Ereditare e trasmettere
Una serie di ritratti toccanti, attraversati da riflessioni sui temi della memoria, dell'identità e del perpetrare le esperienze attraverso la scrittura.
Siamo fatti di fiumi segreti e immemorabili che convergono in noi – la suggestiva immagine è di Jorge Luis Borges –, un’eredità in divenire lasciata da chi ci ha preceduto e da chi incontriamo ogni giorno nelle varie manifestazioni espressive di cui l’umanità è capace. Pietro De Marchi, nella raccolta di testi Con il
foglio sulle ginocchia, data alle stampe da Casagrande nel 2020, prova a immergersi in alcuni di questi fiumi che sono la sua linfa vitale di uomo e poeta. Lo fa attraversando soprattutto le parole scritte da coloro che maggiormente l’hanno formato. Nella prima parte del volume facciamo conoscenza con le generazioni dei suoi nonni e genitori che con le due Guerre mondiali hanno sperimentato in modo particolarmente invasivo l’ingresso della storia nelle loro vite. Il titolo del libro è la posizione in cui si descrive suo padre in una delle innumerevoli lettere inviate alla famiglia dal fronte e di cui troviamo riprodotti degli stralci.
Di quest’uomo ci è dapprima raccontato l’arrivo durante l’infanzia in una Milano che si va inurbando; seguono gli anni da soldato che trapelano da quella corrispondenza testimone spesso reticente di una condizione di grande pena, il ritorno a casa sulle strade e le vie ferrate di un’Europa devastata e piena di macerie materiali e morali, e il momento di ricominciare a vivere. Lo rincontriamo poi maturo e permeato di una cultura molto vasta ma mai ostentata, le cui tracce popolano la grande quantità di libri sparsi per tutta la casa e una sorta di zibaldone leopardiano compilato quasi quotidianamente per decenni. In coda alla parabola terrena, l’autore, partendo dagli ultimi versi di Montale letti al padre, ci propone la splendida e toccante poesia ‘Ipotesi sull’ultimo sogno’ che ha composto dopo la sua morte.
Passarsi le chiavi
A seguito di un corto intermezzo veneziano sul nonno materno, troviamo una serie di altri ritratti relativi ai maestri che per De Marchi sono stati dei punti di riferimento durante gli anni da studente e lungo la sua quasi quarantennale attività accademica di italianista: Dante Isella, Giorgio e Giovanni Orelli, Luigi Meneghello, Federico Hindermann. Si tratta di pagine al confine tra la saggistica e la narrativa, che mettono in luce i tratti peculiari di questi uomini di cultura, il loro punto di vista sul mondo, la passione e la capacità di guardare alla vita con curiosità e partecipazione. Con una delicata riverenza, ritrae gli autori per lo più prossimi al termine della loro esistenza, rilevando le corrispondenze che intercorrono tra le loro opere e le poetiche di alcuni grandi nomi della storia della letteratura. Passando da riflessioni personali, citazioni ed echi, e talvolta seguendo concretamente i passi dei maestri, De Marchi coglie e ci restituisce spunti di lettura in una maniera capace di emozionarci toccando le corde più profonde. Compie così quel gesto essenziale che è la trasmissione, il passaggio di mano di ricordi, storie e chiavi di lettura per interpretare la realtà. Da Ulisse a Dante, da Baudelaire al già evocato Borges – che torna in filigrana nel congedo con ‘Le cose’ (“Dureranno più in là del nostro oblio; non sapran mai che ce ne siamo andati”) –, quello dello scrittore è un invito a guardare oltre le nostre esistenze, a coltivare lo studio della memoria per conoscere la nostra identità così da poter affrontare con maggior consapevolezza il futuro.