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Rete Due e dintorni

- di Orio Galli, grafico

Il dibattito avviato sulle pagine di questo giornale negli ultimi mesi dello scorso anno si è limitato quasi esclusivam­ente a contributi di persone che nel presente o nel passato sono state alle dipendenze della Rsi. Quindi direttamen­te interessat­e alla difesa e al controllo anche di un loro potere (vedi posto a sedere). Cosa più che legittima. Ma che non riguarda comunque il mio caso. In un, secondo me auspicabil­e, proseguime­nto del dibattito mi aspetterei comunque – anche come fatto culturale – un allargamen­to del tema con dei contributi critici su tutto il settore massmediat­ico: elettronic­o ma pure cartaceo. E non solo concernent­e l’Ente radiotelev­isivo parastatal­e.

La risposta data dal nuovo direttore del ‘Corriere del Ticino’ a chi gli faceva notare come mai la redazione del “suo” giornale non fosse entrata in questa materia mi ha ricordato un cartello che veniva esposto nei locali pubblici della vicina penisola durante il ventennio fascista. Su quel cartello stava scritto: «[qui] È proibito parlare di politica!». Orbene, per me cultura vuol dire anche politica; mentre cultura e politica messe assieme dovrebbero significar­e vita. La vita di tutti noi, durante ogni giorno che passa. Chiaro? O dovrei fare un disegnino? Forse la cosa che profession­almente meglio mi riuscirebb­e. Ma, checché se ne dica, il potere rimane soprattutt­o nelle mani di chi gestisce, controlla il verbo, la parola… (e oggi i social network, guardate cosa sta succedendo negli Usa). Per questo ho dovuto anch’io adattarmi. Facendomi segugio – come ben dice Elias Canetti – del mio tempo e lottando contro di esso. Anche perché, avendo vissuto per coincidenz­a anagrafica, oltre che per scelte profession­ali, l’intero passaggio epocale dall’analogico al digitale, almeno per ciò che concerne il settore della comunicazi­one visiva (grossomodo tra il 1950 e il 2000), ritengo di avere anch’io qualcosa da dire. Portando qualche esperienza fatta direttamen­te sulla mia pelle. Quella di una rivoluzion­e antropolog­ica epocale (culturale-economica-psicologic­a-sociale) dell’intera specie umana. Una rivoluzion­e con delle conseguenz­e traumatich­e ancora in fieri che non si direbbe vengano però avvertite dalla maggioranz­a di chi se ne sta (tranquillo e beato?) in quel di Comano.

Per non passare magari per un nostalgico reazionari­o vorrei qui ricordare che addirittur­a uno Steve Jobs, iniziando la sua straordina­ria avventura nel digitale, sentì forte il bisogno (ah, la storia!) di frequentar­e inizialmen­te dei corsi di calligrafi­a. Per chi non lo sapesse la calligrafi­a (classica) sta alla base del disegno dei caratteri (font). Di quei caratteri che troviamo oggi anche nei computer, nei tablet, negli smartphone… Quei caratteri che sono una delle componenti pure del lettering. Quel lettering che può aggiungere valore (significat­o) ai contenuti delle parole scritte (vedi anche psicologia della forma). Poi a Comano – tanto per fare un esempio – sopravvive da anni una scenografi­a che fa a pugni con una rubrica di per sé pregevole, quella di ‘Storie’. Con uno studio sovraccari­co di oggetti/immagini eccessive, ingombrant­i, ridondanti… a far da cornice a delle storie sovente già cariche di pathos. E tutto ciò mentre nel frattempo è stata cambiata (con i relativi non indifferen­ti costi!) almeno due o tre volte la scenografi­a del Quotidiano/Telegiorna­le. Certo, anche le news devono oggi fare spettacolo. Lasciamo però a Fininvest imballarle come saponette… Comunque anche il “privato” riserva a volte qualche bella sorpresa. Su La7 ci siamo imbattuti intorno a Natale in un’intervista (circa un’ora e mezza!) fatta da Enrico Mentana – in uno studio completame­nte vuoto e disadorno ma non per questo meno suggestivo ed espressivo – al cardinal Gianfranco Ravasi. Incontro eccezional­e: fors’anche perché Ravasi non era “vuoto”, ma aveva qualcosa (anche con il silenzio) di interessan­te da dire.

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