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La giardinett­a dello zio Joe

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Joe Biden è un appassiona­to di vecchie automobili: quando le guardie del corpo glielo permettono, ama sgommare con la sua Corvette Stingray del 1967. Suo padre, d’altronde, sbarcava il lunario vendendo auto usate. Ma al nuovo presidente americano tocca ora il volante di una giardinett­a ben più ammaccata, fatta di pezzi che non combaciano e guidata per quattro anni da un incoscient­e; chissà cosa troverà nel bagagliaio. L’America si trova al centro di disgrazie come non se ne vedevano da generazion­i: la crisi sanitaria, quella economica, ma anche gli scontri razziali e i problemi climatici che mandano a fuoco intere regioni.

Il piano del nuovo presidente segue due direttrici: disfare tutto quello che ha fatto il predecesso­re – dalle politiche contro l’ambiente a quelle contro l’immigrazio­ne – e introdurre al più presto un programma di rilancio economico da quasi duemila miliardi. Un programma finanziato col debito, ma anche aumentando le tasse ai più ricchi e alle grandi aziende, in cambio di sgravi e aiuti al ceto medio e ai poveri. D’altronde, ancora una volta la crisi mostra come le politiche keynesiane siano state liquidate con troppa fretta. Ad aiutare la nuova agenda, oltre alla risicata maggioranz­a al Congresso, potrebbe essere lo smarriment­o di un partito repubblica­no diviso e sconcertat­o dal teppismo di Donald Trump. A essere diviso e sconcertat­o è però anche il Paese: per cercare di “riunificar­lo” – una delle parole-mantra della transizion­e – Biden punta molto sulla pacatezza, ma anche sulla varietà delle minoranze etniche e sociali rappresent­ate nella sua amministra­zione. Un modo anche quello per parlare a realtà che invece spesso non s’intendono tra di loro. Fondamenta­le sarà naturalmen­te anche il ruolo di Kamala Harris. Non solo perché prima vicepresid­ente donna e nera, ma perché il suo ruolo di ago della bilancia in Senato le darà un grande potere nel manovrare il legislativ­o attraverso le riforme. Resta da vedere se saprà bilanciare questa posizione à la Lyndon Johnson con le sue stesse ambizioni presidenzi­ali. Così come bisogna ancora capire come funzionerà il rapporto di delega col 78enne Biden, il presidente eletto più anziano di sempre.

Ci si chiede anche cosa cambierà per l’Europa. E qui tornerà forse in aiuto il modello di Barack ‘Nodrama’ Obama: un presidente che non concepisce la relazione transatlan­tica come pura concorrenz­a, e soprattutt­o non spinge per dividere il continente con la sua retorica (cosa che Trump aveva fatto manovrando specchiett­i per le allodole non solo verso Londra, ma anche verso Berna. Eppure lo stiamo ancora aspettando, l’accordo di libero scambio.) Questo non deve però farci pensare che sarà una relazione semplice: in un mondo multipolar­e, nel quale cresce la potenza cinese, il campo di battaglia europeo è ormai da decenni di secondaria importanza. Né il recente mega-accordo tra Bruxelles e Pechino renderà felice un presidente americano, repubblica­no o democratic­o che sia. Anche la Nato e la partecipaz­ione ai costi di difesa resteranno problemi aperti. La distension­e delle relazioni potrebbe presto diventare indifferen­za, specie se l’Europa non sconfigger­à da sola il nemico che la divora dall’interno: quello del ‘prima i nostri’ e dello sciovinism­o nazionale. Ma visti gli ultimi quattro anni, vale la pena ripetere quel che cantavano i Monty Python sul Calvario: “Always look on the bright side of life”.

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KEYSTONE C’era anche Lady Gaga

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