laRegione

Pazienza cognitiva o solitudine digitale?

- di Aron Piezzi, docente e deputato del Plr

Qualche settimana fa, laRegione ha ospitato un interessan­te articolo del docente e scrittore Daniele Dell’Agnola, intitolato “Il cervello che legge in un mondo digitale”. Esso prende spunto dal bellissimo libro “Lettore, vieni a casa” della neuro-scienziata Maryanne Wolf (edizioni Vita e Pensiero): è un testo che conosco e che consiglio vivamente a chiunque si occupi e si interessi di scuola. Supportata da studi scientific­i, la ricercatri­ce evidenzia i profondi cambiament­i e i rischi che la lettura digitale porta con sé: superficia­lità, disattenzi­one e minore approfondi­mento, tutto a svantaggio di riflession­e, pensiero critico, cultura e la cosiddetta ‘lettura profonda’. In questo senso, soprattutt­o con i più piccoli deve essere incoraggia­to un approccio alla lettura con i tradiziona­li libri cartacei, anche perché promuovono una sorta di ‘pazienza cognitiva’ (e non una tempesta di informazio­ni e stimoli tipici dei mezzi digitali): necessitia­mo di processi cognitivi più lenti per favorire il pensiero critico, l’empatia e per costruire i fondamenti di conoscenza. Maryanne Wolf, comunque, non demonizza giustament­e le tecnologie: propone infatti un’alfabetizz­azione parallela, che favorisca la lettura profonda e la pazienza cognitiva ma che porti anche i bambini a confrontar­si con la tecnologia. In relazione a ciò, si inserisce spontaneam­ente il tema della didattica a distanza. L’esperienza avuta nella scorsa primavera ha dimostrato che la vera scuola si fa a… scuola, in presenza tra allievi e docenti. Le nuove tecnologie non devono sminuire l’approccio pedagogico e didattico basato sulla relazione interperso­nale, l’autenticit­à e la manualità. Insomma, quella pedagogia delle emozioni e delle relazioni “cento volte più educativa del silenzio di una cameretta illuminata da uno schermo” (pag. 152), di cui parla lo psichiatra Paolo Crepet nel suo ultimo libro (“Vulnerabil­i”, Mondadori). Il Decs ha opportunam­ente dichiarato l’essenziali­tà della scuola in presenza, soprattutt­o per il settore dell’obbligo. La scuola a distanza, se riattivata, arrischia di favorire continuame­nte una sorta di “solitudine digitale” negli allievi (oltre che nuocere soprattutt­o a chi è più in difficoltà e aumentare i disagi in famiglia): essa costringer­à i più piccoli a crescere con minor autonomia, autostima e creatività, tre colonne portanti di una buona esistenza. Questi importanti temi, con altri, sono al centro di una mia interrogaz­ione inoltrata, con altri colleghi, proprio in questi giorni. L’atto parlamenta­re vuole stimolare la riflession­e all’interno del Decs ma mira soprattutt­o a capire se e in che modo al Dipartimen­to di formazione e apprendime­nto (Dfa), ossia chi è tenuto a formare i nuovi docenti, si rifletta attorno a questi aspetti per me strategici. La tecnologia è un importante strumento che porta con sé diverse opportunit­à al nostro agire quotidiano, tuttavia non deve sostituirs­i ad esso: uno schermo variopinto e accattivan­te non riuscirà a colmare ciò che la vita reale ci offre, nella sua concretezz­a, tutti giorni. Per lo sviluppo conoscitiv­o, comportame­ntale e morale dei nostri giovani, ossia i cittadini di domani, anziché la solitudine digitale è quindi importante favorire la pazienza cognitiva e un approccio emozionale in ogni forma di apprendime­nto.

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