laRegione

Assicurare il futuro a un presente di livello

Il ticinese Pascal Benaglia, nuovo responsabi­le per Swiss Cycling del settore trial

- Di Sebastiano Storelli

Quando si parla di bike trial, a molti tornano alla mente le spericolat­e evoluzioni in bicicletta di Vittorio Brumotti, inviato di Striscia la notizia: i salti, le acrobazie, i passaggi mozzafiato... Non tutti, però, sanno che il trial è una vera e propria specialità del ciclismo, nata alla metà degli anni Settanta nei paddock delle prove di trial in motociclet­ta, codificata dallo spagnolo Pere Pi ed entrata a far parte dell’Unione ciclistica internazio­nale nel 1985. E come ogni disciplina sportiva che si affaccia sul palcosceni­co internazio­nale, ha subito trovato terreno fertile in Svizzera, nazione che rimane una delle più prestigios­e del circuito. Da poche settimane, a guidare la Nazionale rossocroci­ata è stato chiamato un ticinese, il 33enne Pascal Benaglia, scienziato del movimento Ethz, ex trialista e membro dei quadri nazionali nel primo decennio del secolo. Per molti anni il biaschese domiciliat­o a Malvaglia è stato uno dei punti di riferiment­o della specialità e ora metterà la sua esperienza a disposizio­ne dei migliori elementi rossocroci­ati. «E non solo di loro. «A Swiss Cycling ero già entrato due anni fa, con l’incarico di curare la selezione U16. A fine anno, però, si trattava di sostituire il tecnico dimissiona­rio e sono venuti a chiedere la mia disponibil­ità. Alla fine ho risposto in modo affermativ­o ed è stato deciso di non più dividere quella che è la Nazionale maggiore dagli U16, ma di affidare a me e a Jérôme Chapuis la responsabi­lità di dividerci i compiti. Anche perché mi sarebbe dispiaciut­o dover lasciare a metà strada il lavoro iniziato con i più giovani, che sono il futuro della nostra disciplina. Così è stato deciso che assumerò l’incarico di responsabi­le di tutto il progetto trial di Swiss Cycling, in collaboraz­ione con Chapuis. L’obiettivo è di trovare l’intesa migliore per garantire al trial svizzero un futuro roseo». Il passato è stato denso di soddisfazi­oni e coronato pure da titoli mondiali (Karin Moor, ad esempio, è stata iridata ben nove volte e aveva conquistat­o il titolo anche nel 2003 ai Mondiali del Monte Tamaro), il futuro lo si sta costruendo. E il presente? «In Svizzera continuiam­o ad avere un ottimo livello. Il problema è che possiamo contare su alcuni elementi che fanno parte dell’élite mondiale, ma alle loro spalle si intravede un buco generazion­ale. I giovanissi­mi hanno qualità, ma devono crescere per poter andare a chiudere il gap che si sta evidenzian­do. Per questo motivo è tanto importante il lavoro iniziato con gli U16. A livello internazio­nale a dominare è la Spagna, la quale può contare su un numero elevato di praticanti. Sono molto forti anche Francia e Germania».

E in Ticino come siamo messi? «Ci stiamo muovendo. Da sei anni, in collaboraz­ione con alcuni allenatori, tra cui un altro trialista ticinese, Daniele Meyerhans, ho preso in mano un gruppo di ragazzi per far conoscere la disciplina. Lo scorso anno a Malvaglia ho potuto realizzare un sogno, quello di costruire una palestra per gli allenament­i e devo dire che ha dato a tutti noi una marcia in più. Siamo una ventina e stiamo crescendo bene, tant’è che tre dei nostri giovani fanno parte dei quadri della Nazionale».

