L’associazione Zeta Movement: giovani per i giovani
ʻIT is OK not to be OKʼ: questo è uno dei motti di Zeta Movement, associazione svizzera nata un anno fa da cinque studenti, tra i quali Giada Crivelli. “Vogliamo promuovere il dialogo e la conoscenza intorno ai disturbi mentali”, ci spiega. “Sono malattie che spesso portano con sé un sentimento di vergogna, quindi il primo rimedio è parlarne. Sappiamo inoltre che sono diffuse tra i giovani e che prima inizi a curarti e meglio è”. Prevenzione e informazione, dunque.
A causa del Covid-19 il programma è iniziato a metà: la parte online (conferenze, diffusione di video e informazioni sui social) è partita benissimo, ma restano ancora bloccati gli incontri nelle scuole. “Vogliamo andare a parlare con i ragazzi. Ci sono giovani toccati da un disturbo psichico che vogliamo formare appositamente per portare la loro storia nelle classi.
Gli incontri prevedono dunque storytelling e la presenza di uno specialista. Vogliamo dire ai ragazzi che se non stanno bene devono chiedere aiuto, senza vergogna. E se vedono un compagno sofferente non devono prenderlo in giro, perché può essere deleterio”.
Zeta Movement vuole contribuire a destigmatizzare un tema che fa paura: se qualcosa non va nella mia testa sono matto? No: succede, non solo a te, e si può fare qualcosa. La salute non è l’assenza di malattia, ma lo stare il meglio possibile nelle condizioni in cui si vive.
“C’è lo stigma sociale e quello autoinflitto. Si comincia da sé stessi e poi l’esperienza insegna che quando ci si apre per raccontarsi agli altri, di solito si incontra rispetto. Però manca ancora conoscenza: per esempio ci sono genitori che scoraggiano i figli dall’andare da uno psicologo o da uno psichiatra.
C’è paura intorno alla malattia mentale, paura che una persona che ne soffre sia imprevedibile. Dobbiamo mostrare che invece può riguardare persone uguali a tutti gli altri, in grado anche loro di vivere una bella vita. E inoltre – conclude Giada – “bisogna iniziare a parlare di ‘distanza fisica’ invece che di ‘distanza sociale’: la pandemia può essere fonte di grande pericolo per chi già si sente solo, messo da parte, diverso”.