laRegione

Negozi chiusi, scuole aperte

- Di Daniel Ritzer

Tocca ora ai Cantoni, più precisamen­te alla Conferenza dei direttori della pubblica educazione, dire la loro in merito all’ipotesi di una possibile chiusura delle scuole, messa in consultazi­one dal Consiglio federale. Questa appare oggi come ultima ratio tra le strategie messe in atto dal governo per cercare di contenere la propagazio­ne del virus, in particolar­e della tanto temuta variante anglosasso­ne.

Stando a quanto trapelato mercoledì scorso dalle parole del ministro Alain Berset, la chiusura delle scuole sarebbe da evitare ad ogni modo. Secondo il capo del Dipartimen­to federale dell’interno l’esperienza fatta la scorsa primavera, quando le autorità hanno decretato la chiusura di tutti gli istituti scolastici della Confederaz­ione, ha dimostrato che una tale misura comporta molti “problemi e disparità” per gli studenti. L’obiettivo principale del governo, ha ribadito il consiglier­e federale socialista, è quello di ridurre i danni sanitari, economici e sociali legati alla pandemia. “E questo vale anche per la generazion­e più giovane”, ha aggiunto Berset.

È su quest’ultima affermazio­ne che vale la pena soffermars­i, anche alla luce della decisione presa ieri dal governo ticinese di sospendere le visite nelle case per anziani e negli ospedali (restrizion­e antipatica ma sensata che mira, appunto, a tutelare le categorie più a rischio). A proposito della scuola molte sono le voci, compresa quella del direttore del Decs Manuele Bertoli, che hanno sollevato la questione del ‘buco formativo’ degli studenti, venutosi a creare dopo la chiusura degli istituti e del passaggio alle modalità d’insegnamen­to a distanza. Numerosi sono anche gli studi che dimostrano quanto sia stato difficile per gli allievi, in particolar­e per quelli appartenen­ti alle categorie sociali più deboli, seguire le lezioni da remoto.

Ma vi è un’altra dimensione fondamenta­le della scuola da evidenziar­e, a mio avviso di una valenza probabilme­nte più importante: la scuola sempre, ma in particolar­e in questo contesto pandemico, svolge prima di tutto una funzione ‘sociosanit­aria’ (passatemi il termine). Ciò vale tra l’altro sia per la scuola dell’obbligo, sia per quella post obbligator­ia. La scuola, soprattutt­o in questo momento così delicato, è il principale ‘antidoto’ per i nostri giovani contro il Covid, dal momento in cui dà una struttura chiara alle loro giornate e li toglie da una pericolosi­ssima ‘solitudine digitale’ (come ha notato qualche giorno fa Aron Piezzi su queste pagine). Diventa quindi una questione di ‘salute pubblica’ garantire a tutti gli allievi di questo cantone la possibilit­à di frequentar­e, in sicurezza, gli istituti scolastici. Questo almeno finché non ci sarà una prova irrefutabi­le del fatto che la scuola in presenza mette a rischio studenti, insegnanti o altre persone. Si potrà dire del problema dei mezzi pubblici affollati, ampiamente evidenziat­o da ‘laRegione’ sull’edizione di ieri. Ma, allora, “prima di andare a toccare gli allievi, s’intervenga sulla mobilità”, ha giustament­e dichiarato Bertoli nei giorni scorsi.

Di fronte a questo imminente scenario di negozi chiusi e scuole aperte, un pensiero va infine agli insegnanti. Fare il docente, si sa, non è mai un mestiere facile. Coraggio, maestri: ogni giorno, quando accogliete i vostri ragazzi in classe, state contribuen­do non solo alla loro educazione, ma anche alla loro salute. Attuale e futura. Anche a voi va quindi detto grazie, davvero, per quello che state facendo.

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