Assicurare il futuro a un presente di livello
Il ticinese Pascal Benaglia, nuovo responsabile per Swiss Cycling del settore trial
Quando si parla di bike trial, a molti tornano alla mente le spericolate evoluzioni in bicicletta di Vittorio Brumotti, inviato di Striscia la notizia: i salti, le acrobazie, i passaggi mozzafiato... Non tutti, però, sanno che il trial è una vera e propria specialità del ciclismo, nata alla metà degli anni Settanta nei paddock delle prove di trial in motocicletta, codificata dallo spagnolo Pere Pi ed entrata a far parte dell’Unione ciclistica internazionale nel 1985. E come ogni disciplina sportiva che si affaccia sul palcoscenico internazionale, ha subito trovato terreno fertile in Svizzera, nazione che rimane una delle più prestigiose del circuito. Da poche settimane, a guidare la Nazionale rossocrociata è stato chiamato un ticinese, il 33enne Pascal Benaglia, scienziato del movimento Ethz, ex trialista e membro dei quadri nazionali nel primo decennio del secolo. Per molti anni il biaschese domiciliato a Malvaglia è stato uno dei punti di riferimento della specialità e ora metterà la sua esperienza a disposizione dei migliori elementi rossocrociati. «E non solo di loro. «A Swiss Cycling ero già entrato due anni fa, con l’incarico di curare la selezione U16. A fine anno, però, si trattava di sostituire il tecnico dimissionario e sono venuti a chiedere la mia disponibilità. Alla fine ho risposto in modo affermativo ed è stato deciso di non più dividere quella che è la Nazionale maggiore dagli U16, ma di affidare a me e a Jérôme Chapuis la responsabilità di dividerci i compiti. Anche perché mi sarebbe dispiaciuto dover lasciare a metà strada il lavoro iniziato con i più giovani, che sono il futuro della nostra disciplina. Così è stato deciso che assumerò l’incarico di responsabile di tutto il progetto trial di Swiss Cycling, in collaborazione con Chapuis. L’obiettivo è di trovare l’intesa migliore per garantire al trial svizzero un futuro roseo». Il passato è stato denso di soddisfazioni e coronato pure da titoli mondiali (Karin Moor, ad esempio, è stata iridata ben nove volte e aveva conquistato il titolo anche nel 2003 ai Mondiali del Monte Tamaro), il futuro lo si sta costruendo. E il presente? «In Svizzera continuiamo ad avere un ottimo livello. Il problema è che possiamo contare su alcuni elementi che fanno parte dell’élite mondiale, ma alle loro spalle si intravede un buco generazionale. I giovanissimi hanno qualità, ma devono crescere per poter andare a chiudere il gap che si sta evidenziando. Per questo motivo è tanto importante il lavoro iniziato con gli U16. A livello internazionale a dominare è la Spagna, la quale può contare su un numero elevato di praticanti. Sono molto forti anche Francia e Germania».
E in Ticino come siamo messi? «Ci stiamo muovendo. Da sei anni, in collaborazione con alcuni allenatori, tra cui un altro trialista ticinese, Daniele Meyerhans, ho preso in mano un gruppo di ragazzi per far conoscere la disciplina. Lo scorso anno a Malvaglia ho potuto realizzare un sogno, quello di costruire una palestra per gli allenamenti e devo dire che ha dato a tutti noi una marcia in più. Siamo una ventina e stiamo crescendo bene, tant’è che tre dei nostri giovani fanno parte dei quadri della Nazionale».
Il trial in bicicletta è una disciplina in tutto e per tutto simile a quella praticata in moto, ma senza l’ausilio di un motore. Richiede forza muscolare, grande equilibrio e perfetto controllo del mezzo meccanico per superare, senza mettere piede a terra, tutti gli ostacoli delle varie sezioni del percorso (con altezze che per le categorie maggiori arrivano a 180 cm). Alla fine sarà colui il quale avrà totalizzato il minor numero di penalità ad aggiudicarsi la vittoria (soltanto le ruote possono avere contatto con il terreno)... «Per questo motivo le biciclette sono un po’ particolari. Hanno la ruota posteriore più grande rispetto a quella anteriore e questo permette una maggiore stabilità quando ci si trova su una ruota sola. Inoltre, sono prive di sella, in modo da ammortizzare meglio i colpi. In gara le categorie sono due, la 20 e la 26 pollici. La differenza è data dal diametro delle ruote. Personalmente, ho sempre preferito la 20 pollici, in quanto garantisce una maggiore maneggevolezza del mezzo. D’altro canto, la 26 pollici permette di guadagnare altezze e lunghezze maggiori in occasione dei passaggi da un ostacolo all’altro».
Per diversi anni i Mondiali di trial si sono svolti nell’ambito delle discipline di mountain bike. Poi, però, si è deciso di andare avanti da soli… «Il motivo è essenzialmente di politica sportiva. L’idea del trial è di entrare a far parte della famiglia olimpica e per questo occorreva estendere la nostra attività anche fuori dal continente europeo, in particolare in Asia e America. Non a caso, è stato sottoscritto un contratto con Pechino e le ultime tre edizioni dei Mondiali si sono svolte in Cina. Il problema, però, è che negli Stati Uniti il movimento è poco sviluppato e ciò influisce in modo negativo sulle possibilità di aderire al Cio. Se, come successo con la Bmx, vi fosse una forte spinta da parte degli Usa, sono certo che le porte delle Olimpiadi si spalancherebbero. Per il momento, il lavoro svolto in Asia sta pagando con la crescita di un buon movimento, ad esempio in Cina e Giappone. Le gare più importanti, in particolare quelle di Coppa del mondo, si svolgono però quasi tutte in Europa, ciò che pone agli asiatici non pochi problemi logistici».
E in Pascal Benaglia come è nata la passione per il trial? «Ho iniziato con la mountain bike, ma ho subito capito che i boschi non mi bastavano, mi piacevano gli ostacoli, gli scalini, i muretti. Inoltre, c’era un mio grande amico che praticava trial, ma io la motocicletta non me la potevo permettere, per cui mi sono informato e ho scoperto che si potevano compiere le medesime evoluzioni anche senza il motore. Mi sono buttato, da un amico ho acquistato per 50 franchi la prima bicicletta e da lì è nata la passione».
Come tutte le discipline sportive, anche il trial è confrontato con la pandemia di Covid-19… «Il presente continua a essere incerto. Nel 2020 abbiamo potuto disputare soltanto due competizioni, il resto del calendario è stato cancellato. Decisione logica, ma che fa comunque male, perché quando si pratica uno sport a livello nazionale, la competizione diventa un fattore indispensabile per la crescita individuale. Quest’anno il calendario promette qualche appuntamento in più: speriamo di poterne approfittare, anche se a seguito delle attuali restrizioni imposte dal Consiglio federale non posso dirmi molto fiducioso. A livello regionale non abbiamo vere e proprie gare, in quanto la massa critica è troppo bassa. Partecipiamo però alle prove di Coppa Svizzera, da 5 a 7 tra maggio e ottobre, e ai Campionati svizzeri. Un gradino più in su vi sono le prove internazionali che assegnano punti per il ranking Uci, mentre più in alto ancora si trovano le prove di Coppa del mondo e i Mondiali».