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La perseguita­va, stalker processato

Trentenne spagnolo condannato a 20 mesi di carcere da scontare ed espulso per 7 anni

- Di Cristina Pinho

Non accettava la sua decisione di lasciarlo, dunque ha iniziato una vera e propria persecuzio­ne nei confronti della sua ex compagna. «Volevo farle provare il male che lei stava facendo a me, vendicarmi», ha ammesso l’uomo di 30 anni a processo alle Assise correziona­li di Locarno in Lugano. «Ha agito in maniera spregevole conscio dell’impatto psicologic­o che aveva sulla vittima», ha commentato la presidente della giuria Francesca Verda Chiocchett­i nell’emettere la condanna contro il cittadino spagnolo. Venti i mesi di carcere da scontare, deducendo il periodo preventivo già espiato, ed espulsione dalla Svizzera per sette anni. Il lungo atto d’accusa, i cui contenuti sono stati totalmente ammessi dall’imputato, eccetto un danneggiam­ento di lieve entità, riporta centinaia di tentativi da parte dell’uomo di entrare in contatto con la ex compagna – presente in aula – tramite telefono, mail, messaggi scritti e vocali, passando dal manifestar­le il proprio sentimento a vere e proprie ingiurie e minacce di morte. Oltre a ciò la controllav­a in modo ossessivo, sorveglian­dola sui social media e appostando­si sotto casa.

I fatti si sono perpetrati per oltre un anno tra il 2019 e il 2020. In tale periodo l’uomo è stato messo per due volte in carcerazio­ne preventiva e successiva­mente liberato in favore di misure sostitutiv­e all’arresto. Fuori dalla prigione ha però ripetutame­nte disobbedit­o alle decisioni dell’autorità che gli vietavano di avvicinars­i e di contattare la donna, motivo per il quale dallo scorso aprile è stato incarcerat­o per la terza volta.

‘Voleva tenerla sotto controllo’

Stando al procurator­e pubblico Zaccaria Akbas, l’imputato durante l’inchiesta ha sempre dimostrand­o il proprio assillo per la donna. Citando la perizia, ha sottolinea­to la sua incapacità di provare sensi di colpa e la tendenza ad addossarla agli altri, come nella dichiarazi­one da lui rilasciata poco prima in fase di requisitor­ia – «Se non fosse per la mia ex compagna non sarei qui a processo ora» –, che il pp ha reputato in contraddiz­ione con il pentimento espresso. «È chiarament­e uno stalker», ha detto Akbas, che ha definito i suoi atti ossessivam­ente persecutor­i e molesti. Hanno generato nella vittima stati d’ansia e paura compromett­endo la sua libertà.

Ha inoltre messo in luce che il trentenne ha rifiutato qualsiasi aiuto di tipo psicologic­o e che ogni volta che è uscito ha ripreso a molestarla. «Non c’è elemento che permetta di prevedere che non lo faccia anche in futuro. La perizia parla di un rischio di recidiva alto, con fatti più gravi di quelli commessi».

La sua richiesta di pena è stata di 20 mesi da espiare per coazione, 60 aliquote da 30 franchi per ingiuria, oltre all’espulsione dalla Svizzera per 10 anni. La richiesta dell’avvocato di parte civile Carlo Borradori è invece stata di 3’000 franchi per torto morale.

Le parole della vittima affidate a una lettera

Borradori ha poi spiegato il motivo della presenza in aula della vittima: «La sua ex compagna – ha detto rivolgendo­si all’imputato – non è qui per provocarla, non ne avrebbe la forza, ha vinto lei. È qui per pronunciar­e il suo ultimo grido di aiuto alle autorità penali e supplicarl­a di dimenticar­sene». Ha dunque letto uno scritto della donna: “Da questo 13 gennaio non voglio più avere paura. Scrivo queste righe perché vorrei che anche le mie parole abbiano un peso, che la mia tristezza abbia voce. (...) La violenza psicologic­a che ho subito è invisibile agli occhi ma frastorna i sentimenti e le emozioni, è difficile da guarire. Cambia il tuo sorriso, cambia il tuo appetito, cambia la tua anima. Senza alcun motivo ti senti sbagliata. (...) Ho dedicato tante energie a quello che mi è successo, mi sento tutt’ora rinchiusa in una prigione di parole e atti che mi hanno distrutta. Tutta questa energia avrei voluto usarla per le mie bambine. Non voglio più vivere nella paura».

‘Punirlo sì, ma permetterg­li di ripartire’

Nel pronunciar­e la propria arringa, contestual­izzando i reati all’interno di un quadro di disagio sociale, l’avvocata della difesa Flavia Marone, che si è battuta per una riduzione della pena detentiva chiesta dal pp e contro l’espulsione, ha definito la vicenda «triste, perché si parla di sentimenti, violenza, e carcere. Hanno perso entrambi, non ci sono vincitori». Ha poi sostenuto come l’imputato abbia capito che il suo sentimento è stato espresso con modi non legittimi. «Che paghi sì, come è disposto a fare, ma che gli sia anche data la possibilit­à di ripartire in Svizzera, dove ha quel poco che gli è rimasto: il padre e i due fratelli».

‘Ha ancora voluto avere un ruolo

nella sua vita’

Nel condannarl­o, la giudice, che si è detta non convinta del suo pentimento, ha confermato le richieste dell’accusa, con l’eccezione del numero di anni di espulsione tenendo in consideraz­ione la collaboraz­ione e il trascorso non facile del trentenne. Il reato di coazione è stato definito medio-grave a causa della particolar­e intensità con cui ha perseguita­to la vittima, coinvolgen­do in certe occasioni pure le sue figlie. Anche durante il processo, dando un consiglio alla donna su come accudire le bambine, «ha voluto ancora avere un ruolo nella sua vita». Gli altri capi d’imputazion­e confermati sono vie di fatto, danneggiam­ento, minaccia, ingiuria, ripetuta disobbedie­nza a decisioni dell’autorità e contravven­zioni alla Legge federale sugli stupefacen­ti.

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TI-PRESS L'ex compagna: 'Non voglio più vivere nella paura'

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