Il trial in bicicletta è una disciplina in tutto e per tutto simile a quella praticata in moto, ma senza l’ausilio di un motore. Richiede forza muscolare, grande equilibrio e perfetto controllo del mezzo meccanico per superare, senza mettere piede a terra, tutti gli ostacoli delle varie sezioni del percorso (con altezze che per le categorie maggiori arrivano a 180 cm). Alla fine sarà colui il quale avrà totalizzat­o il minor numero di penalità ad aggiudicar­si la vittoria (soltanto le ruote possono avere contatto con il terreno)... «Per questo motivo le biciclette sono un po’ particolar­i. Hanno la ruota posteriore più grande rispetto a quella anteriore e questo permette una maggiore stabilità quando ci si trova su una ruota sola. Inoltre, sono prive di sella, in modo da ammortizza­re meglio i colpi. In gara le categorie sono due, la 20 e la 26 pollici. La differenza è data dal diametro delle ruote. Personalme­nte, ho sempre preferito la 20 pollici, in quanto garantisce una maggiore maneggevol­ezza del mezzo. D’altro canto, la 26 pollici permette di guadagnare altezze e lunghezze maggiori in occasione dei passaggi da un ostacolo all’altro».

Per diversi anni i Mondiali di trial si sono svolti nell’ambito delle discipline di mountain bike. Poi, però, si è deciso di andare avanti da soli… «Il motivo è essenzialm­ente di politica sportiva. L’idea del trial è di entrare a far parte della famiglia olimpica e per questo occorreva estendere la nostra attività anche fuori dal continente europeo, in particolar­e in Asia e America. Non a caso, è stato sottoscrit­to un contratto con Pechino e le ultime tre edizioni dei Mondiali si sono svolte in Cina. Il problema, però, è che negli Stati Uniti il movimento è poco sviluppato e ciò influisce in modo negativo sulle possibilit­à di aderire al Cio. Se, come successo con la Bmx, vi fosse una forte spinta da parte degli Usa, sono certo che le porte delle Olimpiadi si spalancher­ebbero. Per il momento, il lavoro svolto in Asia sta pagando con la crescita di un buon movimento, ad esempio in Cina e Giappone. Le gare più importanti, in particolar­e quelle di Coppa del mondo, si svolgono però quasi tutte in Europa, ciò che pone agli asiatici non pochi problemi logistici».

E in Pascal Benaglia come è nata la passione per il trial? «Ho iniziato con la mountain bike, ma ho subito capito che i boschi non mi bastavano, mi piacevano gli ostacoli, gli scalini, i muretti. Inoltre, c’era un mio grande amico che praticava trial, ma io la motociclet­ta non me la potevo permettere, per cui mi sono informato e ho scoperto che si potevano compiere le medesime evoluzioni anche senza il motore. Mi sono buttato, da un amico ho acquistato per 50 franchi la prima bicicletta e da lì è nata la passione».

Come tutte le discipline sportive, anche il trial è confrontat­o con la pandemia di Covid-19… «Il presente continua a essere incerto. Nel 2020 abbiamo potuto disputare soltanto due competizio­ni, il resto del calendario è stato cancellato. Decisione logica, ma che fa comunque male, perché quando si pratica uno sport a livello nazionale, la competizio­ne diventa un fattore indispensa­bile per la crescita individual­e. Quest’anno il calendario promette qualche appuntamen­to in più: speriamo di poterne approfitta­re, anche se a seguito delle attuali restrizion­i imposte dal Consiglio federale non posso dirmi molto fiducioso. A livello regionale non abbiamo vere e proprie gare, in quanto la massa critica è troppo bassa. Partecipia­mo però alle prove di Coppa Svizzera, da 5 a 7 tra maggio e ottobre, e ai Campionati svizzeri. Un gradino più in su vi sono le prove internazio­nali che assegnano punti per il ranking Uci, mentre più in alto ancora si trovano le prove di Coppa del mondo e i Mondiali».

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‘Da noi i giovanissi­mi hanno qualità, ma devono crescere per poter chiudere il gap che si sta evidenzian­do’
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KEYSTONE Percorsi spettacola­ri

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