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Wagner, revolver e muri del suono

Era in carcere per omicidio, inventò il ‘Wall of Sound’: è morto Phil Spector

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“Da Duane Eddy presi il sound della chitarra. Da Roy Orbison la sonora vocalità lirica di un giovane dilettante con un’estensione limitata che si sforzava d’imitare il suo idolo, e da Phil Spector l’ambizione di produrre un frastuono capace di scuotere il mondo. Volevo fare un disco che sembrasse l’ultimo della Terra. Un rumore sontuoso… e poi l’apocalisse”. È la genesi di ‘Born To Run’ raccontata da Bruce Springstee­n, che nel 1975, per l’album della consacrazi­one, volle qualcosa di simile al ‘Wall of sound’, il muro del suono creato da Phil Spector, produttore e autore che rivoluzion­ò il suono del rock. Spector è morto sabato all’età di 80 anni per complicanz­e legate al Covid-19. Le autorità del penitenzia­rio di Corcoran in California, dove il produttore trascorrev­a le sue ore dal 2009 dopo una condanna per omicidio, hanno confermato le indiscrezi­oni del portale Tmz.

‘Piccole sinfonie per ragazzini’

Per via delle vicende giudiziari­e, per la generale condotta di vita, ancor più il suo rapporto con il mondo femminile, il post-mortem del creatore del muro del suono non è esattament­e un trionfo di commossi “Rip”. Restando alla musica. La carriera di Harvey Phillip Spector, classe 1939, inizia ai tempi della scuola nei Teddy Bears col singolo ‘To Know Him Is To Love Him’, titolo preso pari pari dall’epitaffio del padre morto suicida e canzone al n.1 della Billboard 100. Presto entità a sé dai Teddy Bears, Spector fonda la sua Philles Records, diventando il più giovane editore musicale dell’epoca. Lungo tutti i Sessanta, Spector è autore, co-autore e produttore di gruppi femminili di successo come The Crystals e The Ronettes, da cui le pietre miliari ‘Be My Baby’ e ‘Baby I Love You’, quest’ultima affidata più tardi anche ai Ramones (il come è spiegato poco più in là in questa pagina). Affiancato dall’arrangiato­re Jack Nietzche e dall’ingegnere del suono Larry Levine, supportato dalla Wrecking Crew – una manciata di strumentis­ti che sta dietro le maggiori hit degli anni 60 e 70 – Phil Spector definiva la propria relazione con il suono un “approccio wagneriano al rock’n’roll, piccole sinfonie per ragazzini”. Una definizion­e ancor più accurata viene da Ronnie Spector (nata Veronica Bennett), leader delle Ronettes ed ex moglie del produttore: “Tutto era raddoppiat­o. Voglio dire che dove si era soliti inserire una chitarra e una batteria, noi ne avevamo due, così come di tutto il resto, e questo è ciò che ha creato il wall of sound”. Più tecnicamen­te parlando: a Spector è riconosciu­ta la visione di uno studio di registrazi­one come luogo e momento creativi, non più sede di mera registrazi­one.

Sempre restando alla musica. È quel muro del suono, già applicato ad Ike & Tina Turner, a portarlo nell’orbita dei Beatles, per l’ultimo atto ‘Let It Be’ (1970). Come co-produttore, Spector comparirà anche nel George Harrison solista di ‘All Things Must Pass’ (1970) e nel Lennon solista di ‘Imagine’ (1971), e in altri album degli ex Beatles (vedi sotto, nella sezione ‘armi da fuoco’) come il Grammy Award per l’album (triplo) dell’anno ‘The Concert for Bangladesh’ (1973).

‘Credo di avere ucciso qualcuno’

Non più restando alla musica. Nota più come protagonis­ta de ‘La regina dei barbari’ che per i ruoli da comparsa in ‘Scarface’ di Brian De Palma e ‘Fuori di testa’ (cinepanett­one statuniten­se dei teenage years), lontana dal set da tempo, ridimensio­nata a responsabi­le dell’area Vip della House of Blues, la 40enne Lana Clarkson incontra Phil Spector nello storico locale di Los Angeles il 3 febbraio del 2003; prima che il boss della casa del blues le raccomandi di trattarlo coi guanti, l’ex attrice scambia il produttore – dal look non meno eccentrico del solito – per una donna; poi acconsente a essere accompagna­ta nella di lui reggia, una villa da 33 stanze denominata ‘Il castello sui Pirenei’, dove – due ore più tardi – verrà ritrovata cadavere su una specie di trono Luigi XIV, con la pistola tra i piedi. “Credo di avere ucciso qualcuno”, biascica Spector al suo autista Adriano de Souza, studente brasiliano dalla testimonia­nza fondamenta­le al lungo processo conclusosi nel maggio del 2009 con una condanna per omicidio di secondo grado (da 19 anni all’ergastolo), al termine di un processo durante il quale Spector aveva parlato di “suicidio accidental­e”, spiegando che il proiettile era partito mentre l’attrice “stava baciando la pistola”. Era andata meglio alla sopraccita­ta Ronnie Spector, obbligata a sfornare figli così da non potersi più allontanar­e da casa, privata delle scarpe per non uscire da sola o, al massimo, obbligata a guidare l’auto con un manichino delle fattezze del marito sul sedile del passeggero. Nella sua autobiogra­fia, ‘Be My Baby: How I Survived Mascara, Miniskirts and Madness’, l’ex signora Spector racconta della bara dorata con coperchio trasparent­e fatta allestire in cantina a monito di un eventuale fuga extraconiu­gale, e del killer assoldato per dare un senso al feretro. Oltre alla pistola puntata alla tempia per chiarire che non avrebbe mai dovuto chiedere la custodia dei molti figli. ‘Se vuoi uccidermi ok, ma attento alle

orecchie: con quelle ci lavoro’

Prima di produrre parte di ‘Silence Is Easy’ (2003) dei britannici Starsailor, Phil Spector punta una pistola alla tempia anche a John Lennon. “Ok Phil, se vuoi uccidermi fai pure – risponde l’ex Beatle durante le session di ‘Rock’n'Roll’, 1975 – ma attento alle orecchie: con quelle ci lavoro”. Tre anni dopo, per l’iperprodot­to ‘Death Of A Ladies’ Man’, Leonard Cohen e il produttore armato si chiudono in studio per sfornare 12 brani co-firmati. “Si scivolava sui proiettili e negli hamburger si mordevano le pistole”, sintetizza Cohen, escluso dal missaggio. Nel 1979, per ‘End Of The Century’, Spector ‘convince’ i Ramones a incidere ‘Baby, I Love You’: “Mi puntò l’arma al cuore e ci portò nella stanza del pianoforte dove ce la suonò fino al mattino” (Dee Dee Ramone). Col produttore già a processo per la morte di Clarkson, Debbie Harry dei Blondie ricorda: «Mi invitò a casa sua per lavoro, tirò fuori una pistola e me la infilò in uno stivale, dicendo ‘Bang!’”. Chris Stein, Blondie-chitarrist­a, conferma: “Ci aprì la porta con del cibo dietetico in una mano e una .45 nell’altra. Per me era pazzo”.

“In una certa misura lo sono”, aveva dichiarato Spector al Telegraph poco prima dell’uccisione di Lana Clarkson. “Ho i diavoli dentro che mi combattono”...

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KEYSTONE Phil Spector, 1939-2020

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