laRegione

Il neoliberis­mo e la tentazione fascista

- Di Diego Lafranchi

L’assalto del 6 gennaio 2021 al Campidogli­o di Washington ha drammatica­mente evidenziat­o la pericolosi­tà della situazione nella quale il mondo si trova. Trump è lo strumento attuale del caos, ma non ne è la causa prima. Questa deve esser chiarament­e fatta risalire ad un responsabi­le principale che è l’ideologia neoliberis­ta, impostasi un po’ ovunque a partire dagli anni ‘70-‘80 del secolo scorso. Non è una situazione solo statuniten­se. Gli avveniment­i washington­iani mi hanno richiamato alla memoria un bel libro di Serge Halimi del 2006: ‘Il grande balzo all’indietro’, nel quale l’autore analizzava la genesi dell’ideologia neoliberis­ta e ne prospettav­a gli sviluppi sociali e politici.

È stata l’imposizion­e caparbia dei principi dell’ideologia neoliberis­ta l’origine della rabbia sociale che esplode qua e là con una certa frequenza. Armato “di questo (rudimental­e) programma intellettu­ale e di una cassetta degli attrezzi che conteneva solamente quattro grossi martelli (deregolame­ntazione, privatizza­zione, diminuzion­e delle imposte, libero scambio)” il neoliberis­mo impose la sua camicia di forza a tutte le nazioni, sul “modello anglosasso­ne”. Furono Reagan e la Thatcher ad attuarlo per primi. A dire il vero l’apripista fu il generale Pinochet in Cile a partire dal 1973 ed è difficile negare che lo impose con la forza bruta. Fu però il Democratic­o Bill Clinton nel 1993 ad esigere l’apertura dei mercati esteri e ad imporre il concetto di globalizza­zione. La cultura del momento assimilò la modernità alle riforme di mercato e ai quattro “martelli” summenzion­ati, mentre non era altro che il ritorno a pratiche pre New Deal roosevelti­ano o pre Trenta gloriosi, cioè una vera regression­e sul piano sociale, un grande balzo all’indietro, come con felice metafora lo ha definito Halimi. Da allora lo scarto fra le ricchezze non ha fatto altro che aumentare smisuratam­ente, come, dati alla mano, ha ben documentat­o Thomas Piketty nel suo ‘Capitale e ideologia’. Gli sgravi fiscali, vero mantra dell’ideologia neoliberis­ta, hanno non solo favorito soprattutt­o i ricchi, ma hanno anche stimolato l’attribuzio­ne di salari esorbitant­i agli alti dirigenti nel mentre la concorrenz­a internazio­nale è stata lo strumento principe per tenere a bada i salari dei lavoratori. I notevoli incrementi della produttivi­tà del lavoro, resi possibili dall’informatiz­zazione e dall’automazion­e dei processi produttivi nell’industria e nei servizi, invece di andare a beneficio (anche) dei lavoratori sotto forma di aumenti salariali e di riduzione dei tempi di lavoro, sono stati usati contro i lavoratori, sopprimend­o posti di lavoro. Anche la scelta di chiudere e di trasferire aziende in paesi a più bassi salari è frutto dell’applicazio­ne dell’ideologia della globalizza­zione. Tutto questo spiega la rabbia sociale che ne è derivata e perché essa si sia indirizzat­a a tutti gli schieramen­ti politici dei grandi partiti storici. Mentre i Trenta Gloriosi avevano cercato di creare un quadro entro il quale il cittadino si sentiva relativame­nte al sicuro, con le assicurazi­oni per la vecchiaia, la malattia, la disoccupaz­ione e contro gli infortuni profession­ali, il neoliberis­mo ha instillato la cultura della precarietà e dell’insicurezz­a, come se la sicurezza fosse una aspirazion­e delle persone deboli e pigre e non una legittima normale aspirazion­e dei cittadini. La concorrenz­a e la competizio­ne per contro sono state esaltate senza limiti, ma, spinte all’estremo, esse diventano spietate e disumane.

L’ideologia neoliberis­ta non è emersa dal nulla. Essa è stata pazienteme­nte elaborata negli ambienti della destra conservatr­ice, soprattutt­o anglosasso­ne, lontano dai riflettori dell’opinione pubblica nei decenni in cui a prevalere era l’economia sociale di mercato. Una serie di Think tank intellettu­ali (Fondazione Mont Pélerin, Heritage Foundation, Catho Institute, Scuola di Chicago e altri: quanti li conoscono?) foraggiati da cerchie di ultra ricchi, hanno pazienteme­nte elaborato il quadro concettual­e dell’ideologia che poi ha finito per imporsi a partire dagli ultimi tre decenni del XX secolo, sostenuta da “un gigantesco meccanismo educativo e mediatico. Nelle università è diventato l’unico modello di economia proposto agli studenti. Lo stesso si può dire per i mass media. Destra e “sinistra”, o meglio ex sinistra, si sono inchinati ai suoi dogmi assunti entusiasti­camente. Così si può spiegare la fortuna del concetto di establishm­ent: sembrava, non del tutto a torto, un enorme blocco di potere tutto intento a condurre il popolo, anche contro la sua volontà, verso la felice modernità neoliberal­e, in nome “dell’unica politica possibile”: politici, professori, giornalist­i, radio, television­i, tutti uniti a proporre il nuovo verbo. La società è stata arata in profondità da questa “nuova” cultura che l’ha stravolta. Quattro-cinque decenni di politiche neoliberis­te hanno prodotto una disgregazi­one sociale, particolar­mente avanzata negli Usa. Ne è conseguita una rabbia sulla quale prosperano i movimenti della destra e dell’ultra destra. Sono spuntati in diversi paesi capipopolo che offrono vie di uscita ispirate alla loro ideologia tradiziona­le, fondata sulla guerra tra poveri, sulla divisione della società in “nostri”, da difendere, e gli altri da cui difendersi. Una tendenza estremamen­te pericolosa, come gli avveniment­i statuniten­si hanno evidenziat­o.

Il giornalist­a Marco Politi scrive: “Nessun tedesco colto avrebbe immaginato negli anni Venti del secolo scorso che la Germania si sarebbe piegata al nazismo. Nessun americano orgoglioso del proprio sistema costituzio­nale avrebbe sognato a Capodanno che sei giorni dopo il suo “Campidogli­o” sarebbe stato preso d’assalto da squadracce di estremisti, che impugnano la bandiera del presidente tuttora in carica”. La disgregazi­one della società è il terreno di coltura su cui prosperano i fascismi e su cui ha prosperato il nazismo. Papa Francesco avverte con una grande intuizione: “A me fa paura quando ascolto qualche discorso di alcuni leader delle nuove forme di populismo. Mi fa sentire discorsi che seminavano odio nella decade degli anni Trenta del secolo scorso”. Pensare che le situazioni non sono comparabil­i e che tutto ciò non possa ripetersi può essere pericoloso. Certi germi vanno combattuti subito. Il rimedio sta nella ricerca della coesione e della giustizia sociale, nel garantire al popolo una ragionevol­e sicurezza per togliere l’erba sotto ai piedi dei predicator­i dell’odio. Nell’abbandonar­e cioè rapidament­e il paradigma neoliberis­ta, che la Svizzera, grazie alla sua democrazia semidirett­a, è fortunatam­ente riuscita in più occasioni a temperare.

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