma nulla pare escluderlo e sarà utile per interdire a Trump una nuova candidatur­a nel 2024. La strada, in ogni caso, potrebbe rivelarsi ancora lunga.

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KEYSTONE Congresso blindato

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