laRegione

Conte e l’arte dei trasformis­ti

- Di Roberto Scarcella

Difficilme­nte Giuseppe Conte farà la storia d’Italia, in compenso l’Italia e la sua storia si sono già impossessa­te di lui e di ciò che lo circonda. In un calderone pop che frulla tutto assieme, dal Gattopardo a Elio e le Storie Tese, dai guitti della Commedia dell’arte all’arte della guerra: non quella gloriosa di Sun Tzu, ma quella miserabile e opportunis­ta di chi cambia alleato in battaglia con la stessa facilità di Casanova con le compagne di letto.

L’assioma di Karl Marx per cui la storia si ripete sempre due volte, prima in tragedia e poi in farsa, in Italia arriva a un terzo livello che scivola verso il cinepanett­one e oltre, dove la realtà non solo viene ridicolizz­ata, ma del tutto sovvertita, sostituita da personaggi reali che sembrano partoriti da uno sceneggiat­ore in vena di sberleffi. Conte, con quell’aria da rassicuran­te professore di provincia e la parlata affettata, è il perfetto rappresent­ante 2.0 del gattoparde­sco “tutto cambi affinché nulla cambi”. E a cambiare è lui per primo, a seconda di quel che gli ruota attorno. Anti-europeista e trumpiano quando governava con Salvini, amicone di Bruxelles e di Joe Biden ora che sta con il Pd. Una centrifuga che andava bene finché Renzi non ha fermato il cestello mostrando panni sporchi e incongruen­ze nascoste in parte dalla pandemia, in parte dal fatto che Conte non ha bisogno di cambiare maschera per cambiare idea. Ammesso che ne abbia mai avuta una che non fosse il rimanere attaccato alla poltrona. Tutto e il contrario di tutto pur di avere qualcuno a sostenerlo, che sia di destra, di sinistra o il perenne caos in cerca di un centro di gravità permanente chiamato Cinque Stelle.

Conte, quindi, Arlecchino servitore di due padroni? Piuttosto un Arlecchino padrone di due servitori, come ha dimostrato la risicata fiducia ottenuta lunedì. Se fosse crollato lui sarebbe crollato tutto: Italia Viva in primis, che lo sfiducia senza votargli contro, invocando la morte del governo e un matador per affondare il colpo decisivo. Renzi, che veleggia nei sondaggi tra il 2 e il 3 per cento, ha bisogno di Conte, così come tutti gli altri: chi per avere un bersaglio facile, chi per avere un alleato da tradire se capiterà qualcosa di meglio, chi per tenersi stretto lo stipendio da parlamenta­re. D’altronde, si sa, “teniamo famiglia” e il treno destinazio­ne Parlamento non è detto che passi di nuovo alle prossime elezioni. Così assistiamo a pasionarie di Forza Italia che tradiscono Berlusconi e a postcomuni­sti duri e sempre meno puri che votano la fiducia insieme a chi faceva il saluto romano: soccorso rosso, soccorso nero e mutuo soccorso. Finché dura. Tutto deve cambiare affinché tutto resti com’è, il resto è rumore di fondo, tra un richiamo al kairos greco e uno al “governo dai piedi di balsa”, latinismi e Playmobil. Quando il nonsense vince, in altri Paesi si passa oltre, in Italia s’indugia per vedere fin dove si arriva, con quel voyeurismo da internet che ti fa aprire il video del pappagallo che canta Verdi e la scimmia che impenna sulla moto. A suggellare il momento, l’antieroe del giorno è un senatore perduto e ritrovato, ovviamente pro-Conte (oggi, domani chissà), che chiede e ottiene di votare a giochi fatti dopo essere sparito durante gli appelli. Ha un viso da caratteris­ta da commedia all’italiana e un nome – ignoto ai più – che pare inventato: Lello Ciampolill­o. Perfetto per rappresent­are sottobosco e Fantabosco della politica italiana.

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