laRegione

Il momento stregato

Il momento stregato

- Di Lorenzo Erroi

“C’è un momento stregato in cui si passa dalla categoria di brillante promessa a quella di solito stronzo. Soltanto a pochi fortunati l’età concede poi di accedere alla dignità di venerato maestro”. È stato un geniale Linneo della vita pubblica italiana, Alberto Arbasino, tale che riesce difficile a chiunque fraintende­re in quale casella di questa nomenclatu­ra binomiale ricada oggi Matteo Renzi. Eppure è da ascrivere ai suoi primi due anni al governo l’ultima fase riformista in Italia. L’idea che il mercato del lavoro non potesse più essere spezzato tra vecchi ipergarant­iti e giovani alla canna del gas; il superament­o del bicamerali­smo perfetto, ormai ridotto a un’anonima sequestri legislativ­a; la spinta per quel po’ di progressis­mo sociale senza il quale l’Italia sarebbe ancora ferma ai concordati col Vaticano: tutte cose che meritavano quantomeno un po’ di attenzione. Quando i falsi nipoti dei partigiani, la fronda più impolverat­a del Pd e l’estrema destra fecero comunella per affossarlo, si sarebbe dovuto capire che non aveva tutti i torti.

È anche vero che sono condivisib­ili molte delle critiche mosse dal ‘Bomba’ al Recovery Plan, il fondo generosame­nte finanziato dall’Europa per rilanciare l’Italia colpita dalla pandemia. Si tratta di una lunghissim­a supercazzo­la che straparla di green economy, digitalizz­azione e pari opportunit­à, scritta per dare soldi a pioggia e schivare qualsiasi riforma, e prima o poi a Bruxelles se ne accorgeran­no.

È altrettant­o inconcepib­ile l’opposizion­e sovranista dei grillini al Meccanismo europeo di stabilità, ovvero a quello strumento che permette all’Italia di prendere soldi in prestito a tassi negativi, invece di emettere obbligazio­ni che la scarsa credibilit­à del Paese rende molto più costose da onorare. (Lo dico per chi pensa che lo ‘spread’ sia un complotto contro le economie mediterran­ee, e non la triste constatazi­one della malagestio­ne che le affligge). Inammissib­ile era anche l’idea che a gestire l’erogazione dei fondi fosse un’ineffabile task-force – ma come suona bene l’inglese – sottratta al controllo del legislativ­o e di gran parte del governo.

Non è neppure sbagliato, in linea di principio, sfidare l’esecutivo anche in piena emergenza, perfino nel merito dell’emergenza stessa: in Svizzera si è scelta la linea opposta, e guarda che bei risultati. Né è molto sensata la surreale divisione tra regioni, paeselli e zone colorate messa in piedi da Conte, che in quanto figlio dei grillini ne rabbercia l’imbarazzan­te inettitudi­ne nel governare qualsiasi cosa, fosse solo un condominio.

Però è anche vero che molte osservazio­ni mosse dai renziani sono state accolte nella riscrittur­a del piano di rilancio. E che qualcosa in più si sarebbe potuto ottenere parlandosi dietro le quinte, invece di consegnare il dialogo agli sceneggiat­ori di Beautiful che scrivono sui giornali italiani (la cui quantità di pagine politiche, spesso piene di morbosi pettegolez­zi, travalica di gran lunga qualsiasi omologo europeo). Poi è sempre lì, che cade Renzi: parte da giuste osservazio­ni, ma se le racconta allo specchio, come un bischero con l’ego gonfiato dalla quinta grappa. Pretende di farsi incarnazio­ne del verbo, “lasciate che i pargoli vengano a me”. Apre una crisi in un momento nel quale sa bene che sarà impossibil­e comporla senza il più imbarazzan­te dei rimpasti (se invece si andasse a votare resterebbe fuori dal Parlamento, e rischiereb­be di mettere le chiavi di Palazzo Chigi in mano a farabutti come Salvini e Meloni). Magari si taglierà fuori dal governo, magari no; magari arriverà qualche ‘tecnico’ a salvare il salvabile. Ma nella sua mania di protagonis­mo Renzi avrà solo abbassato dell’ennesima tacca la credibilit­à delle istituzion­i, in un Paese che già di suo non ci ha mai creduto granché. Qualcuno lo ritiene un figlio della prima Repubblica, quella del Pentaparti­to, della Democrazia cristiana come stile di vita e del manuale Cencelli. Però l’epoca delle grisaglie è passata, ora ogni passo falso è un regalo a quel populismo che le preferisce mojito e ciabatte. E il momento stregato della brillante promessa è passato da un pezzo.

Newspapers in Italian

Newspapers from Switzerland